“Ognuno fa quello che il suo Tempo gli permette di fare”, è una delle frasi più significative che abbia mai letto a proposito del viversi in base alla formazione, culturale, fisica e psicologica, che la propria epoca offre. Non scegliamo di certo a quale periodo storico appartenere, ma possiamo forse essere creativi al suo interno, trovando il modo che più ci è congeniale.
A proposito, è uscito da pochissimo in Italia il libro Walter Bonatti, il fratello che non sapevo di avere (Mondadori) di Reinhold Messner, che con Sandro Filippini firma un ritratto difficile dei due alpinisti, Messner e Bonatti appunto, tra i più forti della storia. Insieme a Walter Bonatti, una vita libera, di Rossana Podestà (Rizzoli), questo è un testo che non può mancare per chi ha letto i libri del protagonista della conquista del K2 e delle innumerevoli scalate e viaggi avventurosi nel mondo selvaggio. Se la Podestà ha ricostruito in un bellissimo libro fotografico il percorso del compagno, con racconti e aneddoti fino ad allora sconosciuti al grande pubblico e bellissimi still life di decine di reperti e oggetti ricchi di fascino, Messner e Filippini stendono una vera e propria sceneggiatura, con la trama avvincente di un film d’avventura.
Sguardi diversi sulla vita dello stesso uomo che aggiungono dettagli e retroscena interessanti, a volte commoventi, a ciò che si è sempre scritto e detto. Nel testo si trovano tantissimi riferimenti alla storia dell’alpinismo, dalle origini fino ai moderni arrampicatori come Adam Onda, che interesseranno anche il lettore più all'asciutto in materia. Gli eventi storici sono raccontati con semplicità e giusta sintesi, ricostruiti a volte in scene molto immaginifiche, come i due alpinisti che parlano della scalata del Grand Capucin di Bonatti e Ghigo, mentre si ristorano in un rifugio sulle dolomiti. In questa scena, uno dei due si interroga sulla difficoltà della via e cerca un paragone forzato con le sue montagne. È Lino Lacedelli, che alcuni anni dopo (1954) sarà protagonista con Compagnoni dello scandalo legato alla scalata del K2, quando abbandonarono all’addiaccio per una notte intera lo stesso Bonatti e l’Hunza Mahdi a circa ottomila metri, sotto un immenso seracco di neve e ghiaccio non distante dalla vetta. Un dramma sfiorato che ha segnato quelle giovani vite per sempre.
La stessa vicenda del K2 viene ricostruita e articolata come il copione di un bel film, che poco ha a che vedere con lo scempio della fiction RAI, che ha invece portato sugli schermi italiani un lavoro pessimo e imbarazzante, mettendo in scena la spedizione come se fosse una puntata di una telenovela di serie B. Messner accompagna la narrazione con commenti tecnici, raffronti con le proprie esperienze e osservazioni che sembrano dirette al pubblico più giovane, che manca spesso di curiosità per il passato e che sembra ormai più interessato ai numeri e ai record che non all’esperienza e alla creatività.
Inevitabile per lui parlare del Nanga Parbat e dello scandalo che lo coinvolse in prima persona nel 1970. Su quella montagna perse il fratello Gunther. I due avevano conquistato la vetta, ma erano stati costretti a una notte in quota in balia delle intemperie, senza tenda, viveri e acqua. La discesa a valle fu uno straziante calvario, un’esperienza ai limiti dell’umano. Mentre il capo spedizione Herrligkoffer, credendoli morti, ordinava già lo sgombero del campo base e il rientro in patria, Gunther e Reinhold si trascinavano a fatica giù dalla montagna, su ghiaccio e roccia, con i piedi ormai gonfi e neri di gelo, disidratati e in balia delle allucinazioni.
Ad un tratto una valanga ruggisce alle loro spalle. Reinhold chiama il fratello, è convinto di sentire la sua risposta rassicurante e continua a scendere. Sente la sua presenza dietro di sé, ma Gunther non c’è più. Quando realizza l’accaduto, torna a cercarlo. Lo cerca per tutta la notte. L’ennesima ad alta quota, ma il fratello è scomparso.
Reinhold verrà soccorso da due pastori più a valle e ricoverato con diversi congelamenti alle dita dei piedi. Come Ardito Desio, capospedizione sul K2 di Bonatti, nascose la verità in nome dell’impresa eroica della conquista della cima, Herrligkoffer insabbia l’accaduto e si accanisce sul giovane “summiter” che ha appena perso il fratello.
Tante vicende simili nella vita dei due, ma anche sporadici attriti a distanza. Un loro botta e risposta, pubblicato su una nota rivista di arrampicata e citato nel libro, mostra un confronto davvero acceso sull’etica della sponsorizzazione. Messner nel 1988 aveva indicato proprio in Bonatti uno dei primi fautori della sponsorizzazione moderna, riferendosi più che altro ai servizi effettuati per la rivista Epoca, in qualità di giornalista, e alla collaborazione con una ditta specializzata in materiale alpinistico, per la quale testava l’attrezzatura sul campo. L’interessato risponde che non è minimamente paragonabile un contributo percepito per una consulenza tecnica o per una prestazione giornalistica con il mettere la faccia per la promozione di mele, superalcolici e valigie, che invece faceva Messner. Bonatti concepisce la pubblicizzazione di un’attività commerciale nei limiti della libertà e della dignità dell’individuo che non può piegarsi ad accettare accordi non pattuiti che ne sfruttino l’immagine per promuovere ciò che è distante dal proprio settore o dalle proprie idee. Ma Messner ricorda che la sua libertà di andare dove vuole non è influenzata dalla pubblicità, che anzi gli fornisce parte dei mezzi per realizzare innumerevoli spedizioni.
I tempi non erano ancora maturi per un testa a testa di persona. La vita frenetica li aveva allontanati quasi quanto era riuscito a fare il lavoro dei giornalisti e degli opinionisti che per riempire spazi vuoti di contenuti gettavano benzina sul fuoco e scatenavano polemiche.
Passano gli anni, tanti, e il loro primo incontro avviene addirittura nel 2004 sul Monte Rite. Entrambi entusiasti ed emozionati nello stringersi la mano dopo decenni di osservazione a distanza, dimostrano un’intesa fortissima già negli sguardi, come fratelli ritrovati.
La narrazione ha un registro da focolare e diventa spesso commovente. Quando Messner e Bonatti vanno insieme al compleanno del centenario Cassin, per esempio, non sembra di assistere al dialogo di tre giganti dell’alpinismo, ma di due nipoti che fanno visita al nonno. C’è un affetto molto sincero che li lega, una stima profonda, nello scenario domestico di una bella tavola imbandita per il pranzo. Durante la conversazione vengono alla luce anche aneddoti mai conosciuti pubblicamente, come la volta in cui Cassin salvò la vita di Ardito Desio durante il sopralluogo al K2 prima della spedizione del 1954. Un dettaglio non da poco, considerato che Desio lo lasciò poi a casa per la spedizione.
È questo che ci lascia stupiti nel vedere il ritratto di queste vite pienamente vissute: la serenità e la pace. Nonostante siano stati spesso davanti alla morte, alle calunnie, alla fatica estrema, hanno mantenuto un controllo e una lucidità che non viene a mancare neanche in vecchiaia e che viene inevitabilmente comunicato a chi ne legge le parole. Il messaggio per i giovani è più che chiaro. Sebbene vi sia la sconfortante osservazione del calo di interesse per la storia, per le origini, per l’avventura in favore dello sport fatto di record e numeri, i protagonisti del libro si augurano che vi siano ancora dei germogli pronti a sbocciare.
Un’impresa forse più ardua delle altre, ma niente è impossibile. Potrebbe non essere rimasto più nulla da scoprire nel mondo, ma dentro il nostro universo interiore, uno spazio forse più infinito del cosmo, c’è ancora tanto da scoprire. Ognuno è figlio del suo tempo, e la creatività e l’esposizione personale potranno aiutarci a trovare i nostri, personalissimi mezzi. Senza appiattirci su miti, divinità o idoli.