Pubblico delle grandi occasioni, domenica sera, al Center for Jewish History di New York per la presentazione del romanzo di Alain Elkann ‘’Money Must Stay in the Family’’, appena pubblicato in inglese dalla CPL Edition, la casa editrice del Centro Primo Levi di New York. Uscito in Italia già nel 1996 con il titolo “I soldi devono restare in famiglia’” e ora prossimo a una riedizione, il libro è la storia romanzata di una famiglia ebraica italiana per molti aspetti diversa dalle altre, ricca, viziata, e in parte vicina al Fascismo ma costretta, come tante altre, a trovare rifugio negli Stati Uniti dopo l’emanazione delle leggi razziali volute da Mussolini nel 1938. Una storia chiaramente ispirata dalla figura della madre dello scrittore, Carla Ovazza, e da una famiglia che ha spesso pagato tragicamente di persona per le vicende politiche degli ultimi cento anni, dall’assassinio di Ettore Ovazza, zio di Carla e fascista convinto da parte dei nazisti all’esilio negli anni della guerra e fino al rapimento per oltre un mese della stessa Carla nel 1976.

E contemporaneamente anche il racconto del trauma di un difficile adattamento a una nuova vita che ha accomunato tanti esuli in fuga dal nazi-fascismo e delle sue conseguenze sui discendenti. La vicenda che Elkann racconta si dipana lungo molti anni, dal 1941 al 1992 e in molti luoghi diversi, da Roma a Parigi, dalla Toscana a Gerusalemme. Al suo centro però c’è una New York piena di contrasti anche all’interno delle minoranze di esuli ebrei e la figura di una protagonista, Olga Ottolenghi, impegnata già negli anni dell’esilio a salvare l’unità della sua famiglia.
Ormai da anni uno dei più accreditati scrittori e intellettuali italiani, autore di molti libri su temi ebraici e non ebraici e collaboratore di numerosi giornali, Elkann ha risposto alle domande di Alessandra Stanley, ex corrispondente da Roma e da Mosca per il New York Times, e di Mario Calvo Platero, scrittore e opinionista della Stampa, ed è stato accompagnato dal fratello Giorgio Barba Navaretti, insieme a cui ha mostrato una serie di preziose vecchie immagini filmate della famiglia Ovazza ritovate recentemente.
A Alain Elkann, La Voce di New York ha fatto alcune domande.
Il suo libro è uscito per la prima volta in Italia ormai vent’anni fa e sarà ripubblicato presto. Ora è a disposizione dei lettori anche in inglese. Pensa che il suo messaggio sarà accolto ora in maniera diversa, in una situazione internazionale molto cambiata?
“Probabilmente sarà accolto in maniera diversa nel senso che il mondo cambia. Io sono molto contento che il libro sia ripubblicato in italiano e per l’uscita della versione in inglese per una serie di fattori, c’è una recrudescenza di populismi e di fascismi in tutto il mondo e spero che il libro in qualche modo metta in guardia su quello che può succedere, che faccia capire ai lettori che la storia può spaccare il destino di una famiglia e degli esseri umani coinvolti”.
Pensa che sia aumentato l’interesse del pubblico nei confronti dell’ebraismo e delle sue vicende?
“Non lo so, il mondo ebraico è sempre osservato con attenzione e anche c’è un sempre il pericolo latente dell’antisemitismo . Da un lato c’è l’antisemitismo che dilaga per tradizione antica, c’è il pregiudizio religioso, la paura dell’altro. Adesso c’è il pregiudizio latente in Inghilterra e in Germania, ci sono i partiti estremi in Ungheria e in Polonia, la destra vince in Austria, il populismo in Italia, c’è ancora il rischio della Le Pen in Francia. Qualche volta l’antisemitismo si è mascherato da pregiudizio contro Israele, non soltanto cristiano, ma anche di matrice islamica. Poi c’è anche l’antisemitismo culturale, da salotto. Non sono segnali incoraggianti. Gli ebrei sono una minoranza che ha subito molte persecuzioni ma che è riuscita a sopravvivere per 5 mila anni continuando le proprie tradizioni.

E in certi momenti storici questo dà più fastidio e l’antisemitismo diventa più vivo . Ma non possiamo dimenticarci che tutto questo è degenerato nelle forme mostruose di persecuzione del nazi-fascismo”.
La sua è una storia familiare. Nel suo libro non si parla affatto della parte che molti esuli ebrei italiani hanno avuto nella lotta contro il fascismo negli Stati Uniti. Come mai?
“Questo libro è soprattutto un omaggio agli Stati Uniti che hanno salvato la mia famiglia e speriamo che l’America conservi questa democrazia e questa apertura, perché è grazie all’America che la mia famiglia si è salvata. La mia non era una famiglia impegnata in politica e questo non era il punto centrale del romanzo. Non dimentichiamo poi che per gli ebrei fuggiti dall’Europa c’era un simbolo fondamentale della libertà ed era Charles De Gaulle, che stava a Londra. A Londra c’erano i governi provvisori francese, polacco e altri , lì si erano coalizzati diversi personaggi forti ma non mi sembra che tra questi ci fossero dei personaggi forti italiani, Salvemini era negli Stati Uniti, non in Inghilterra. Per questo nel mio libro, che ha anche una parte francese, è più forte la parte gaullista che non quella italiana. I francesi erano molto più numerosi degli italiani e avevano un modello oltreoceano a ispirarli, gli italiani erno molto meno numerosi e evavano dei punti di riferimento molto più deboli. E poi non dimentichiamo che gli ebrei francesi sono molti di più degli italiani e la Francia è un paese molto più razzista nella sua genesi di quanto non sia mai stata l’Italia , basti pensare al caso Dreyfus. In Italia, l’antisemitismo è stato più trionfale perché è diventato legge nel ’38, e questo è stato un voltafaccia totale, dall’oggi al domani, ma gli italiani non hanno mai portato la stella gialla”.

Come mai ha preferito scrivere un romanzo, invece che raccontare la storia vera?
“Perché non amo scrivere storie vere, preferisco scrivere racconti e romanzi , mi interessa di più trasformare la realtà in fiction. Attraverso la fiction, come hanno mostrato tanti altri scrittori, si capiscono meglio le cose e con un romanzo sono riuscito a ricostruite un ambiente, un mondo”.