Esce, nella collana di poesia Iride dell’editore Rubbettino, Route 117, Poesie in forma di vita, una intensa raccolta di versi di Anghelos Trojani, professore dal solido curriculum accademico, esordiente nel genere, con un libro tanto profondo nei contenuti quanto dirompente nella tecnica del linguaggio. Voglio innanzitutto ringraziarlo per averci consegnato un libro di poesie superbe, alcune stupende, nonostante la crudezza se non la crudeltà di certi versi.
Quella di Trojani è poesia di speranza. Mai, quella che gli antichi chiamavano ultima dea, è stata tanto assente come oggi, nell’epoca in cui vince la cultura della perdita di senso, e per questo uno dei compiti della poesia può essere definito quello di trasmettere speranza. Attenzione: ad una lettura superficiale Trojani sembrerebbe trasmettere disperazione più che speranza, ma, come dice Thomas Merton, è capace di capire la speranza solo chi passa attraverso la disperazione. Non può essere diversamente dato che abbiamo imparato a considerarla, questa speranza, come una virtù che deve, quindi, essere voluta, ricercata, desiderata e, infine, c’è da augurarselo, trovata.
Quella virtù va vissuta nell’esistenza quotidiana: in Route 117 ciò appare in modo inequivocabile. Lo esplicita il sottotitolo della raccolta, Poesie in forma di vita, non casuale, così come non lo sono i titoli, che tutti richiamano al quotidiano, delle tre sezioni in cui il libro è diviso: L’amore, Il senso, Le vite.
Il poeta ci si consegna come protagonista di una lotta, apparentemente impari, tra disperazione e speranza. È facile dire che la prima prenda il sopravvento. Nella lettura di poesie come Naufragio, Bolle, Sassi, sembrerebbe trovarsi conferma. Ma da lì ci si “rialza” con i versi di Nel fondo e, ancora di più, con Senso. “Poeti in cerca di senso/ … / Il cielo è unico/ Io tanti/ Che tirano su/ Gli occhi/ E li abbassano/ Consapevoli”. Quest’ultima parola “Consapevoli”, mi pare un poema: vi è il segreto di quell’andare che è la vita, che sovente diciamo di trascorrere inconsapevolmente, mentendo a noi stessi.
È la poesia Sete che ci rivela questa menzogna che non abbiamo il coraggio di ammettere. Sembra chiudere con la disperazione di “Vago e non trovo/ La strada per la sete”, ma in realtà non cancella la fermezza di una convinzione che orienta e non vuole rassegnarsi: “Continuerò a chiedere/ Agli umani che incontro”. Tutto questo contro la pochezza del vissuto, dove ciò che è oscuro, in tutti i sensi, sembra prendere il sopravvento, come si legge in 8 marzo: “Il tempo in cui tutto è sacro/ Il tempo in cui tutto è sciatto”. In questo miscuglio, si avverte lo scontro tra la disperazione e la speranza, ma la voglia di continuare, di vivere sembra essere più forte, come si intuisce in Nostalgia e, ancor di più, in Rimorso, per confluire, poi, nell’apoteosi di Eucarestia. “Cristo si fa mangiare per amore/ Nell’Eucarestia/ E noi mangiamo l’un l’altro/ Per gola e rapina/ Niente avendo capito”. Traspare dai versi una vita che si dipana in esperienze disparate, dolci e velenose: comunque una vita vissuta intensamente e per la quale si sente il bisogno di ringraziare.
Da qui nasce il senso, nobile ma desueto, di pietà, descritto dalla poesia che ne porta il nome. Bellissima! Inutile citarne qualche parola. Va letta tutta e, se è il caso, “mandata a memoria”, come si diceva una volta. Sa conservare quello che è utile e scartare, bruciare, come si legge in Cerino, ciò che è inutile e si riduce in falò, tanto “Usciranno/ Domani/ Altri quotidiani”. A volte, ostinarci a conservare quello che andrebbe bruciato e dimenticato, produce inutili Cicatrici. Nell’accantonarle, “Sparirebbe la frenesia/ Con un nulla da azzannare”. Quanto è vero che la rancorosa cattiveria ci lacera dentro e ci logora fuori!
Che farci? Solo la maturità sa darci il senso vero del tempo. Vecchi: “Il tempo ha due ritmi/ Uno spinge/ L’altro resiste/ Voglia/ Di vivere”. Da qui il vagabondaggio per il mondo in cerca di conoscenza, che l’autore evoca in più poesie (con un’attenzione speciale al territorio americano) dopo averlo praticato nella sua vita personale. Da qui l’attesa fiduciosa della Primavera. “Passerà la stagione/ Del buio/ Dello stupore”. I profumi e l’incanto della tenue e delicata luce primaverile sono evocati dalla poesia, da questa poesia, che la ferma e fissa. Questo è il miracolo: il canto del cuore sa farlo, la poesia sa trasmetterlo.
A chi prenderà in mano il libro, potrà accadere di restare disorientato dalle prime poesie, dedicate all’amore. Accade con tanti poeti maledetti, con Baudelaire in particolare. Bisogna andare oltre, perché nella raccolta c’è di più. Non ci si crogiola nel ricordo, non provando, a detta del poeta francese, rimorso: qui il rimorso riaffiora di continuo e diventa parte vitale. Si potrà obiettare che la poesia resta maledetta. E’ vero, ma con un pentimento che genera quasi estasi e, a tratti, serenità. Si veda Non solo amore. I versi finali sono un esame di coscienza. “Tradito da mille Pietro/ Che siamo nel/ Crepitare d’ambizioni/ Paure correzioni/ Non siamo solo amore”. Costatazione troppo spesso banalizzata nella nostra fretta di vivere e che qui viene evocata, anche solo attraverso un suono, magari di Campane: “Lascio il rintocco/ Posarsi/ Dentro”. Quei suoni non vanno sciupati, perché contribuiscano ad arricchire il misterioso e ricchissimo “dentro” che molti, troppi, ignorano per tutta la vita.
L’autore presenta il segreto della vita in Uomo, che mi sembra essere qui sinonimo di Umanità. L’inconfessata ragione dell’esistere serve “Per riprendere/ Il dialogo d’amore”. Né lo si può avviare con chiunque, ammettiamo con tristezza dopo aver scorso la poesia Letto: “La meretrice disponibile/ Non fa compagnia”. Serve un’intimità diversa per aprire l’anima e s-velar-la. Seguono versi che a un lettore frettoloso potrebbero apparire misogini, come quelli di Equazione. Chi non ha fretta troverà in Vetro che il femmineo dell’umanità rivela le proprie miserie “Proprio come/ Gli uomini”. E da lì s’intuisce l’itinerario che porta a componimenti come Perdono, un testo che ridona serenità e si rapporta, in qualche modo, a Sorriso dove sembrano esplodere “Suoni sensazioni/ Conoscenza”.
Dopo aver letto Trojani, si è portati a pensare che c’è un modo di avvicinarsi alla vita, di intuirla, affrontarla, conoscerla che non è quello scientifico che, se siamo onesti, ci appaga così poco. Amare, e amare l’esistenza, ci dà una chiave di lettura risolutiva, come il poeta propone con Eros. Dante chiudeva la Commedia, individuando nell’amore il segreto di tutto: “L’Amor che muove il sole e l’altre stelle”. Qui, quasi a ricordarci il prologo della storia, il prorompere dell’amore è “Esplodere come il momento/ Primo dell’universo”.
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