Una petizione su Change.org chiede di sostituire una statua dedicata ai veterani sudisti della guerra di secessione, che immortala il maggiore William Wirt Humphreys, con una per Chadwick Boseman, la star di Hollywood recentemente scomparsa: questo accade ad Anderson, città natale dell’attore nella Carolina del Sud. “We must move past the tragedies of our past in this nation and celebrate new heroes” argomenta – tra l’altro – il promotore dell’appello, che, peraltro, ha già raccolto più di 229.000 firme.
Chi ha indagato con curiosità personale e rigore documentario i fatti ed i luoghi (anche comuni) relativi al più sanguinoso conflitto americano (1861-’65) è il veronese Niccolò Ferrari, laureato in giurisprudenza, membro della Società Letteraria di Verona e da molti anni appassionato studioso di tali vicende, facendo confluire i risultati in tre romanzi storici – “Sul treno per Richmond” (2017), “Vicksburg sul far della sera” (2018), “L’ultima carica” (2020) – e nel saggio “La civiltà perduta. Gli Stati Confederati nella Guerra Civile Americana” (2013). Come penna, Ferrari ha collaborato con il quotidiano di Toronto “Corriere Canadese” per una serie di articoli sugli italiani coinvolti nella Guerra Civile e con National Geographic Education.

Come nasce l’interesse specifico per la storia americana e la sua guerra più nota?
«Probabilmente trae origine dalle figure stereotipate e romanzate dei film visti nell’infanzia. In particolare la Confederazione rappresenta un’immagine crepuscolare e romantica, così come i suoi eroi vinti, che sicuramente esercitava ed esercita una forte attrattiva. Chiaramente in me è poi nata la voglia di saperne di più, di conoscere la verità dietro il mito; di qui l’inizio di un lungo percorso di studio autonomo, che mi ha portato ad una conoscenza approfondita e onesta degli stati del cotone e della loro cultura, che ho voluto rendere nei romanzi della “trilogia della Confederazione” come omaggio ad una civiltà (concetto che richiamo nel mio primo saggio) scomparsa, andando incontro ai pregi e ai difetti che le appartenevano».
Ferrari ha fondato nel 2005 l’associazione di rievocazione storica “14th Louisiana Infantry Regiment, Company G”, con la quale ha preso parte alla ricostruzione della battaglia di Gettysburg per l’anniversario dei 150 anni (2013); ha collaborato alla realizzazione del documentario Tra veleni in bianco e nero. Dentro l’American Civil War (2015) e ad un progetto di preservazione del campo di battaglia con la “Gettysburg Battlefield Preservation Association” (2017), unico italiano, insieme – tra gli altri – al premio Pulitzer James M. McPherson e allo storico Harold Holzer, uno dei massimi esperti americani della figura di Abraham Lincoln.

Nordisti e Sudisti: nei tuoi libri indaghi e sfati luoghi comuni tramandati dai secoli.
«Esatto, è il mio intento; non solo mostrare la società sudista com’era dal punto di vista sia culturale che sociale, ma anche porre in evidenza quanto i luoghi comuni giunti a noi, specialmente sulla schiavitù e il rapporto con gli schiavi, siano non solo sbagliati, ma in certi casi diametralmente opposti alla realtà. Il razzismo negli stati del nord, ad esempio, del quale sempre si tace, era un fattore problematico come oggi anche all’epoca e sfociò in tumulti, ad esempio nella New York del 1863. Gli eventi narrati in Gangs of New York di Scorsese sono le insurrezioni anti-arruolamento e anti-neri (concorrenza sul lavoro) scoppiati nella nordista New York durante il conflitto, un primo esempio di frizioni etniche. Ci sono poi gli interessi economici dietro lo scontro, le aspirazioni dei popoli e, soprattutto, la marcata differenza di retaggio culturale tra gli stati che traevano le loro origini dall’Europa, vedi la Louisiana cattolica derivando dalla Francia, il New England puritano derivando dagli immigrati inglesi del ceto medio-basso del ‘600, mentre i proprietari terrieri più abbienti dall’Inghilterra si stabilirono in Virginia».
Una trilogia che ha visto la luce nel giro di tre anni, ma quali sono le fonti, quanto dura la ricerca dietro le quinte di ogni libro?
«Per scrivere i tre romanzi della Confederazione ci sono voluti anni di studio e preparazione ed un “sopralluogo” negli Stati Uniti. Oltre a una formazione letteraria classica necessaria per poter scrivere un romanzo, ho letto documenti da biblioteche, centinaia di saggi, per approfondire ogni argomento, da quelli sociali a quelli zoologici, dagli aspetti militari a quelli industriali, da quelli culinari a quelli architettonici. In poche parole, volevo che il lettore fosse completamente immerso in un’altra epoca, un viaggio nel tempo, tra le strade di luoghi che oggi sono completamente scomparsi. Ogni volume della trilogia si apre, infatti, con una congrua prefazione storica per inquadrare gli argomenti che tratto nel romanzo vero e proprio. In conclusione di quest’ultimo vi è quindi una sezione fotografica, nella quale si possono ritrovare i personaggi storici che compaiono nel racconto; questi poi vengono resi nella narrazione esattamente come le testimonianze li ricordano, citandone le frasi appuntate nelle memorie dei presenti e persino descrivendo come erano abbigliati in quel dato momento. Concludono i volumi diverse pagine di bibliografia, per consentire al lettore ulteriori ricerche e verifiche autonome di quanto narro, e un indice dei nomi storici; molti sono infatti personaggi realmente esistiti (che si affiancano ai protagonisti di fantasia a loro volta storicamente attendibili), ma che non sono mai assurti alla gloria della fama: soldati semplici, marinai, abitanti dei luoghi descritti. In questo caso mi sono dovuto persino cimentare nei database cimiteriali statunitensi… insomma, è stato un lavoro imponente, così come la mole del risultato può lasciar intuire, oltre 3.000.000 battute per l’intera trilogia».
E dopo questo cimento?
«Ora riposo! Mi piacerebbe tornare alla saggistica, ma lo sforzo è stato grande e ora le batterie devono essere ricaricate. Vediamo quanto resisterò lontano dal Vecchio Sud…».

Nei viaggi in America quali sono stati i luoghi più suggestivi e significativi visitati? Cosa rimane di quell’epoca oggi?
«Sono stato negli USA nel 2013 per rievocare la battaglia di Gettysburg. Sono un appassionato, faccio rievocazioni storiche e ho fondato un gruppo: là ci siamo trattenuti una decina di giorni, durante i quali ovviamente ho fatto incetta di tutte le informazioni che potevo e visitato i musei locali. Gettysburg è forse la più conosciuta battaglia della guerra civile, emblematica e simbolica dell’intero conflitto; qui si è combattuto nel luglio 1863 per tre giorni, al termine dei quali l’armata confederata fu sconfitta e costretta a tornare in Virginia quando era oramai a pochi chilometri dalla capitale nordista, Washington. Questo evento è stato il centro del primo romanzo storico. In contemporanea, in Mississippi, la città di Vicksburg venne posta sotto assedio e si arrese ai nordisti il giorno seguente, 4 luglio, la fine della battaglia di Gettysburg. Questo è stato oggetto del mio secondo volume. Nel terzo invece si “visita” Georgia (dove c’è Atlanta) e le Caroline, che videro le fasi finali del conflitto e l’ultima battaglia campale della guerra, nel marzo 1865. Oggi rimane molto poco di quel tempo: a differenza nostra, gli edifici del periodo, anche se in muratura, non sono stati preservati; tra l’arretratezza pre-industriale del sud e il capitalismo del nord, quest’ultimo ha vinto e si è divorato tutto. Memoria compresa. Le città che descrivo nei romanzi le ho dovute ricostruire virtualmente, utilizzando stampe, mappe e resoconti dell’epoca».
Domanda forse leggera, ma come non pensare a “Via col vento”, parlando di Nord e Sud: un giudizio su questa pietra miliare del cinema?
«Certo: un capolavoro, sia dal punto di vista cinematografico che storico. Ho più volte sottolineato che la Mitchell (soprattutto nel romanzo) coglie a pieno lo spirito della sua civiltà contadina, la sua narrazione si discosta in parte dal film ma è storicamente coerente e mostra il fronte interno georgiano durante la campagna per la cattura di Atlanta nel 1864. Il film, dal canto suo, rende bene l’idea della progressiva scomparsa di un mondo. Via col vento è una lettura tassativa (o visione, ma meglio entrambe) per capire la società sudista del periodo, in particolare della casta dei piantatori (i pochi che detenevano il molto). Attaccare Via col vento è ridicolo e da ignoranti. Nella prefazione a “Vicksburg sul far della sera” ho anche spiegato perché è corretto rendere in modo “strano” la parlata degli schiavi, si tratta di studiare, molti però parlano spesso a vanvera». A tal proposito, un video su YouTube, dove Ferrari sfata alcune delle credenze più comuni sulla guerra civile americana.

Questa ottica di riequilibrio sulle vicende politiche e belliche è condivisa dalla storiografia americana? ù
«La visione degli eventi storici è molto diversa, a seconda che lo storico sia del nord o del sud; se poi è di colore, la visione tende a narrare la guerra come un disegno di Lincoln per l«iberare gli schiavi (cosa non vera). Io cerco di essere il più possibile obiettivo: essendo europeo, posso vedere dall’esterno e trattare il sud con il rispetto che merita per essere una nazione che ha fallito la propria guerra d’indipendenza, senza lesinare oggettive critiche laddove sono inevitabili. Questo, come da noi per altra storia, è più difficile negli USA per storici americani. Anche lì ci sono probabilmente interessi accademici, politici… tutto il mondo è paese».
America oggi: la cronaca ci racconta che fratture e divisioni sono ancora presenti e, spesso, generano violenza. Cosa può insegnare la storia?
«Gli Stati Uniti non hanno investito nella cultura pubblica (ma in poco altro oltre agli armamenti), la maggioranza delle giovani generazioni (e non solo, basta parlare con un americano medio) non ha la minima idea di cosa sia la guerra civile, spesso sono di estrazione culturale estera e, sradicati dai loro paesi di origine, faticano a trovare radici in quello nuovo. Di qui la distruzione di un passato che non si conosce, ma che viene detto essere “cattivo” e per tale motivo – perché qualcuno lo dice – è stato preso in mezzo di tutto, dai Confederati a Colombo, passando per il memoriale dell’emancipazione (sì, anche la statua di Lincoln a Boston è stata rimossa). Vedo in grossa crisi di identità gli Stati Uniti, sono i segni di convulsioni che cambieranno per sempre quella nazione, già nella prefazione del secondo romanzo ne avevo parlato (2018) e non mi sono sbagliato. Purtroppo».

Tornando all’apertura, quale è il tuo commento all’iniziativa per sostituire la statua di William Wirt Humphreys, con una di Chadwick Boseman?
«Mi verrebbe la battuta, come se a Roma (i romani praticavano la schiavitù e altre cose “immorali” per i canoni del 2020) avessero rimpiazzato il colosseo con lo stadio olimpico, anzichè costruirlo da un’altra parte… La storia è memoria e se ogni volta che una persona merita un monumento – non discuto riguardo al personaggio perchè non ho presente i suoi lavori ma ci sta che una comunità voglia omaggiare una persona per essa di riferimento – se ne fa fuori un’altra, la memoria si perde. Tutte le memorie devono convivere, pulite dalla politica. Monumento deriva da “monere”, cioè ricordare, perchè dovrebbero sapere tutti che chi dimentica il passato è costretto a riviverlo, magari sotto altre forme».
Pubblicati in Italia, i romanzi di Ferrari attendono ora un’auspicabile edizione estera, in primis proprio diretta agli USA.