Ora sappiamo che il suo nome è Chanel Miller ma prima che lei decidesse di rivelare la sua identità, per tutti è stata Emily Doe, un nome di fantasia che i giornalisti le avevano dato durante il processo per stupro seguito alla violenza sessuale subita nel campus di Stanford, la prestigiosa università della Silicon Valley.
Chanel che all’epoca dei fatti aveva 22 anni, ha deciso di uscire allo scoperto, di far conoscere non solo il suo nome ma anche il suo viso e di raccontare il difficile ritorno alla vita dopo la ferita subita. In Io ho un nome, il memoir che uscirà in Italia il 28 novembre edito da La Tartaruga, ci porta nell’abisso seguito alla violenza, i sensi di colpa, le umiliazioni del dibattimento, la vita sospesa, la difficoltà a riprendere una vita normale, ma ci racconta anche la sua rinascita, la sua capacità di risorgere e di guardare avanti.
Era il 17 gennaio del 2016, Chanel aveva accompagnato la sorella alla festa di una confraternita. Aveva bevuto e non ricorda cosa sia successo quando si risveglia in ospedale e le dicono che ha subito uno stupro ed è stata rinvenuta accanto ad un cassonetto della spazzatura del campus. Sono due ciclisti a sorprendere il suo violentatore Brock Turner, studente promessa del nuoto, proprio mentre sta compiendo la violenza sulla ragazza priva di sensi, incapace di intendere e di volere a causa dell’alcool.
Il caso seguito da giornali e reti tv americane aveva scatenato polemiche perché il giudice Aaron Persky aveva sostenuto che una dura condanna per Brock Turner avrebbe rovinato la carriera sportiva del giovane. L’accusa aveva chiesto sei anni, Persky aveva scelto una condanna di sei mesi poi ridotta a tre. Una parte dell’opinione pubblica americana si era scandalizzata e dopo una raccolta di un milione di firme, il giudice era stato ricusato, spostato di sede e destinato non più alle cause penali ma a quelle civili. Chanel che era rimasta in silenzio durante tutte le udienze, il giorno prima del verdetto si era presentata in aula con una drammatica lettera diretta al suo stupratore e gliela aveva letta guardandolo negli occhi. Un testo potente, un pugno allo stomaco, rilanciato da molti giornali e diventato virale in rete perché faceva capire il calvario che una vittima di stupro deve attraversare. Una lettera che anch’io avevo scelto di pubblicare integralmente nel mio libro Orgoglio e Preguidizi nel quale racconto la storia di Chanel, ma allora non conoscevo il suo nome vero, come esempio della piaga che affligge i college americani dove l’abuso di alcool degenera spesso in violenze sessuali.
La lettera mi aveva colpito perché spiegava molto bene come non ci sia un tempo che possa lenire le ferite che restano nell’anima di una donna violentata. Nel libro Chanel fa intravedere però anche la ricetta per guardare avanti, per volersi bene e alleggerire il peso del passato. “Sono sopravvissuta perché sono rimasta flessibile, perché ho ascoltato, perché ho scritto. Tenete alta la testa quando arrivano le lacrime, scrive, quando vi deridono, vi insultano vi mettono in discussione, vi minacciano, quando vi dicono che non siete niente, quando il vostro corpo è ridotto ad una fessura”.
Chanel è arrivata a perdonare il suo stupratore e spiega che il perdono aiuta a fare spazio per sentimenti che portano serenità. “L’odio è una cosa pesante da portare, occupa troppo spazio. Se l’ho perdonato non è perché sono una santa. E’ perché ho bisogno di liberare uno spazio dentro me stessa in cui i sentimenti duri possano essere messi a riposo”. In Io ho un nome c’è il riscatto di una giovane donna, c’è il suo orgoglio, c’è la sua forza e la riconoscenza per chi le è stato accanto, la sua famiglia, il suo ragazzo le migliaia di persone che le hanno inviato lettere e messaggi di sostegno. “Ho scritto soprattutto per dirvi quanto il mondo può essere buono. Vivere è una cosa incredibile-afferma- il solo esserci stati, l’avere provato una sensazione anche se solo per poco, il volume e la profondità dell’empatia degli altri.
Chissà perché pensavo che Chanel Miller fosse bianca invece quando ho scoperto che è asiatica americana, la nonna era cinese, ho capito quanto deve essere stato ancora più difficile trovarsi nella situazione di donna di colore assaltata da un bianco e giudicata da una giuria presieduta da un uomo bianco. Lei stessa racconta come sin da bambina sia cresciuta con l’idea di avere un posto marginale nella società, di essere trasparente e di non poter aspirare ad un ruolo da protagonista. La sua tenacia dimostra che la vita si può anche cambiare.
Di recente è stata premiata come donna dell’anno da Glamour perché la sua storia ha cambiato il modo della società di guardare agli assalti sessuali contro le donne nei campus. Chanel, sorridente in un bell’abito giallo ha scelto di leggere una sua poesia dal titolo I don’t give a damn. “La sola ragione per la quale sono qui è perché tante persone hanno avuto cura di me anche quando io non ne avevo. Dovete sapere che sempre mi prenderò cura di voi come voi avete fatto con me”.
I don’t give a damn / What you were wearing / I don’t give a damn how much you drank / I don’t give a damn / If you danced with him earlier in the evening / If you texted him first / Or were the one to go back to his place. / People may continue to come up with reasons “why it happened” / But the truth is, I don’t give a damn.
But I do / give a damn / How you’re doing / I give a damn about you being okay / I give a damn if you’re being blamed for the hurt you were handed / If you’re being made to believe you’re deserving of pain.
The only reason I am standing here / Is because people gave a damn about my well-being / Even when I did not. / They reminded me that I carry light / and I deserve to be loved / Even when I forgot.
They gave a damn. / That’s why I am who I am today.
So here’s the takeaway. / When we step up for survivors / when we stop sealing them off in shame / When we quit interrogating them with stupid questions
Look what happens.
Books are written, laws are changed, / We remember we were born to create / To not only survive, but look hot and celebrate.
Tonight you must come away knowing / That I will always, always give a damn about you / The way you gave a damn about me.
Chanel è risorta, continuerà la sua battaglia quotidiana perché ha trovato la forza di guardare al futuro. Io ho un nome apre alla speranza dopo il buio della disperazione.. “Questo libro non ha un lieto fine, scrive Chanel. Ma è bello che non ci sia un finale, perché troverò sempre un modo per continuare ad andare avanti. Tutti quelli che dubitavano di me o che mi hanno ferita o che mi hanno quasi sconfitta sono scomparsi e io sono l’unica ancora in piedi. Mi do una spolverata e vado avanti”.
Bentornata alla vita cara Chanel!