Un lancio ANSA di qualche ora fa ci ha fatto rabbrividire: riporta uno studio dell’Unicef che, attraverso i dati della Oxford COVID-19 Government Response Tracker, ha evidenziato come un bambino o un giovane su 7 – 332 milioni in tutto il mondo – ha vissuto per almeno 9 mesi, dall’inizio della pandemia, con misure che prevedevano l’obbligo di restare a casa.
Questo isolamento ha avuto un impatto sul benessere mentale dei bambini e dei giovani.
Un recente sondaggio U – Report dell’Unicef sui giovani, in America Latina e nei Caraibi, ha rilevato, su 8.000 risposte, come oltre un quarto abbia provato ansia, il 15% depresso.
Prima della Pandemia, sottolinea Unicef, i bambini e i giovani sostenevano il peso dei rischi legati alla salute mentale, con la metà di tutti i disturbi mentali che si presentavano prima dei 15 anni e il 75% entro prima età adulta. La maggior parte delle 800.000 persone che muoiono per suicidio ogni anno sono giovani, e l’autolesionismo è la terza causa di morte tra i 15-19 anni, con tassi più alti tra le ragazze adolescenti. Si stima che globalmente un bambino su 4 viva con un genitore che ha un disturbo mentale.
Secondo l’OMS, la pandemia da COVID-19, ha sospeso o arrestato i servizi fondamentali per la salute mentale nel 93% dei paesi del mondo, mentre la richiesta di supporto per la salute mentale è in crescita. Uno studio su 194 città in Cina ha palesato che il 16% dei rispondenti ha avuto sintomi depressivi da moderati a gravi durante la pandemia e il 28% sintomi di ansia da moderati a gravi.
Mi sono occupato di questi temi anche nel mio ultimo libro Figli delle App (Franco Angeli nella Collana di Sociologia).
La pandemia e l’isolamento fisico sembrano avere acutizzato insicurezze e fragilità di pre-adolescenti e adolescenti, sentimenti di paura e scoraggiamento alimentati dalla dipendenza dall’accettazione e approvazione da parte del gruppo di pari che si realizza solo nelle dinamiche social. Capisco Fiorello papà, intervistato in questi giorni, che si rammarica che la figlia non è più abituata ad uscire di casa. Lei e altri ragazzi sono costretti davanti al computer e prova più dolore perché come gli altri si sta abituando a questo nuovo stile di vita.
Il mio saggio è anche l’occasione per condividere i dati della mia ultima ricerca realizzata e che include 23 anni di studi. Il terzo capitolo è interamente dedicato ai risultati della survey online “La mia vita ai tempi del Covid.” Condotta nel periodo aprile – maggio 2020, ha coinvolto in totale 1.858 ragazze e ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori che hanno risposto ad un questionario online composto da diciassette domande. Proprio nei giorni scorsi ho avuto modo di presentarla ad un convegno internazionale on line organizzato dall’Università di Lublino (Polonia).
Credo proprio che i dati della mia ricerca siano in linea con il sondaggio U-Report dell’UNICEF sui giovani. Uno degli aspetti di maggiore interesse emerso è quello relativo alla tendenza a isolarsi rispetto all’ambiente familiare. I ragazzi raccontano di avere provato momenti di paura e di avere sentito moltissimo la mancanza degli amici. Nelle risposte al quesito dieci: Cosa ti manca di più? (quesito a risposta aperta) le considerazioni ruotano per la maggior parte intorno al tema dell’amicizia e dello stare fuori con gli amici. Le ragazze e i ragazzi utilizzano il sostantivo libertà riferito alla possibilità di uscire di casa. Uscire con gli amici, vedere gli amici, stare con…, tutte espressioni che raccontano di un bisogno di fisicità, che nel loro modo di relazionarsi si interseca senza soluzione di continuità con la connessione e l’interazione online. Una dipendenza dagli altri che, come è evidente da quanto emerge dal quesito, genera il paradosso di una forte sensazione di isolamento, paura e scoraggiamento, con oltre il 60% degli intervistati che dichiara di avere provato questo sentimento durante il periodo di lockdown. Gli adolescenti sono passati da vite super organizzate, fin troppo piene di attività, nelle quali la tecnologia e i social media giocano il ruolo di facilitatori della comunicazione, ad una situazione in cui la propria vita si racchiude tutta dietro uno schermo.
Ho voluto aprire il mio libro con una citazione di San Giovanni Bosco: “Dalla buona o dalla cattiva educazione della gioventù dipende un buon o un triste avvenire della società” e la scelta di questa frase racchiude un significato importante. Il volume è dedicato a tutte le vittime del cyberbullismo, del sexting, del revenge porn, del cutting e a chi ha perso la vita per inseguire una challenge. Ma anche a coloro che usano le nuove tecnologie per trasmettere al mondo messaggi positivi e condividere conoscenza. Un testo che parla dei nostri figli, che non sono marziani, ma ragazzi pieni di speranze e di fragilità.
Infatti, “Figli delle app è il provocatorio titolo che ho scelto, da immigrato digitale e adolescente, quando Alan Sorrenti cantava: “Noi siamo figli delle stelle/ Non ci fermeremo mai per niente al mondo/ Per sempre figli delle stelle/ Senza storia senza età, eroi di un sogno…” Non sono sicuro che essere figli delle app sia essere eroi di un sogno, purtroppo concordo con il pensiero del grande sociologo Zygmunt Bauman che il consumismo tecnologico rischia di trasformarci in individui senza storia, identità e in piena solitudine.
Ecco da cosa nasce questo mio ultimo impegno da un percorso attraverso generazioni che si sono evolute all’interno di ambienti sempre più tecnologici, spesso da soli, e che oggi sono gli adulti appena diventati genitori, tutti accomunati nell’evidente dicotomia tra connessione e relazione. Un uso della tecnologia che ci mostra come l’intuitività, l’immediatezza siano gli aspetti prevalenti che di fatto sembrano annullare quasi del tutto lo spazio per comprendere il contesto prima di agire. Così, l’azione viene prima della riflessione, che genera una risposta emotiva immediata e mediata dallo schermo.
Mi è stato chiesto quale sia la mia più grande preoccupazione ed io ho risposto che temo la perdita di quella socialità che contraddistingue tutti gli uomini.
Voglio citare Osho, professore di filosofia e maestro spirituale: “L’isolamento è una situazione che deprime, è qualcosa di triste: è l’assenza dell’altro. L’isolamento è mancanza dell’altro: vorresti che ci fosse, ma non c’è e tu ne senti la mancanza”.
Senza l’altro non siamo niente, come tante volte ha ripetuto Papa Francesco, e senza abbracci abbiamo perso quella magia in grado di scatenare: amore, amicizia, fratellanza, cortesia e gentilezza.