Quando si invecchia si vuole ritornare alle proprie origini, anche solo con il ricordo e soprattutto se sono origini a cui sono state sradicate le radici. Noi esuli istriani, profughi fiumani e dalmati siamo come il vischio: siamo appesi alle nostre terre che non possiamo toccare con i piedi. Siamo appesi ai nostri campanili, ai nostri davanzali, ai nostri balconi, perché ne siamo profondamente legati, le guardiamo dall’alto e le vediamo bellissime. Le nostre lacrime sono gemme perlacee di vischio che più non cadono perché la sacralità non nasce né muore nel suolo. Qualcuno vi ha messo altre radici rubandoci il presente per assicurarsi il futuro. Ma l’eternità è nell’etere e non è faccenda di uomini ma di dei. Non c’è terra più luminosa della Dalmazia, non c’è mare più scintillante né pietra tanto bianca e così inospitale. E’ stata sempre così? O tutta quella pietra è distanza di cuori che non vogliono condividere niente di quello che si sono presi? E continuano a prendersi.
Che ce ne facciamo delle nostre insegne se più non ci rappresentano? Gli istriani, gente tenace e attaccata alla loro terra, proprio come la capra della loro bandiera, ora sono capre appese. Mah. I dalmati, leoni con la corona, ruggiscono ma non sbranano più. Anche loro a testa in giù. Perché senza radici siamo capovolti e tutto quello che ci passa sotto ci sconvolge il pensiero e brucia il cuore. Molti hanno concluso la loro vita così, senza più poter toccare la loro terra, altri la stanno finendo disorientati dalla crudeltà di chi cavalca i loro sogni.
Io sono nata in Italia e capisco solo ora che non sono più giovane quello che significa essere sradicati: doversene andare. E non per lavorare o guadagnare di più, ma perché sei marchiato a fuoco e, se resti, devi morire. Questo hanno fatto ai nostri padri i comunisti in Jugoslavia, dal 1943 per almeno 15 anni. Gettati in mare con una pietra al collo, spinti vivi nelle foibe, fucilati… Chi è riuscito ad arrivare in Italia, la patria promessa, è stato accatastato in centri di raccolta e trattato come uno sporco fascista. Si doveva vergognare. E molti si sono vergognati. Di cosa? Di sentirsi italiani e aver lasciato tutto per pagare i danni di guerra dell’Italia. L’Italia aveva perso la guerra, ma sembrava solo al confine nord-orientale: bastava non parlarne e, eliminati Mussolini e il re, ripartire alla grande. Tutti avevano fatto la resistenza, tutti erano da sempre antifascisti, solo che prima non lo avevano mai detto. Prima tutti si erano conformati al regime. Ma che moralità ha questo Paese? Dove il male e il bene vengono scambiati di posto, come se l’etica fosse una poltrona.
E quest’ultime osservazioni non le ho fatte io, anche se le ho sempre pensate, ma Gianni Oliva

La copertina del libro di Gianni Oliva “L’Italia del silenzio”
presentando a Trieste, al Salone del libro dell’Adriatico orientale, il suo saggio ”L’Italia del silenzio. 8 settembre 1943” (Mondadori). Torinese e di sinistra, Oliva ha raccontato che il suo giornale, L’Unità, si guardò bene dal recensirgli il libro “Foibe”, figurarsi questo, perché aveva avuto l’onestà di sostenere che i servi del re erano più nudi del re ma soprattutto che la resistenza italiana era stato un fenomeno modesto e circoscritto.
Io aggiungo che, quanto a spessore morale, gli italiani sono secondi solo a quei croati che ora si dicono italiani per vivere largamente di sussidi italiani. Così l’Italia si lava la coscienza elargendo 9 milioni l’anno ai rimasti in Istria e Dalmazia, i quali dopo 50 anni si sono accorti di sentirsi italiani palpitando per i nostri soldi.
Ancora oggi noi esuli e profughi dell’Adriatico orientale siamo un argomento tabù per il governo italiano. Non dobbiamo lamentarci, non dobbiamo essere revanscisti. Così mi ha detto un famoso giornalista del Corriere della Sera, urlandomi al telefono che in Istria sono tutti sinceri italiani. Ed evitando di darmi la sua mail. Un altro, corrispondente dell’Espresso e di Repubblica, quando ha letto che ero una dalmata e avevo intentato una causa al governo croato, per riavere quello che per secoli era stato della mia famiglia, non mi ha più risposto. Anche se non lo sappiamo, noi istriani, fiumani e dalmati siamo gli unici fascisti d’Italia: per questo ci ritroviamo con la testa in giù.