Con Oggi faccio azzurro edito da Mondadori, Daria Bignardi, giornalista, conduttrice TV di grande successo e popolarità, ma soprattutto scrittrice tradotta in 12 lingue compreso russo e persiano, firma il suo settimo romanzo. L’espressione che dà il titolo al libro è quella usata nel Medioevo dagli artigiani tedeschi quando, un giorno alla settimana, vedevano l’azzurro del cielo perché non andavano a lavorare. Con la sobrietà, la pacatezza e l’eleganza che la contraddistinguono e che traspone naturalmente anche nella scrittura, Bignardi ha sempre affrontato nei suoi romanzi quelle tematiche esistenziali in cui tutti noi navighiamo: dal rapporto con la madre a quello coi figli e con l’ansia. Con il suo linguaggio asciutto, contemporaneo, la scrittrice ci porta sempre in quella quotidianità ordinaria che spesso fa a pugni con un’interiorità fatta di straordinaria consapevolezza di sé e degli altri.
In Oggi faccio azzurro, la protagonista è Galla, dall’imperatrice romana Galla Placidia, una donna che all’improvviso, come uno strappo, viene abbandonata dal marito americano, Doug, dopo 20 anni di quella che sembrava una vita felice insieme. Galla vive l’abbandono come si vive uno shock, e non va a lavorare perché impegnata con tutte le sue forze nel cercare di superare il dolore. Dolore vissuto come ferita straziante, peggiore del lutto stesso, peggiore addirittura della malattia. Una ferita sulla quale non fa che rimuginare seduta sul divano pensando all’ora migliore per buttarsi dalla finestra. Ad aiutare Galla, molto di più di Anna Fante, una terapista molto originale, o del viaggio a Monaco dove vive la sua migliore amica, o ancora, del suo prestare volontariato nel coro del carcere, è una voce arrivata all’improvviso nella sua testa. La voce, che rappresenta la razionalità in contrapposizione a quelle ragioni del cuore che ci fanno giustificare l’ingiustificabile, è rappresentata da Gabriele Munter che fu la compagna di Wassily Kandinsky. Pittrice anche lei, venne abbandonata dal famoso astrattista dopo quattordici anni d’amore e di sostegno, economico, amoroso, umano. Gabriele che in Germania è un nome da donna, è l’opposto di Galla, e con la sua voce dissacrante, fuori dal “suo” coro, con il suo linguaggio contemporaneo e una percezione moderna dei rapporti, che poi in effetti sono sempre uguali in ogni tempo, cerca di spingere Galla fuori da quella voragine di dolore in cui sembra crogiolarsi come per punirsi. Da donna forte che dopo una lunga depressione seppe rialzarsi, dipinge a Galla un quadro desolante degli uomini e di suo marito in particolare, che le aprirà nuove prospettive e la porterà a rivedere l’azzurro.
Per essere sicuri di aver compreso a pieno tutte le dinamiche e le implicazioni della storia e dei personaggi abbiamo raggiunto l’autrice che ha risposto alle nostre domande in questa intervista:
Non so dirle quanto mi sia piaciuta la dedica del libro, lo dico da autrice, e pur seguendo lei da sempre, ma non il gossip, non sapevo davvero a chi potesse riferirsi e ho iniziato a leggere sorridendo. Detto questo, Umberto Eco diceva che scriviamo per noi solo la lista della spesa; questo libro sull’elaborazione della fine di un amore, di un matrimonio, che è sempre un lutto, lo ha scritto come terapia o come terapista? In pratica, è lei la nostra Anna Fante? O è una e trina, Anna, Galla e Gabriele tutte insieme?
“È dedicato a mia figlia Emilia Sofri, lo aveva capito? Certo che sono una e trina, anzi sono tutti, anche Nicola, e anche Doug. Sono i detenuti, sono Gabriele Munter e la nonna Gabriella, sono la madre e il padre di Bianca. Sono un po’ anche Bianca. Sono tutti tranne Kandinsky, che mi sono fatta l’idea che fosse un genio narcisista”.
Scriviamo del mondo che conosciamo meglio no? Davvero il lutto per la fine di un amore grande, un lutto che tutte noi abbiamo vissuto, e in fondo continuiamo a vivere, sempre, può essere percepito come lo percepisce Galla, ossia come peggiore della malattia?
“Secondo me sì, e credo abbia a che fare con la storia di Galla, il rapporto con la madre, la solitudine della sua infanzia e tutte le insicurezze che le ha lasciato. Certe persone sanno difendersi dall’amore, altre no”.
Che cosa significa esattamente ci si sente per tutta la vita come si era da bambini?
“Significa che da bambini sappiamo chi siamo, cosa vogliamo, cosa ci piace e cosa non ci piace, solo che non sappiamo di saperlo. E se ci fanno sentire insicuri o inadeguati, ci sentiremo così per sempre, o quasi. Non è detto che sia completamente un male però. Ognuno poi con quello che ha fa cose diverse. Sentirsi sempre inadeguati può far compiere imprese impossibili”.
Le donne sono svantaggiate in tutto, una società civile dovrebbe prevedere dei diritti speciali per risarcirle delle loro fatiche ancestrali. Così come l’aborto è di pertinenza femminile, dovrebbe esserlo anche il divorzio. Ti pare che uno ti usa finché sei giovane e forte e gli cresci i figli e poi quando invecchi e non gli servi più ti manda al diavolo? Non esiste! Perché secondo lei la società rifiuta di assorbire la giustezza e la semplicità, se vogliamo anche, di un concetto come questo? E dico la società perché molte donne si schierano con gli uomini liquidando come “mantenute” quelle che hanno scelto solo la famiglia e i figli.
“Queste cose le dice Gabriele a Galla. Gabriele è il fantasma di una pittrice vissuta più di cento anni fa. Il fatto che una donna antica dica cose da femminista radicale mi divertiva molto”.
Quali leggi speciali a favore delle donne auspica?
“Ma io cosa c’entro? Queste cose le dice Gabriele, non io!”.
Tra il serio e il faceto il libro attacca gli uomini di mezza età che oggi più di ieri hanno perso il senso del ridicolo, prima si limitavano a lasciare la moglie per una più giovane, adesso si comprano la moto, mettono le magliette coi cantanti, e come i bambini che non accettano la malattia della madre, lasciano le mogli magari nel momento peggiore della loro vita. Non pensa che anche noi donne siamo responsabili della loro immaturità, della loro mancata crescita, e come madri prima, e come compagne dopo?
“Ma certo, ha ragione”.
L’immagine di Doug che lascia Galla in bagno, seduto sul water, è una metafora molto elegante per dire dove meriterebbero di essere mandati certi uomini?
“HaHaHa, non ci avevo pensato! Il lettore ha sempre ragione: quindi sì, è una metafora”.
Il giornale che ci ospita è americano, ha mai vissuto a New York o in America?
“Per due anni sono venuta spesso a Manhattan. Un’estate, quando avevo ventisette anni e stavo facendo il praticantato in un mensile milanese edito da Leonardo Mondadori ho fatto uno stage di un mese all’agenzia fotografica Magnum, uptown: abitavo al Gramercy Hotel e in ogni momento libero visitavo la città. Ho conosciuto un ragazzo che abitava al Village e per un paio d’anni sono tornata ogni due mesi a trovarlo. Pensavo che mi sarei trasferita a New York per stare con lui, poi le cose sono andate in un altro modo. Sono tornata sette od otto anni fa per l’ultima volta”.
Daria Bignardi ha fatto azzurro?
“Sissì ogni tanto lo faccio e mi piace molto. Bisogna fare azzurro, nutrirsi, cambiare, aspettare, ascoltare. E dall’azzurro arrivano regali: idee, riposo, invenzioni”.