Timira è il nome somalo di Isabella Marincola, nata a Mogadiscio nel 1925, cittadina italiana, nera, madre di Antar Mohammed. Isabella ha un fratello, Giorgio Marincola, morto partigiano nelle file del Partito d’azione, la cui storia è stata narrata da Carlo Costa e Lorenzo Teodonio nel loro libro Razza partigiana (Roma: Iacobelli, 2008). Isabella è figlia di Aschirò Asaan e Giuseppe Marincola, ufficiale di fanteria in servizio in Somalia, ai tempi del fascismo, quando era una colonia italiana, e regolarmente sposato con una donna italiana Elvira Floris. Wu Ming 2 è uno dei cinque membri del collettivo di scrittura Wu Ming, autori di romanzi di successo come 54 e Altai (e prima di Wu Ming, uno dei membri del collettivo Luther Blisset, autori di Q). Continuando, l’esperienza di scrittura collettiva, Wu Ming 2 e Antar Mohammed sono autori della storia di Isabella Maricola, Timira: Romanzo meticcio (Torino: Einaudi Stile Libero BIG, 2012). Come dice il titolo del libro, questa è la storia di Timira/Isabella, la sua vita e i suoi percorsi. Ambientato sia in Italia che in Somalia in epoche differenti, il romanzo segue le varie vicissitudini della vita complessa di Isabella: i primi anni a Mogadiscio; il rimpatrio in Italia alla fine della Seconda guerra mondiale dopo che suo padre aveva riconsosciuto i suoi figli, dandogli nomi e cognome italiani, assicurandogli la cittadinanza italiana; la carriera di Isabella come modella per vari pittori e come attrice (inclusa una comparsa come mondina muta nel film Riso amaro di Giuseppe De Santis); un aborto clandestino; il rientro in Somalia con Mohammed, il terzo dei suoi tre mariti; la nascita di Antar; il rientro in Italia all’inizio degli anni novanta causato dalla situazione politica in Somalia; gli ultimi vent’anni della sua vita passati a Bologna come badante; e la sua morte nel maggio, 2010.
Isabella è un personaggio affascinate, a volte difficile, capricciosa, esigente, arrogante. Pur ammirandola, Wu Min 2 e Antar non nascondono i suoi difetti. Ma sono questi stessi difetti a rendere la narrazione della sua storia piacevole e ricca. Questo—ce lo dice il sottotitolo—è un romanzo meticcio, ma non tanto perchè i personaggi principali sono meticci. Isabella, pur nata in Somalia di madre somala, è e si sente più italiana che somala. Non parla il somalo (in compenso è una vera regina della lingua italiana ed è tanto loquace che sembra, a volte, che non smetta di parlarlo mai). E a giudicare dalla voracità con cui scola innumerevoli bicchieri di vino nel corso del romanzo è perfettamente a suo agio nella cultura del bel paese. Più che i personaggi del romanzo, è la sua forma che è meticcia.
Benchè Timira sia un romanzo storico stracolmo di date e luoghi, con precisi riferimenti agli avvenimenti storici italiani e somali dei periodi coperti dal romanzo, e a questioni sociali come i morti sul lavoro, e con una lunga sezione "Titoli di coda," in cui sono elencate le fonti consultate dagli autori, il romanzo non segue un ordine cronologico. Il testo stesso è un tessuto di forme narrative e di scrittura diverse: il racconto stesso rielaborato dai due autori in base a informazioni fornite da Isabella; pagine tratte dall’agenda di Isabella; reperti da un archivio storico; foto; pagine tratte da giornali; riproduzioni di passaporti e carte d’identità. Nel corso del romanzo si sentono le voci di diverse "persone" che raccontano la storia: una terza persona più o meno omnisciente che racconta per la maggior parte la vita di Antar; una prima persona che racconta alcune parti della vita di Isabella; e una seconda persona, la voce di un narratore che forma ipotesi, cercando di annidare i fili di una storia che è e può solo essere distante storicamente, culturalmente e geograficamente dall’esperienza di vita di uno scrittore come Wu Min2, bianco, borghese e trentenne.
Il problema di come scrivere questo romanzo è una delle domande che Wu Ming 2 si autopone in un altro dei testi che compongono il mosaico testuale di Timira, le sue quattro "Lettere intermittenti," in cui parla come autore del libro che lui sta scrivendo e che noi stiamo leggendo.
La terza di queste lettere è dedicata alle difficoltà insite nel raccontare la vita di una donna come Isabella e soprattutto a quali strategie narrative adottare per rispondere, da un lato, al bisogno e all’urgenza di dare corpo e voce alla storia di Isabella–"convinti che le tue terre avesse diritto a un posto sul mappamondo" (345) – e, dall’altro, non fare sì che questa operazione trasformi la storia di Isabella e le sue terre "nella mia colonia" (344). Wu Ming 2 è lungi dall’essere il primo narratore a porsi questioni simili. Ma in un’epoca come la nostra in cui la realtà stessa è sempre più meticcia (e frammentaria e contradditoria e variegata), è sempre più resistente ad essere narrata secondo gli schemi consueti, una riflessione come quella che accompagna la storia di Isabella/Timira è sia necessaria che urgente.