Nella sua opera di esordio, Montanelli e il suo Giornale (Gruppo Albatros 2021), Federico Bini ha compiuto la mirabile impresa non solo di intervistare decine di personaggi legati alla storia del quotidiano fondato da Indro Montanelli, ma anche rilegare il tutto in un piacevole volumetto che narra gli episodi inediti della “caravella liberale”.
In mezza decade, Bini ha raccolto preziose testimonianze di giornalisti e storici, direttori e commentatori, imprenditori e stenografi: a loro modo, ognuno ha raccontato l’atmosfera che regnava in Via Negri sotto la direzione Montanelli. Non è un mistero che già nei primi anni Novanta, prima della frattura con Silvio Berlusconi, il Giornale fosse in crisi economica e di identità, ma Bini rimane ottimista. Auspica infatti che il Giornale di domani torni ad essere “un manifesto del pensiero liberale e conservatore, nonché punto di riferimento di quella borghesia italiana silenziosa, laboriosa, meritocratica, animata da saldi valori morali, da un grande senso dello Stato e delle sue più alte istituzioni”. Auguri. Ne ha bisogno.

Bini torna alle radici della creatura montanelliana: per scrivere il domani, bisogna sapere da dove si viene. E da dove veniva il Giornale lo spiega bene Gian Galeazzo Biazzi Vergani, l’eminenza grigia, l’uomo macchina del quotidiano. Bini ha fatto forse l’unica intervista che Biazzi abbia mai concesso. “Il Giornale è stata la mia vita”, dice l’ex braccio destro di Montanelli. Si ricorda che dopo essere fuoriuscito dal Corriere della Sera, “Cilindro” correggeva i pezzi di Guido Piovene, aristocratico e letterato veneto, Ministro della Cultura del Giornale. Assieme a Gianni Granzotto, Biazzi Vergani fu il primo assunto; nel frattempo Enzo Bettiza faceva fuoriuscire diversi intellettuali da Via Solferino per riversali nel nuovo giornale conservatore. Il Giornale stampava a Paderno Dugnano, come ricorda Vittorio Frigerio, stenografo. “Ciao vecchio”, gli diceva il direttore; “la sua formula solita perché spesso non ricordava i nomi”.

E con ragione: il Giornale vantava decine di collaborazioni. Anche agli Esteri, sezione a cui collaboravano firme eccezionali. Da Raymond Aron a François Fejtő, da Jean d’Ormesson a Jean–François Revel, da Frane Barbieri e Gregor von Rezzori. Beppe Gualazzini, che si è fatto le ossa alla Gazzetta di Parma, venne inviato da Montanelli in estremo Oriente e in Africa Centrale; Fernando Mezzetti, invece, era il corrispondente da Mosca e Pechino («il Giornale era l’organo principe in Europa dell’Anticomunismo, ma un Anticomunismo colto»), che venne ammesso alla corte di Deng Xiaoping nel 1982.
L’Asia la frequentava anche Livio Caputo, già corrispondente da Londra, New York, Vietnam, Corea del Sud. Un giorno telefonò alla redazione: “Ho la notizia del giorno, è stato defenestrato Harold Macmillan!”, annunciò Caputo. “Ma che vuoi che ce ne freghi”, fu la risposta al di là della cornetta. “Qui è accaduto il Vajont!”. Per il Giornale, Caputo ha girato il mondo: fece anche un’intervista a Lyndon B. Johnson, ma la star delle questioni americane era Alberto Pasolini Zanelli, corrispondente da Washington e prima da Germania, Russia, Arabia Saudita, Cina e Cile. Altro che LBJ: era Ronald Reagan il suo presidente preferito.

Tutt’altra vita nella redazione interna del Giornale. Alfonso Izzi, braccio destro di Leopoldo Sofisti, altro uomo macchina del quotidiano, ricorda invece che a Montanelli i lettori e ammiratori facevano regali strani. Angelo Rizzoli consegnò un merlo, che – sistemato al terzo piano del Giornale – continuava a ripetere: “Vai a cagare, vai a cagare”. Izzi racconta anche della rottura tra Montanelli e Bettiza. Questa, più principalmente per il ruolo di Biazzi Vergani nel Giornale, che per la fuoriuscita del Barone e altri, tra cui Francesco Damato, sostituito da Ottorino Gurgo. Al Giornale collaborarono anche figure del calibro di Geno Pampaloni (che dettava i pezzi al telefono), Piero Buscaroli (terribilmente pignolo), Egisto Corradi (umilissimo giramondo), Marcello Staglieno (cleptomane di libri), Gianni Brera (che ce l’aveva con i meridionali, secondo Izzi), Salvatore Scarpino(che coniò il termine “dietrologia”), Renzo De Felice (esperto di Fascismo).
Il Giornale aveva anche una redazione romana. Capitanata da Renzo Trionfera – uno dei fondatori del Giornale – godeva della presenza di Cesare Zappulli (decano dell’economia), Eugenio Melani (toscano di Montecatini), Guido Azzolini (nipote dell’ex governatore della Banca d’Italia). Poi Arturo Diaconale, Guido Paglia, Paolo Liguori, Andrea Pucci, Marco Cherubini e altri. Fedele Confalonieri racconta a Bini dell’aspetto finanziario del Giornale: nei primi anni della fondazione, nessuno voleva investirvi, a parte Achille Boroli della De Agostini. Poi arrivò Berlusconi. A collegare Montanelli e il Cavaliere è Roberto Gervaso, che conobbe il direttore a casa di Colette Rosselli, a Roma. Erano gli anni Sessanta. “Avevo un vestito di pettinato blu a righe. Andai da Montanelli e mentre attraversavo la piazza un piccione mi fece un cappero sulla spalla. Ero arrivato con tre ore di anticipo, arrivai con cinque minuti di ritardo da Montanelli. Chiacchieriamo un po’, ci sedemmo a tavola […] Lui mi disse: “Ti prendo sotto le mie ali, fai come ti dico di fare. Fallo bene, fallo presto, fallo meglio degli altri”. Di lì a poco nacque l’avventura della “Storia d’Italia”.

Paolo Isotta, un personaggio a cavallo tra Benedetto Croce e Edoardo De Filippo secondo Bini, entrò al Giornale per intercessione di Mario Praz. Scriveva originali elzeviri di cultura musicale: del Giornale ha detto che era troppo elevato a livello culturale per il lettore medio che lo comprava. Isotta smonta un mito. “Il lettore del Giornale era l’impiegatuccio medio che si lamentava delle troppe tasse e temeva che i comunisti andassero al governo”. “Un giornale solo contro tutti”, sembra rispondergli invece Giorgio Torelli che al Giornale aveva una rubrica tutta sua, nonché il compito di riportare solo notizie che avrebbero lasciato al lettore un po’ di speranza negli Anni di piombo. Anche Marco Vitale – che Bini inserisce nella tradizione liberale e cattolica milanese, ammiratore di Don Luigi Sturzo, Luigi Einaudi e Alcide De Gasperi –spiega che «Montanelli assicurava una libertà di pensiero totale» all’interno nel quotidiano. Fa eco Giancarlo Mazzuca: “Quella del Giornale di Montanelli è stata una stagione bellissima e molto utile”.
Quanto alla parte conclusiva del libro, Bini riporta anche i colloqui avuti con i successori – non eredi – di Montanelli: Vittorio Feltri, Maurizio Belpietro e Alessandro Sallusti. Luigi Iannone, Pietrangelo Buttafuoco, Marcello Veneziani inseriscono la storia del Giornale in una tradizione conservatrice che si rifà a Giuseppe Prezzolini e Leo Longanesi, maestri di Montanelli. Nicola Porro invece approccia la storicizzazione del Giornale attraverso lenti più liberali. Alla domanda di Bini: “Che tipo di Stato è il nostro?”, il giornalista risponde: «Uno Stato socialista per cui l’individuo è sempre un secondo piano rispetto […] alla legge, alla norma, alla burocrazia. Invece la legge, la norma, la burocrazia dovrebbe essere in funzione dell’individuo, non in contrario». Probabilmente, Montanelli avrebbe sottoscritto.

Chi era quindi Montanelli? Quanto al comandante della nave del Giornale, tutti gli intervistati di Bini (oltre a quelli già citati ci sono anche Carlo Grandini, Alfio Caruso, Catterina Arpino, Paolo Longanesi, Alberto Mazzuca, Roberto Crespi, Paolo Guzzanti) lo dipingono come un personaggio geniale. “Esigentissimo” nelle parole del ritrattista Giancarlo Perna. Tiziana Abate racconta che Montanelli era agnostico e professava un’adesione intellettuale all’etica protestante. Molto riservato – affezionato alla madre e poco al padre del quale parlò solo nel XX battaglione eritreo – si sentiva uno “straniero in patria”. Scherzando, riprendendo Winston Churchill, una volta disse: “Sono il peggiore dei direttori, eccettuati tutti gli altri”. Il che voleva dire che era il migliore, ma sapeva di non esserlo. “Io sono soltanto un giornalista”, avrebbe ripetuto fino alla tarda età. Manifestazione dell’umiltà che era riuscito a conferire anche al suo giornale nato nel lontano 1974.