Nell’universo regna il principio d’ordine. Sulla Terra si danno invece convegno confusione e disordine. Se il firmamento registra ritmi regolari e quindi prevedibili, quanto accade nella vita terrestre è soggetto ad alterazioni, imprevisti, mutamenti. Qui non sono consentite certezze; al più si azzardano previsioni su probabili reiterazioni. La diversità tra le due situazioni viene dal fatto che la Terra è abitata dall’uomo, l’animale evoluto che è stato dotato di desiderio e volontà. Anche l’uomo è soggetto a leggi imprescindibili (la decisiva lo destina all’inevitabile morte), ma al tempo stesso si ritrova titolare del potere di scelte che modificano la realtà nella quale opera.
Gli umani hanno chiamato libertà questa loro caratteristica, e sono coscienti di doverle la confusione e il disordine con i quali convivono dagli albori. Per questo ogni cultura le ha cucito addosso narrazioni e miti, laici o religiosi non importa, fondati sul principio del libero arbitrio. Le civiltà si sono raccontate come costruite su vicende di libertà propria opposta alla libertà altrui, pur nell’ambito di un Fato superiore col quale fare i conti. Peccato non si siano anche istruite su come gestire tanta libertà e arbitrio, ad esempio smettendola di sommare disordine a disordine, caos a caos. Eppure già tremila anni fa, dentro il filone del pensiero classico occidentale, “chaos” identificava il “vuoto” primordiale, il buio anteriore alla creazione, lo “spazio aperto”, la “voragine” o meglio l’“abisso” sregolato dei primordi. L’ordine della creazione avrebbe colmato l’abisso, ad eccezione di quello che la creatura umana avrebbe ancora generato. Il nuovo caos è tutto umano, ed è lì la fatica dei filosofi e dei pensatori religiosi, dei poeti e degli artisti: trovare il bandolo di una matassa così caoticamente aggrovigliata da non lasciare quasi speranza di riuscita.
Può aiutare, in questa direzione, il quaderno monografico che AREL, Agenzia di Ricerche e Legislazione fondata da Beniamino Andreatta, ha dedicato a “Caos”, un termine che viene esaminato nell’evoluzione concettuale da Esiodo a Tolkien, quindi utilizzato per la comprensione del caos attuale offerto dalla situazione politica ed economica in Europa e nel mondo. Originale la sezione della monografia dedicata al “caos in noi”, con lo sguardo rivolto al disagio esistenziale e alle scelte da operare per la costruzione di un sé che sappia contribuire ad abbassare i livelli del caos.
Per noi contemporanei la sfida più importante è come consentire al caos di esprimersi in quanto manifestazione di vitalità, e al tempo stesso di farsi ingabbiare nel principio d’ordine senza il quale nessuna società può funzionare e perpetuarsi. Soccorre un pensiero di John Dewey, riportato nel quaderno: “Naturalmente associamo la democrazia con la libertà di azione, ma senza una libera capacità di pensiero alle spalle si arriva solo al caos”. La capacità distruttiva del caos non imbrigliato e regolato dal pensiero libero, risulta in tutta la sua evidenza. La società che misconosce i concetti di libertà e democrazia, sostituendoli con libertinaggio e demagogia, sceglie di cedere al caos, alla sua capacità di risucchio nel vuoto della crisi perpetua, nel baratro dello scontro permanente tra libertà in conflitto. In difetto di regole e norme, il caso diventa il suo elemento regolatore, e insieme il principio di organizzazione del caos. Dismesso il funzionamento delle regole, l’autorità viene imposta dal capriccio del caso, ovvero della forza e della furbizia. Il fuoco distruttivo del caos si alimenta di nuovo carburante, incenerendo il visionarismo di un’Abha Dawesar: “Io volevo il caos perché nel caos avrei potuto creare modelli tutti miei”.