È uno dei casi più complessi ed oscuri della storia della cronaca nera italiana. Il 22 ottobre del 2009, Stefano Cucchi, geometra trentunenne di Roma arrestato per possesso e spaccio di droga, muore durante la custodia cautelare. Il caso, date le sospette circostanze della morte dell’arrestato, rimarrà aperto per anni a seguire, e lo è tuttora.
I fatti sono ormai noti. La notte in cui Stefano Cucchi viene arrestato, e portato in caserma, pesa soltanto 43 chilogrammi. È magrissimo, in evidente stato di malnutrizione. E quando si tiene l’udienza per confermare il fermo in carcere, il ragazzo porta impressi sul volto i segni delle botte: nulla di tutto ciò viene notato, e Cucchi viene addirittura identificato come un individuo “senza fissa dimora”. Anche se il ragazzo è da sempre residente a Roma, e dunque un cittadino regolare. Dopo l’udienza preliminare, durante la custodia cautelare al carcere di Regina Coeli, le condizioni del ragazzo non fanno altro che peggiorare. Viene quindi portato d’emergenza al Fatebenefratelli, dove cominciano ad affiorare le prime prove della violenza subita, sotto forma di “lesioni ed ecchimosi alle gambe, al viso, all’addome, e al torace, una frattura alla mascella, e altre due alla colonna vertebrale”. Il ricovero, però, non avviene a causa del mancato consenso del paziente. Cucchi muore all’ospedale Sandro Pertini il 22 ottobre 2009, e al momento del decesso pesa solamente 37 chilogrammi.
Di ciò che accadde in quelle oscure finestre di tempo tra l’arresto, l’udienza, e la permanenza al Fatebenefratelli, di ciò che infierì al fisico già straziato tutte quelle devastanti lesioni, si parlerà nei mesi e negli anni a venire, in una estenuante ricerca della verità. Nonostante l’omertà che ha accompagnato dall’inizio questa drammatica vicenda, la famiglia, agendo con coraggio lodevole, mostra all’opinione pubblica le tragiche foto scattate al cadavere del ragazzo in obitorio. I segni della violenza, oltre a quelli di denutrizione, sono a dir poco evidenti, e portano, inesorabilmente, all’apertura di una traballante inchiesta dove cominceranno a profilarsi le oscure ipotesi di pestaggio poliziesco e abbandono d’incapace.

A nove anni di distanza dalla tragedia, la famiglia di Stefano Cucchi lotta ancora per portare alla luce tutta la verità dei fatti, e assicurare alla giustizia i colpevoli. Di recente, una svolta al processo è stata impressa dalla testimonianza di un carabiniere – uno dei tre imputati per omicidio preterintenzionale –, che ha confessato il pestaggio di Stefano, chiamando in causa i colleghi. Ma per arrivare a questo punto, è stato necessario combattere, e ricostruire, pezzo per pezzo, tutta la storia. È proprio questo che cercano di fare Emanuele Bisattini, Floriana Bulfon, Domenico Esposito, e Claudia Giuliani con Il Buio, La lunga notte di Stefano Cucchi, una graphic novel che cerca di illuminare con luce veritiera l’oscurità della tragedia.
“La ricostruzione di ciò che è accaduto per noi è stato davvero il Buio” scrive Ilaria Cucchi, sorella coraggiosa del 31enne romano, nella prefazione dell’opera, “il Buio in cui ci siamo trovati per tutte quelle ore e quei giorni prima di vedere il corpo martoriato di mio Fratello Stefano. Il buio durato nove anni prima che un elemento portasse alla definizione di una verità che speriamo venga presto accertata. Il potere di questo fumetto è di interpretare e descrivere anni di indagini e depistaggi che finalmente riprendono luce dopo nove lunghissimi anni. Una notte lunghissima per tutta la nostra famiglia.”
La graphic novel, che ha debuttato al Lucca Comics&Game del 2018, è una forma narrativa che, pur in circolazione da diversi decenni, sta ultimamente godendo di una seconda giovinezza. A livello concettuale, è parecchio lontano dal fumetto. Invece che una storia breve, che si racconta uscita per uscita, la graphic novel si avvicina di più all’idea di un romanzo unico, continuamente illustrato. I contenuti letterari, dunque, sono di alto, altissimo spessore, e sono accompagnati, in ogni momento, da illustrazioni che trasportano le scene descritte nel mondo visivo.

Quando si parla di un caso di cronaca complesso come questo, però, può sembrare che la graphic novel non sia forse il genere più adatto. Invece, l’ineguagliato potenziale di un simile racconto visivo sembra perfettamente adatto a far da vestibolo al racconto. Un conto è raccontare la storia, tutt’altro è raccontarla attraverso un progetto estetico e visivo che ne illustra immediatamente tutte le implicazioni etiche. In casi come questo, portare al lettore un resoconto visivo della scena è fondamentale, perché, in fin dei conti, non lascia annacquare dalle parole l’immagine, violentissima, di quanto è accaduto. Mettendo a fuoco con precisione artistica le immagini più difficili da digerire, la graphic novel non consente il lusso di rifugiarsi in pensieri più confortevoli: la verità è lì, stampata e disegnata.
L’ambizioso progetto portato a termine da Red Robin Editrice, insomma, si addice perfettamente alla gravità del caso. Porta alla luce ciò che, fino ad ora, è rimasto per troppo tempo nel buio, senza lasciare via di fuga immaginativa. L’immagine, quanto più dolorosa possa essere, rimane lì, fissa e immutata, e si deposita nell’immaginario di chi legge. Ed è questo che, quando ci troviamo di fronte a tragedie così complicate, bisogna saper fare: accettare l’aspetto del vero, per quanto possa far male, immedesimarcisi e comprenderlo a fondo. È ciò che rende Il Buio il miglior modo di raccontare questa tragedia: la verità, anche quando fa male, va detta senza lasciar spazio a capri espiatori, va portata alla luce anche se il buio ci terrorizza.