"La mafia non è affatto invincibile. E’ un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni" –Giovanni Falcone
Il Professore Mario Mignone, direttore al Centro di Studi Italiani della Stony Brook SUNY, giovedì ha introdotto la presentazione del libro di Stefano Vaccara Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013. In Italia il libro è stato pubblicato da Editori Riuniti con il titolo Carlos Marcello. Il boss che odiava i Kennedy). Mignone ha detto che per il 50mo anniversario dell’assassinio del Presidente John Kennedy si aspettava più dibattito politico e più eventi, invece poco si è ascoltato e si è letto in America. Questo soprattutto se messo in paragone al 20mo anniversario della morte dei magistrati siciliani Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sui quali si è scritto e si è parlato molto di più e non solo in Italia. Infatti, proprio alla Stony Brook, nel dicembre del 2012 ci fu una grande conferenza organizzata dall'Italian Center diretto da Mignone e in cui partecipò anche l'allora Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, attuale presidente del Senato. Mignone, durante la sua introduzione al libro di Vaccara, ha quindi aggiunto: “In America l’antimafia non esiste. In Italia si parla di Mafia e Antimafia invece qui, quando si fa, si parla solo di Mafia”.

Il Prof. Mario Mignone
Fred Gardaphe, Distinguished Professor di Studi Italo-Americani al Queens College CUNY, e già autore di libri sulla mafia, introducendo il libro Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination, lo ha connesso con la storia della sua famiglia a Chicago.
Gardaphe, parlando della sua infanzia, ha detto che quando qualcuno gli domanda ancora se ricorda il giorno dell’assassinio di JFK e cosa avesse provato quando il Presidente era stato ucciso, lui risponde: “Assolutamente niente”! Dopo un attimo di esitazione per lo shock del pubblico, ecco che Gardaphe ha raccontato di come proprio nell'estate del 1963, alcuni mesi prima dell’assassinio di JFK, la mafia uccise suo padre, quando lui aveva appena dieci anni. Già, ad un ragazzo che perde il padre in quel modo importa poco della morte del presidente, "perché a quella giovane età quando perdi il padre si perde tutto".
Ascoltare Gardaphe raccontare la sua storia è stato sconvolgente e commovente allo stesso tempo; il professore della CUNY ha raccontato di come suo padre e suo nonno, che era coinvolti con la mafia, morirono entrambi ammazzati. Di come anche lui rischiò di finire sulla stessa strada, ma alla fine decise di studiare e diventare un professore per allontanarsi dai ricordi del suo doloroso passato. Gardaphe ha spiegato come la Mafia, per funzionare, debba essere connessa alla politica. Le parole più sconvolgenti del professore sono state quando, con tono triste, ha raccontato come il 22 luglio 1963 fu ucciso suo padre. E poi: “Con un gesto che ancora oggi non riesco a spiegarmi, mia madre un giorno mi afferra per mano e mi accompagna a casa di due vicini dicendomi che dovevo lavorare per loro.”
Tornando sulla spiegazione di Gardaphe su come Cosa Nostra sia connessa alla politica, il professore dice che i “grandi capi” mafiosi ci tengono al futuro dei loro figli tenendoli lontano dai loro affari e mandandoli nelle migliori scuole private. Dove possono crescere ben istruiti e lontani dalla loro vita corrotta. Questa spiegazione, aggiunge, la ritroviamo nella vita di Joseph Patrick "Joe" Kennedy, padre di John e Robert. Joe Kennedy Sr. era legato alla Mafia, ma questo non gli impedì di far carriera come imprenditore e diplomatico. Joe Kennedy fu un uomo d’affari senza scrupoli che non si fermò davanti a niente per ottenere il suo obiettivo: vedere un figlio presidente. Per soddisfare il desiderio del padre, JFK sostituì il fratello maggiore Joe jr. (morto in guerra) per la conquista della Casa Bianca. Quando JFK vince la presidenza, grazie anche ai voti dei mafiosi, invece di "ringraziarli" accade che il fratello Robert, diventato intanto ministro della giustizia, scateni una guerra contro Cosa Nostra.
Nel suo libro Stefano Vaccara evidenzia che il bersaglio di Carlos Marcello, boss mafioso di New Orleans, non fosse il presidente JFK, ma il fratello Bob, il quale voleva smantellare l’organizzazione mafiosa e aveva proprio Marcello (il suo vero nome era Calogero Minacori ed era figlio di emigrati siciliani della provincia di Agrigento). Marcello sa che "affinché il cane smetta di mordere, devi tagliargli la testa, non la coda". Ma perché RFK aveva questo ardente desiderio di distruggere la mafia se proprio il padre aveva avuto questi legami mafiosi? La spiegazione che emerge dal racconto di Gardaphe appare tanto semplice quanto chiara. Come lui scelse lo studio e la carriera di professore per “rompere” i ponti con il suo passato, anche Bob Kennedy decise di ripulire “gli scheletri” di suo padre concentrandosi a distruggere la Mafia.

Stefano Vaccara durante il suo intervento a Stony Brook
Purtroppo, come afferma l’autore del libro, i due fratelli arrivati al potere non conoscevano, come il padre, la pericolosità della mafia, e alla fine affrontarla risultò essere più grande delle loro capacità. E nemmeno Joe Kennedy, che grazie ai suoi soldi e soprattutto alle sue "connection" aveva spalancato le porte della Casa Bianca alla famiglia Kennedy, poteva più aiutare i suoi figli, perché già nel1961 era stato colpito da un ictus che lo rese del tutto incapace di comunicare.
Le 200 pagine del libro di Vaccara (il direttore della VOCE di New York insegna anche un corso sulla mafia al Lehman College della CUNY) si leggono di un fiato, mettendo insieme i pezzi di una storia complessa. La parte iniziale del libro si dedica a ricostruire la storia del boss mafioso di New Orleans; la storia dei Minacori, una famiglia immigrata che commise l'errore di non naturalizzare il primogenito, Calogero, una volta arrivati negli Stati Uniti. Una storia d’immigrazione italiana tragica e purtroppo vera.
La storia del coinvolgimento di Carlos Marcello nell'omicidio Kennedy non piace agli italo americani e non piace nemmeno a chi scrive, ma ignorandola non farà certo cambiare la storia degli eventi. Un libro pone domande fondamentali: perché il "cover up", l'insabbiamento della verità durato tutti questi anni? Perché la Warren Commission, istituita dal Presidente Lyndon Johnson, si ostinò a far credere che Lee Harvey Oswald avesse pianificato tutto da solo? Perché il governo degli Stati Uniti, a cinquanta anni dall’assassinio di JFK, non rende accessibili tutti i documenti CIA e FBI su quello che successe a Dallas nel novembre del 1963?
Secondo le discussioni e le riflessioni durante e dopo la presentazione del libro alla Stony Brook University, la risposta è semplice: Il governo americano ha il compito di proteggere i cittadini da qualunque minaccia o pericolo a qualunque costo, e questo anche non rivelando chi ci fosse veramente dietro l’assassinio del 35º Presidente degli Stati Uniti. Se la verità può essere ancora troppo pericolosa per la stabilità e la coesione nazionale, allora questa potrà attendere, e con lei anche la giustizia.
Vaccara ha sottolineato che la tesi del suo lavoro, come per altri autori, si basa soprattutto sulle conslusioni del rapporto di una Commissione del Congresso che nel 1979 pubblicò una indagine durata tre anni (e costata milioni di dollari) e in cui risultava che il maggior sospetto dell'omicidio di JFK a Dallas fosse appunto Carlos Marcello. "Ormai è tardi per la giustizia, Marcello da vero boss mafioso, nel 1993, non è morto in carcere ma nel suo letto a New Orleans", ha detto Vaccara, concludendo: "Ma diventa ancora importante capire, per evitare che possa accadere di nuovo, perché il governo USA si ostinò all'insabbiamento della verità e perché i maggiori media lo agevolarono, anche quando il Congresso, con la sua inchiesta, smentiva la Warren Commission".
Abbiamo iniziato con una frase di Giovanni Falcone. Terminiamo con una di Paolo Borsellino:
Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo.
Nel caso di JFK e RFK, i due poteri si sono fatti la guerra e poi, una volta eliminati i Kennedy…
Qui sotto le parti finali dell'intervento del Prof. Fred Gardaphe: