All’improvviso abbiamo scoperto la fragilità della nostra società che pensavamo in ascesa inarrestabile.
“Tutte le volte che abbiamo detto ‘progresso’ l’abbiamo detto con una valenza positiva. A lungo ci siamo cullati dentro questa concezione del progresso e abbiamo perso il senso del limite. Qualunque cosa ci spostasse in avanti era positiva: innovazione tecnologica, globalizzazione, velocità di collegamenti apertura dei mercati…” Ha esordito così Antonio Calabrò presentando a Pordenonelegge il suo ultimo saggio: Oltre la fragilità. Le scelte per costruire la nuova trama delle relazioni economiche e sociali (Egea). Calabrò è un uomo di cultura, di impresa e di cultura d’impresa, ispiratore di grandi imprenditori; oggi dirige la Fondazione Pirelli ed è vice presidente di Assolombarda; è stato direttore editoriale del Sole 24 ore e direttore dell’agenzia di stampa Apcom.
“Il senso del limite serve per dare un indirizzo ai fenomeni in movimento. La storia non è mai assoluta: è quello che siamo capaci di fare per darle un senso. Bisogna passare dall’ideologia del free trade, scambi a qualsiasi prezzo, al fair trade, scambi dentro un sistema di regole e controlli”. Eh, sì oggi abbiamo scoperto che paghiamo le conseguenze della convinzione che l’economia dovesse comunque crescere, a qualunque costo. Se non ragioneremo sul fair trade, non avremo sviluppo. Siamo sull’orlo del baratro non a causa del covid, ma dell’assenza di indicazioni di comportamento. “Se non fosse arrivato il covid” ha sottolineato Calabrò “domani saremmo finiti in un disastro ancora peggiore. Bisogna cambiare paradigma e perseguire uno sviluppo sostenibile, che significa fare scelte etiche e produttive. Siamo nel mezzo di una vera battaglia politica e culturale: il passaggio è cruciale, infatti spuntano sovranismi e populismi. Sono sbagliati perché riducono ricchezza, qualità, relazioni e si fondano sulla paura del rapporto con gli altri”.
Dunque i limiti, i confini bisogna averli dentro e non piazzarli al di fuori di noi.
“Nel Mediterraneo è passato di tutto: mescolanze, relazioni, monete.” Ha continuato Calabrò. “Il ducato veneziano era una delle due monete di riferimento del mondo civile, l’altra era il fiorino. E’ una storia, la nostra, di immigranti: sono molto siciliano e molto milanese. La forma di Milano è rotonda: una città che fa entrare, accogliente. La Sicilia è un’isola all’incrocio delle rotte dentro cui è sbarcato chiunque. Enea è il fondatore d’Italia”.
Come usciremo dal virus? “Solo grazie ad industria e ricerca che si muovono in competizione. Cum-petere è una parola latina che significa: dirigersi insieme, cercare e dà bene l’idea di progettualità e raggiungimento”.

Siamo pronti? “No. Un anno fa l’Europa sembrava un disastro: Brexit, il gruppo di Visegrad, Orban, la Polonia. C’erano le pressioni di Erdogan e negli Stati Uniti la gravissima ferita delle relazioni atlantiche. Sembrava che restassero solo macerie dell’Europa. La Merkel appariva allo sbando e Spagna e Francia avevano eletto dei ragazzi… Ora però questa Europa si dà un senso: mette a disposizione 750 miliardi per la ripresa, quasi 4 volte il piano Marshall. E dove li prende? Per la prima volta va sul mercato a chiedere i soldi, fa un debito. Costruisce un capitale proprio, diventa un soggetto politico: è un passaggio fondamentale”.
Ma chi ha preso questa decisione?
“C’è un motore in tutto questo: la Germania, che ha preso finalmente atto dei moniti dello scrittore Thomas Mann: “Non serve un’Europa tedesca, serve una Germania europea”. La Merkel ha dimostrato di essere una straordinaria leader, comprendendo che non c’è salvezza per la Germania se non dentro un sistema di relazioni europee. E comincia a discutere di una difesa europea. Cosa volete che sia una moneta senza una spada! Dobbiamo ringraziare Trump che ha detto: No, i soldi non ce li metto. Ora la sfida europea è tutta politica: ripensare la politica come progetti, programmi, strategie, sviluppo… esistenza. La possiamo perdere questa battaglia, però vale la pena di farla tutta”.