Per quelli di noi che vivono all’estero da tempo, non è sempre facile capire l’Italia. Serve uno sguardo complesso, capace di accogliere le diversità e i cambiamenti, per capire la società in divenire dell’Italia contemporanea. Uno sguardo come quello di Igiaba Scego, giovane scrittrice e giornalista italiana di origini somale. Il suo è uno sguardo dall’interno, sì, ma da un interno che non è quello monocolore e monoculturale della tipica famiglia italiana: quello di Igiaba Scego è un punto di vista che riflette le tante identità che si mescolano nella sua biografia e che compongono la società italiana contemporanea.
Igiaba Scego collabora con varie testate giornalistiche tra cui La Repubblica, Il Manifesto, Internazionale, Carta, Corriere Immigrazione, ed è autrice di diversi libri. Con il suo ultimo, La mia casa è dove sono, edito da Rizzoli, ha vinto il premio Mondello 2011. Visiting scholar al Dipartimento di Studi Italiani della New York University per il mese di settembre, Igiaba ha tenuto una conferenza venerdì 13 alla Casa Italiana Zerilli-Marimò. Starla ad ascoltare è stato illuminante, tanto che noi de La VOCE ci siamo fatti promettere una chiacchierata più approfondita. C’è molto da imparare a vedere l’Italia con i suoi occhi, a sentire dalla sua voce descrivere gli italiani e la società che hanno creato.
L’Italia descritta da Igiaba Sego è un’Italia nostalgica, aggrappata a un passato che non esiste più.“È come se l’intero paese soffrisse della sindrome del Groundhog Day – ha detto la giornalista – Avete presente il film in cui il protagonista rimane bloccato in una giornata? In Italia è la stessa cosa ma siamo bloccati in un periodo storico. Nel periodo di Mastroianni e Gianni Morandi. E io amo quel periodo, amo i vecchi film, amo il cibo italiano, il caffè espresso, il cappuccino, Va Pensiero, ma l’Italia oggi è più di questo. E dov’è l’Italia del presente? L’italia che è fatta anche di immigrati e delle storie che persone come me hanno portato nel paese e nella sua cultura. L’Italia delle periferie dimenticate? L’Italia della disoccupazione? L’Italia del machismo? Dov’è tutto questo?”.
Un paese che si rifiuta di fare i conti con la contemporaneità, con una società che non è più quella degli anni ’60, con una realtà di cui fanno parte integrante nuovi cittadini che portano pezzi della propria cultura nella nostra.
“L’Italia non è razzista – ha poi detto Igiaba Scego – ma non è mai stata costretta ad affrontare un processo di ripensamento storico e di de-razzizzazione della società. Il mantra è dimenticare. C’è una mancanza di memoria storica che porta gli italiani a negare un passato di violenze”. A differenza che in altri paesi, ha fatto notare la giornalista, il razzismo è più tollerato, perché i razzisti fanno parte della politica. “Se uno dice cose razziste e utilizza un linguaggio razzista, come quello che è stato utilizzato nei confronti del ministro Kyenge, dovrebbe andare fuori dal Parlamento. Mentre la struttura stessa della nostra nazione è implicata con personaggi razzisti. Dobbiamo decolonizzare noi stessi”.
Nel corso della conferenza la scrittrice ha letto dei passaggi del suo libro che, con ironia e vivacità letteraria, descrivono una Roma lontana dal Colosseo e dai fori imperiali, una Roma di periferie dove si mescolano le nazionalità, le culture, i cibi, gli odori. Una Roma dove i giovani dei sobborghi sono stati dimenticati, abbandonati a una cultura della violenza che spesso lascia spazio al razzismo. In questi scenari si inseriscono le lotte di tante associazioni italiane attive per i diritti dei nuovi italiani e in particolare per il diritto alla cittadinanza dei figli di immigrati. Alla Casa Italiana, Igiaba Scego ha mostrato alcuni video realizzati dalla rete G2, Secondegenerazioni, per sostenere la battaglia per lo ius soli in cui lei stessa è impegnata in prima persona. Ma ha anche mostrato un’Italia che al razzismo non fa caso: è quella di alcuni spot pubblicitari commerciali che utilizzano gli stereotipi legati al colore della pelle per vendere i propri prodotti. Immagini a cui in Italia siamo talmente abituati da non coglierne la gravità. Vederle fuori contesto, in una New York dove si fa molta – e a volte anche troppa – attenzione al politically correct, ci ricorda quanto quelle immagini, altrove, sarebbero considerate offensive. Ma in Italia, dove non c’è mai stato un vero dibattito sul razzismo e dove siamo abituati a liquidare tutto con una pennellata di “italiani brava gente”, non ci rendiamo nemmeno conto di quanto pericolosi siano quegli stereotipi.
Qualche giorno fa La VOCE aveva chiesto al ministro Kyenge, incontrato al Consolato Italiano, se a 50 anni di distanza, il famoso discorso pronunciato da Martin Luther King avesse ancora una qualche attualità in Italia. Il ministro, con il suo solito fare pacato, ci aveva dato una risposta diplomatica che non diceva molto sul razzismo in Italia. Venerdì sera una risposta ci è arrivata dalle parole di Igiaba Scego, a conclusione del suo discorso: “I have a dream, e scusatemi se cito Martin Luther King, ma ho un sogno anche io: che un giorno vivremo in una nazione dove tutte le persone avranno gli stessi diritti. L’Italia non è lontana da questo. Vogliamo che diventi un paese di cui tutti possano essere orgogliosi”.