Richard Stratton è il poeta maledetto contemporaneo: vincitore di numerosi premi letterari, scrittore affermato, filmmaker, già caporedattore di High Times e soprattutto ex fuorilegge, che a suo tempo fu il perno del traffico di hashish e marijuana dall’Afghanistan all’America.
Stratton, definito dall’agente speciale Bernard Wolfshein “l’Al Capone della hippie mafia,” ha reso prolifica la sua esperienza in carcere dal momento che dietro le sbarre ha scritto il suo primo romanzo (Smack Goddess), vinto il suo primo premio letterario (il Prison Writing Contest) ed è divenuto un “jailhouse lawyer” ovvero una sorta di avvocato carcerario che assiste i detenuti in questione legali, e che è conseguentemente riuscito a farsi diminuire la pena da venticinque anni ad otto.
I suoi lavori sono stati pubblicati da Story Magazine, Rolling Stone, High Times, Spin, Newsweek, Penthouse, Esquire e altre riviste qualificate. Si è oltretutto affermato nello show-biz come produttore e consulente di numerose produzioni HBO, quali Prisoners of the War on Drugs, The Execution Machine: Texas Death Row, Thug Life in D.C. e Oz. Il film Slam, che ha co-scritto e prodotto, ha vinto il Grand Jury Prize al Sundance e la Camera d’Or a Cannes. Richard ha anche scritto e prodotto Whiteboyz per Fox Searchlight ed è un uomo di famiglia: vive a New York con la moglie Antoinette, il figlio Ivan e la figliastra Bianca, e vede frequentemente i tre figli del suo primo matrimonio, Maxx, Dash e Sasha.
L’ultima fatica creativa di Stratton è stata svelata al pubblico il 9 novembre, durante il lancio del primo capitolo della trilogia Smuggler’s Blues alla Swift Hiberian Lounge di New York (34 East 4th Street), promosso da Big House Productions, Quiet Lunch, e Bodega de la Haba.
“Il libro – spiega Richard – racconta i quindici anni che ho passato come trafficante di hashish e di marijuana, entrambe derivati dalla pianta cannabis. La marijuana, ovvero la foglia che viene fumata, per molti anni in seguito alla revoca del proibizionismo dell’alcol fu demonizzata in quanto erba dalle radici infernali. Venivano conseguentemente assegnate severissime condanne per chi ne veniva trovato in possesso. Tuttora troppi americani stanno scontando la pena e questo libro è dedicato a loro”.

La copertina di Smuggler’s Blues, di Richard Stratton.
Il libro, scaricabile su internet, adotta una struttura seriale sia a livello narrativo sia a livello di fruizione, Richard ha commentato la formula sperimentale con ironia: “Scrivere questo libro serializzato è stato un grande rischio, ma la cosa bella è che per questo rischio non possono sbattermi dentro”.
L’autore Hemingwayiano – definito così dal curatore dell’incontro, Gregory de La Haba, nonché direttore della rivista Quiet Magazine – ha voluto ribadire che la pianta ormai divenuta legale in 50 stati americani viene esecrata a differenza dell’alcol o altri stupefacenti deleteri, compresi i farmaci venduti su ricetta medica.
“Tutti sanno che alzare troppo il gomito è molto più nocivo che fumare erba. Quando fumi, ridi, mangi e pensi, talvolta pensi intensamente. Sicuramente accentua certe predisposizioni delle persone. Tutto viene enfatizzato, il cibo, la musica, il sesso. E se sei paranoico anche quello si amplifica. Ricordo una sera ero con degli amici e stavamo fumando dell’erba molto potente, e ad un certo punto una donna ha perso le staffe ed ha iniziato ad accusare il marito di avere una relazione con la sua assistente. Lei era convinta fosse vero ed alla fine lui ha confessato, quel matrimonio non è sopravvissuto a quel weekend. Succede anche questo con l’erba, fa emergere la verità”.
Non a caso Bob Marley diceva “When you smoke the herb, it reveals to yourself”, cioé “quando fumi l’erba si rivela a te stesso”.
L’incontro con Stratton, accompagnato da gustosi bagels, non si è concluso con una canna, ma poco ci mancava dal momento che è stato distribuito come cadeau un’elegante pipetta in vetro dello Smoke Shop Sunflower Glass. Ricordiamoci di portarla alla presentazione del secondo capitolo di Smuggler’s Blues che…non si sa mai.