«In che modo s’inventa un ponte? Come sorge la sua forma? Si deduce dal contesto oppure si impone sulla base della sua funzione?»
Maylis de Kerangal
Lo scrittore pozzallese Michele Giardina con “Il ponte di Genova. Diario di una tragedia annunciata”, (Armando Siciliano Editore, 2019) ci consegna una singolare opera saggistica sul crollo del ponte Morandi e sulle responsabilità politiche e tecniche, colpevoli di incuria anche dinanzi alla morte.
Il suo investigare è sorretto dall’etica necessaria a tutelare giustizia e diritti umani. Come non pensare al suo “Mal di mare” del 2017, il libro- inchiesta, che trae gli stratificati concetti storici del Mediterraneo dal magma incandescente del fenomeno migratorio contemporaneo, abitato da abissali e dolorose derive.
Dal saggio-inchiesta che stasera presentiamo, penso sia opportuno riferire le parole che l’autore scrive in prima persona nel capitolo conclusivo:
Confesso che, grazie alla notevole esperienza personale maturata nel corso di lunghi anni, la scelta di raccontare con il sistema del diario quello che è successo a Genova scaturisce dalla convinzione mia personale che, seguendo ogni giorno tutti i giorni fatti ed eventi legati alla tragedia del 14 agosto, selezionando con attenzione autorevoli fonti e facendo mirati voli pindarici sulla realtà socio-politica nella quale siamo precipitati, riesca ad offrire ai lettori l’occasione per riflettere sulla prorompente domanda di cambiamento che viene dal basso (pp.179 -180)
I voli pindarici del nostro non sono solamente mirati, trasudano piuttosto di senso critico, di capacità di indagine e di scrittura per scacciare i tarli delle iniquità ammassate nella complessa società attuale. I capitoli del libro concorrono a comunicare dati e riflessioni di notevole e lucida portata sulle ferite sociali, culturali e generazionali del nostro tempo. Dal Crollo del primo capitolo, al Decreto, capitolo conclusivo, l’autore ha realizzato un arco investigativo che sostiene il ponte di parole e mattoni per catturare il senso profondo della sua plurale scrittura, che ingloba tecnologia, architettura, giurisprudenza e politica.
“Inquirere veritatem” sorregge validamente la tematica assegnatami al fine di rimuovere gli inganni e la corruzione di consolidate consorterie che minacciano coesione sociale e morale.
Tra i capitoli di tale libro ho scelto di soffermarmi su quello titolato “Lavate le vostre anime”, perché l’iniziale imperativo annuncia una sequenza di moniti, fluenti come le acque del torrente Polcevera su cui campeggiava il ponte Morandi come simbolico nesso , evocato nel tempo lungo da ardite metafore. Già l’antropologa Anita Seppilli , Sacralità dell’acqua e sacrilegio dei ponti (Sellerio, Palermo 1977) ricomponeva il carattere simbolico e antropologico del ponte e, soprattutto, il suo segno sacrilego che inevitabilmente, nell’orizzonte leggendario, richiede un sacrificio espiativo. Certo siamo oramai lontani dai racconti mitici ma l’acqua del torrente, gli spezzoni del ponte armato di stralli e le quarantatré vittime innocenti mi hanno spinto a considerare come il nostro autore abbia trasposto alla realtà socio -politica il sacrilegio. In tempi a noi più vicini nel 2013 è il romanzo Nascita di un ponte, della scrittrice Maylis de Kerangal che aggiunge alla già copiosa letteratura il protagonismo di un immaginario ponte corale e collettivo; ancora per rivedere icone e commenti anche filosofici permane lo straordinario contributo di Alberto Giorgio Cassani, Figure del Ponte. Simbolo e architettura (Pendragon 2014). Allora il merito del nostro giornalista scrittore che ha inteso offrire ai lettori l’occasione per riflettere sulla prorompente domanda di cambiamento che viene dal basso, è consapevolmente perseguito. Anzi tali richiami dimostrano come il codice espressivo del nostro autore, avvolgendo frammenti di detriti e corpi senza vita, sia un protagonista coinvolgente ragione e cuore: anafore fortemente incisive, Voi che lo Stato rappresentate, Voi che lo Stato siete oppure è arrivato il momento della confessione purificatrice, scuotono vistosamente e coraggiosamente colpevoli assenze e silenzi, spiegano inciuci di potere e disvelano correlata mangiugghia, poiché il crollo del ponte Morandi rappresenta metaforicamente la frattura del patto politico-sociale, sgretolatosi fino alla negazione della sacralità della vita.

In tale capitolo lo stesso autore sostiene con forte partecipazione che il crollo del ponte Morandi appare come un segno del destino. Drammatico, chiaro e forte il messaggio simbolico trasmesso all’Italia e all’Europa: questo è il momento di farla finita con procedure e schemi infami, contratti a senso unico, accordi fasulli, politiche confusionarie, supremazia dei poteri forti, vergognose protezioni di casseforti bancarie e sudditanze umilianti!
La tessitura testuale, suddivisa per riferimenti e associazioni contenutistiche, materializza l’antipolitica con efficacia significativa: bilanciata da domande ancora aperte, da asserzioni articolate in un eloquio personale che cattura antropologicamente i gesti e i luoghi dei bisogni sociali e delle attese generazionali, cartografie di un’umanità da conoscere e vivere, invocando l’urgente necessità di sburocratizzare pratiche e appalti, di riformare sistemi clientelari, di attuare la vera e cruda giustizia. Le pagine coinvolgenti anche per la stesura paratattica, cioè fatta di brevi frasi, rivelano che la ricerca della verità appartiene ad un meticoloso lavoro di chi, come Michele Giardina, ha fatto della scrittura il proprio mestiere, creando un’originale cifra stilistica per accelerare il ritmo narrativo e annullare partigianerie e routinaria cronaca.
La scelta della forma diaristica, che copre la durata temporale tra il 14 agosto e il 16 ottobre 2018, chiarisce l’inserimento di fonti e citazioni originate dalla sirena d’allarme del porto di Genova che attraversa acqua, terra e cielo.
La mia lettura ha cercato anche di trovare una risposta alla domanda, che credo possa essere condivisa: come mai lo scrittore pozzallese ha elaborato tale libro-inchiesta per il crollo del Ponte Morandi di Genova? Al di là delle sommarie considerazioni sui legami dei marinai pozzallesi con la città portuale di Genova, è stata la storia a farmi ricordare che già Girolamo Centurione, mercante e console dei Genovesi a Palermo, ottenne in arrendamento dal 1564 al 1569 la Contea di Modica con il Caricatore di Pozzallo. L’arrendamento era la concessione in gabella di servizi locali o statali a ricchi mercanti, per lo più genovesi operanti in Sicilia, i quali facevano agli enti pubblici concedenti grossi anticipi sul dovuto (F.L. Oddo,1983).
Probabilmente lo storico ponte mediterraneo tra Genova e Pozzallo può sembrare un azzardo, eppure quella lontana parentela oggi ci consegna il libro-inchiesta del pozzallese Michele Giardina, autore del ponte umano della vita e della storia, delle città e delle nazioni.