È stato presentato il 21 novembre un libro sui generis in un luogo di tanti nostalgici ricordi. Il libro è Colori nella penombra (Sce, Spazio cultura edizioni, 2018 Palermo), ed è l’autobiografia di Tommaso Di Gesaro, Presidente della Sezione Territoriale di Palermo dell’Unione Italiana Ciechi. Il luogo è il teatro ai Cantieri Culturali alla Zisa, pieno zeppo per l’occasione e intitolato a Michele Perriera, tra i fondatori del Gruppo ’63, regista e animatore e inventore del Teatro Teatés con l’annessa scuola di teatro. Con lui abbiamo iniziato l’avventura dell’insegnamento, le prime ribellioni, le scadenze noiose, mentre dava un senso a tutto il dialogo vivo e coinvolgente con i ragazzi, la scoperta e la condivisione dei loro problemi e della loro insoddisfazione. Furono gli anni gloriosi della contestazione, quando, nel bene e nel male, a torto o a ragione, lo preciso, i giovani vissero la loro vita con entusiasmo e ardore ribelle e creativo. Poi certo la vita li ha trascinati nel vieto conformismo. Eppure è un’eresia cancellare o volere addirittura condannare quegli anni e la partecipazione dei giovani, la contestazione giovanile in blocco.
Ma per tornare al libro esso è un omaggio alla vita e un messaggio ad affrontare con spavaldo coraggio le ostilità della vita, le cadute, le offese della natura e degli uomini che ci annientano. E l’umana vicenda dalla luce all’ombra e infine al buio, ma vissuta con la straordinaria ostinazione a non darsi mai per vinto. Non so quanto possa esserci di diverso nel nascere senza aver visto la magia della natura, i tramonti e le albe, la malia della canicola che formicola nell’aria, il candore della neve, il non essere mai stato parte di questo universo. Oppure essere nato con la visione delle meraviglie dei colori, l’illusione ottica che ci fa distinguere un oggetto dall’altro, che ci incanta con la scala dell’arcobaleno e poi, improvvisa la spada di Damocle già da bambino, in una inesorabile e graduale condanna definitiva e senza rimedi o vie di uscite, l’avanzare progressivo delle ombre. Fino al calare completo delle tenebre. Questa biografia racconta proprio questo percorso che visto con gli occhi di un vedente appare senz’altro drammatico. Eppure nell’incantata rievocazione, ora nelle tenebre, di una fanciullezza abbagliata dai colori della natura, le vallate e le colline della sua Isnello, ci prende un sentimento di sollievo e di partecipazione, una speranza che non stronca mai la gioia di vivere. Quei luoghi e quei colori non sono completamente morti in lui, ma vivono e rivivono e risplendono nella loro limpidezza ed incanto, nello scrigno sublime nella memoria, in quel deposito di oggetti perduti, di passati incontri, di tanti amori sfiorati, di opportunità mancate. C’è in questa rievocazione, la perfetta rivisitazione, concreta ed incontrovertibile, di quegli anni, con un sentimento di completo possesso ed abbandono, una gioia nel riviverli intensamente e pienamente, senza bestemmie o inutili vittimismi. Si percepisce chiaramente la gioia di esistere.
Infatti proprio questo stato di progressivo abbandono del mondo, reso uniforme dalle tenebre, non è visto mai come punizione o condanna, il desolato “perché proprio io” che è la scorata rivalsa di chi è privato di un tesoro della natura comune a tutti gli esseri viventi. Da lucido e limpido riandare nel ricordo c’è una uniforme serenità senza condanne o rivolte per il destino avverso, ma un fluire ininterrotto di scommesse, nonostante ostacolate o apertamente proibite. L’idillio della famiglia contadina povera di un paese di montagna, parenti che fuggono nella Merica e lì trovano fatica e talvolta fortuna. O lo sfogo più a portata di mano, senza il trauma incolmabile per un addio definitivo e di insperati e sconvolgenti ritorni, quello europeo, più esteso da noi verso la Germania negli anni che allora per qualcuno e non per tutti, forse per gli industriali foraggiati dallo Stato, furono il tanto esaltato “boom economico”. Ma sempre un trauma per le vedove bianche e per i figli orfani per assenza. E le prime difficoltà frapposte davanti al desiderio imperioso di andare a scuola.
La stessa associazione dei ciechi accettò non di buon grado la frequenza delle elementari, postergata di due anni, ma ancor più quella della scuola media e gli sbatté la porta in faccia quando si trattò di fare gli esami di ammissione. Ad un cieco era tutt’al più permessa una scuola professionale, diciamo un corso di telefonista. Ecco cosa visse quest’uomo, ma devo pensare tutti quanti si sono trovati con questa privazione. E la prima scommessa fu superare con ostinazione questo rifiuto ed entrare con qualche diffidenza alla scuola media dell’Istituto nei prestigiosi e sontuosi locali dell’Istituto dei Ciechi Opere riunite Ignazio Florio – F. ed A. Salamone di via Angiò. Fu un percorso faticoso ma superato con profitto. Può un cieco pensare di intraprendere la carriera religiosa. Con ostacoli e perplessità fu ammesso al seminario. Molti giovani dei paesi ricorrevano a questo espediente per ottenere la licenza liceale e tornare poi laici. Ma egli credette nella vocazione: gli fu detto alla fine che un cieco avrebbe imbarazzato i fedeli. L’ostinazione agli studi lo spinse a chiedere l’iscrizione ad un Liceo classico. Uno dei prestigiosi licei palermitani lo rifiutò, lo accolse il Liceo Garibaldi. Forse a questo punto è opportuno fermarmi e lasciare la sorpresa di questa corsa ad ostacoli al lettore, anzi all’ascoltatore perché dal libro è nato un audiolibro allegato in CD, al quale dà la sua voce dolce e calda Laura Ephrikian, con stacchi e sottofondo musicale di Salvo Capizzi.
Voglio soltanto dirvi che anche la politica lo ha tradito, deludendolo o allontanandolo, facendolo infine dimettere da assessore al Comune di Palermo, che il suo stesso Istituto lo sostituì sempre con il pretesto che con il suo handicap non poteva dare un contributo efficiente. Eppure con tanti ostacoli quest’uomo è riuscito onorevolmente a laurearsi in giurisprudenza e a intraprendere la professione di avvocato quando il suo istituto lo mise alla porta come presidente. Ed resta la testimonianza per noi vedenti più dolorosa, da lui accettata con il sorriso sulle labbra e con l’ostinazione alla vittoria, di quella emarginazione generale che è prova di questa moderna società dell’efficienza e della produzione.
Il libro è l’analisi impietosa, ma ferma e senza pianti o recriminazioni di uno scandalo: un cieco non può. Potrebbe essere un atto di accusa, ma si sviluppa invece nella consapevolezza che la vita presenta degli ostacoli, che nessuno è insormontabile e ci si deve impegnare a superarli, secondo importanti punti di riferimento, «il grande senso della libertà intesa come valore assoluto e un sincero amore per la vita e l’umanità», «guardare al bicchiere mezzo pieno e non desistere mai davanti a nessun ostacolo».