“Venite a viaggiare con La Dolce Vita University (LDVU) fino al cuore della cultura italiana, nello spirito seducente della dolce vita. Come una scatola di dolci italiani, LDVU è la perfetta fonte che introdurrà chiunque sia curioso – o già innamorato – all’Italia e al suo notevole tesoro culturale nascosto”, scrive l’autrice del libro La Dolce Vita University, Carla Gambescia, per introdurre la sua opera e la sua ricerca sui lati più nascosti della italianità.

Il libro, pubblicato quest’anno, è una “guida anti-convenzionale alla cultura italiana dalla A alla Z”. Dentro, ci potrete trovare numerosissimi piccoli essays riguardanti gli aspetti folkloristici e dimenticati di tutte le regioni, in ordine alfabetico.
Si parte da “A sta per Arlecchino”, “Arrangiarsi” e “Arte”, per finire con “Zecchino”, “Zuccari Mostri Mashup” e “Z sta per Zanni”. E, tra la A e la Z, l’universo che, per l’autrice, circonda la parola “italianità” e che lei ha riscoperto durante la sua vita essere la radice della sua identità.
E’ italo americana, infatti, e discende, come tantissimi altri americani, da immigrati italiani. “La famiglia di mia madre è della Basilicata e la famiglia di mio padre dell’Umbria”, ha detto a La Voce di New York. Ma è in Sicilia che è avvenuta la sua “riconnessione con l’Italia”.
“Ho fatto molti viaggi in Sicilia, ed è stato divertente perché … lì la situazione era ancora disastrosa, ma ho fatto il viaggio più bello della mia vita. Condividiamo la stessa ancestralità, siamo italiani. Ed è stato così che ho sentito una connessione”, ci ha detto.
Ma l’Italia l’ha sempre respirata da bambina. “Quando ero piccola, mio padre la domenica mi faceva la lezione settimanale di italiano, e finiva sempre a parlare delle storie dei grandi personaggi italiani. Mi raccontava di Galileo, dei suoi esperimenti a Pisa, e della storia d’amore di Dante e Beatrice”, ha raccontato. E da qui, dalle sue origini e dalla sua famiglia, ha iniziato a sentirsi orgogliosa della sua italianità. Gambescia sembra vedere l’Italia come un paradiso dalle storie romantiche e avvincenti, un fulcro da cui si è espansa la cultura occidentale.
“Molti modi di dire che abbiamo [in inglese] non sappiamo da dove derivino”, ha detto, riferendosi alla storia romana e greca da cui derivano molti termini di cui ormai si è scordato il vero significato. “Il latino è una finestra di comprensione verso il mondo”, ha detto, “mi viene voglia di studiarlo”.

Da questo amore verso lo stivale, Gambescia ha fatto nascere prima un bar-ristorante ormai chiuso, con uno dei gelati – ben 18 gusti – più straordinari di New York (per la precisione Westchester County), e questo libro.
Tornata da quel viaggio in Sicilia, “ho preparato un business plan per il ristorante, che ho chiamato Via Vanti”, ha detto. “Ci avevo pensato per 10 anni, e alla fine avevo trovato quel posto, che mi piaceva molto, e ho deciso di realizzare i miei piani”.
L’aveva aperto nel 2008, a pochi giorni dall’inizio della crisi che poi avrebbe colpito il mondo intero. “E’ stato difficile, ma il ristorante era incredibile e sentivo di riuscire a realizzare molte delle mie aspirazioni, cioè portare in vita l’Italia. C’erano storie sulle varie opzioni del menu, e le pizze erano chiamate con i nomi dei grandi del passato… e non era una scelta random”, ha detto.
Descrivendo il suo menù, ci ha raccontato di come, “per esempio, la pizza chiamata Vivaldi aveva dei peperoni e pomodori grigliati in memoria del Prete Rosso; c’era la Dante, e la Beatrice – questa aveva miele, menta, gorgonzola e noci tostate”.
Che tipo di persone frequentavano il ristorante? – abbiamo chiesto. “Veniva la comunità. Era interessante perché era proprio quello che volevo fare. Amavano i gusti del gelato. Ce n’era uno alla gianduja, ma quando l’ho chiamato Nutella l’ho venduto meglio. Insomma, dovevo fare degli aggiustamenti, ma solo per marketing”, ha raccontato. Ma questo non aveva influito sull’autentica italianità del posto. “Avevamo cene speciali, che celebravano un ingrediente. Avevo scoperto che se durante queste cene parlavo, e davo il background di quel sapore, del cibo, della regione, riuscivo a trasmettere una soft education, e le persone erano molto interessate”.
La Dolce Vita University with Carla Gambescia from New Castle Media Center on Vimeo.
“Volevo creare un ambiente che permettesse alle persone di sentirsi come se avessero messo piede in Italia, quando mettevano piede nel ristorante”, ha detto, spiegando il significato della sua missione. “Aveva un’atmosfera italiana, ma non era come una di quelle icone dell’Italia solite e prevedibili. Sai, davamo una speciale sensazione dell’Italia, avevamo un bellissimo bar; e il gelato veniva dall’Italia”. Per esempio, ha raccontato: “amo molto Venezia e il pavimento del ristorante, le mattonelle, avevano la stessa fantasia di quello nel palazzo del Doge”
Una lettura didascalica del cibo, quella di Carla Gambescia, che ha permesso al suo ristorante di restare nel cuore della comunità di Westchester County. La vera essenza del suo lavoro, infatti, era quella “di condividere, in un modo divertente, con le persone”.
Cosa piaceva di più del tuo ristorante alla comunità? Erano attratti solo dal buon cibo o c’era qualcos’altro? – abbiamo chiesto. “Penso che ad attrarli fossero più elementi. Il gelato era straordinario, ed era centrale – erano quelle vaschette italiane, così belle. Tutti prendevano il dessert. Sai, tutti quelli che facevamo erano con il gelato. E avevamo anche incredibili pizze, e altre pietanze. Ma penso che dietro a questo, ci fosse anche una parte di insegnamento”.
10 anni dopo dalla sua apertura, il ristorante di Carla Gambescia ha dovuto chiudere. Ma la sua missione di esportazione della cultura italiana ha continuato. È così che è nato il suo libro, La Dolce Vita University. “Penso che la missione del ristorante fosse quella di promuovere la cultura italiana. E il libro è un modo migliore per farlo, posso raggiungere molte più persone”, ci ha detto.
Quanto c’è del tuo ristorante nel libro? – abbiamo chiesto. “Penso sia difficile dividere le due cose … Direi che sono stata molto più coinvolta nel cibo dopo aver aperto il ristorante – e anche nel vino – ma in generale ho sempre messo molta energia nell’arte, nell’architettura”, ha risposto, riferendosi al nucleo centrale del libro, che gira intorno alla cultura culinaria.
Ma non solo quella. “Penso sia un mix. Il ristorante mi faceva capire che le persone erano affamate di queste informazioni, a loro piaceva davvero, piacevano i piccoli fatti”, ha raccontato. L’apprendimento infatti, per l’autrice è migliore quando avviene con piacere e intrattenimento. “Sai, se dai loro un bicchiere di vino, racconti una storia, imparano cose, sono contenti… questa è la vera essenza del libro”, e questa è l’essenza del suo approccio alla sua missione anche in un senso più generale.
“Avevo questi essays, non lunghi, che permettevano di imparare le cose non in maniera accademica – a parte il fatto che c’erano molti fatti e ricerche”. Una forma di racconto che “permetteva alle persone di imparare la storia, la cultura e l’arte in un modo che fosse divertente e accessibile a tutti”. Successivamente, Gambescia ha messo insieme questi piccoli testi per creare una vera e propria enciclopedia del sapere italiano, La Dolce Vita University.
Alcuni di questi testi li aveva già preparati, ma poi la sua ricerca è andata oltre ed è continuata a lungo, prima che riuscisse a mettere insieme il materiale e farne un libro. “Ho scoperto cose che non sapevo. C’è così tanto nella nostra cultura, cose che derivano addirittura dall’epoca romana, che non sappiamo e a cui non pensiamo, cose che diamo per scontate. Hanno le loro origini in Italia ma noi non le capiamo, e ci concentriamo sulla vita quotidiana senza considerarle”.
Soprattutto, la sua guida attraverso gli aneddoti è rivolta ai giovani, “che crescono in quest’epoca, e hanno dimenticato molte cose. Ma l’Italia ci circonda. Se ordini un Bellini al bar non pensi al motivo per cui sia chiamato così; lo stesso capita per il carpaccio, non ci pensi due volte alla ragione di quel nome”.
Una rivisitazione della cultura italiana che è quindi interessante anche per chi l’Italia la conosce bene, oltre a chi è affascinato dal mito del Paese della dolce vita.
È Carla Gambescia ad insegnarci che Bolognese non è solo il ragù. “Era un tipo di cane, molto prima di essere una salsa. È infatti presente in molti dipinti, e i reali se li regalavano a vicenda come segno di cortesia”, ha raccontato a La Voce.
Ma oltre che svelare aneddoti del tutto dimenticati, il libro è anche un’ottima fonte di conoscenza dell’italianità solitamente snobbata dal turista americano medio. Da sarda, non ho potuto non notare diverse sessioni dedicate alla Sardegna, terra non inclusa nell’immaginario collettivo mondiale dello stivale. A parte lo stereotipo degli isolani centenari, che viene spesso citato – e che l’autrice spiega con l’espressione a kent’annos, che non può non lasciare sulla bocca del lettore/lettrice sardo un sorriso -, Gambescia ha riscoperto nel suo libro tesori naturali difficilmente conosciuti al mondo, a partire dal Cannonau e dalla disarmante bellezza naturale di Capo Nord.
“Ci sono anche altri temi, su cui vorrei scrivere un secondo libro. Quando ho scritto questo, stavo facendo ricerche e mi accorgevo che c’erano moltissimi argomenti legati l’uno con l’altro. C’è molta musica su cui volevo scrivere, ma poi non sarebbe stato il libro che è ora”, ha detto, introducendo la possibilità di una nuova pubblicazione.
La Dolce Vita University è sicuramente una guida ai saperi nascosti – anche a noi italiani – della nostra terra. A volte sono presenti delle imprecisioni e degli stereotipi, ma risulta, in generale, una fonte di sapere per chi si voglia addentrare nella cultura italiana, fatta anche, certamente, di aneddoti. “E’ un modo divertente, e facile di imparare, senza dover studiare così tanto. É così piacevole… e puoi strabiliare i tuoi amici ai cocktail party”, ha detto sorridendo.
Cosa ti aspetti penseranno gli italo americani quando leggeranno il tuo libro? – abbiamo chiesto. “Saranno così felici di essere italiani! Saranno così orgogliosi!”, ha risposto. Ma sono davvero queste storie a renderci italiani? Carla Gambescia pensa di sì. Almeno, da qualche parte, una cultura comune dovevamo iniziare a scriverla.