Dacia Maraini è impegnata in un tour statunitense che il 13 novembre – giorno del suo ottantasettesimo compleanno – la porta all’Istituto Italiano di Cultura di New York per presentare il suo Chiara. Elogio della disobbedienza. Scrittrice, saggista, femminista: Maraini ha dedicato questo romanzo nel 2013 alla straordinaria donna duecentesca, e ora è uscito negli Stati Uniti, tradotto da Jane Tylus, docente alla NYU: In Praise of Disobedience. Clare of Assisi.
Un viaggio fitto di incontri. Come sta andando?
Ho avuto un’accoglienza straordinaria. Sono stata a Madison, poi in due università a Detroit, poi in tre a Filadelfia. Poi andrò in Messico per l’inaugurazione del Salone Letterario Carlos Fuentes della Fiera Internazionale del Libro di Guadalajara, dove sono madrina e l’Unione Europea quest’anno è ospite d’onore. Qui negli Stati Uniti più che in Italia, c’è grande differenza fra il mondo comune, che è autosufficiente e si occupa poco di altre parti del pianeta, e il mondo delle università dove c’è una mentalità aperta e internazionale, cultura, grande approfondimento. Vengono molti esperti di italianistica ma anche docenti di altre materie, studenti, e tanti medievalisti di tutte le nazionalità. A Filadelfia mi hanno chiesto di Chiara con domande specifiche sul Medioevo italiano, il rapporto con la Chiesa, la mistica, San Francesco, la letteratura femminile nei conventi.
Ecco: Santa Chiara – collaboratrice di San Francesco, fondatrice dell’ordine delle Clarisse, morta a cinquant’anni nel 1253, canonizzata nel 1255 – è un personaggio straordinario, ma da dove è nata l’esigenza di scrivere di lei?
A me nelle donne interessa il coraggio, non solo istintivo, ma abbinato a un progetto, portato avanti con strategie intellettuali ed etiche ammirevoli. Questo ha fatto Chiara: figlia di famiglia ricchissima, pianta tutto e quasi scalza se ne va di casa. Cercano di riportarla indietro, anche con la forza, perché si doveva sposare; lei resiste e fonda questo piccolo convento a san Damiano dove non c’era niente. Dice ‘Gesù non aveva scarpe, non possedeva nulla’. È un atto rivoluzionario: si mette anche contro la Chiesa, che attraverso l’invio degli economi a sorvegliare le rendite controllava anche la morale di un convento. Chiara dice ‘io l’economo non lo voglio’ e rifiuta ogni proprietà, anche le galline per fare le uova. In convento vivevano di elemosina e mangiavano solo se i contadini portavano qualcosa. Poteva anche essere considerata eretica di fronte a una Chiesa ricchissima e arrogante.
Da dove veniva tanta forza?
Una forza spirituale. Una vita davvero ascetica; dormiva sulla paglia, e come cuscino, dicono, aveva una pietra. Era molto amata e per questo la Chiesa, che non era affatto d’accordo, non poteva attaccarla. Chiara adotta una strategia precisa: rispetto la Chiesa per quello che è ma nel mio convento si fa così. E poi costruisce la prima regola femminile, quella delle Clarisse appunto. Voleva andare a predicare il Vangelo, ma nel 1218 il cardinale Ugolino (che sarà il futuro Gregorio IX) alle monache prescrive l’obbligo di clausura, che del resto dal 1298 sarà estesa a tutti i monasteri femminili con il decreto Periculoso di Bonifacio VIII. E quindi Chiara è obbligata a stare chiusa, ma riesce a far venire la gente in convento; la sua fama si propaga, c’erano file e file di persone che venivano a farsi imporre le mani. La gente guariva, sarà stato per suggestione…
Ma Chiara era un unicum?
Ho scoperto che nei conventi ci sono ancora molti scritti sconosciuti, di mistiche dal Duecento fino al Settecento. Manoscritti spesso bellissimi che nessun critico ha mai preso sul serio; e per fortuna non sono andati distrutti. Una letteratura sepolta. Molte ragazze finivano in convento per toglierle di mezzo e lasciare l’eredità tutta al figlio maggiore – ma per altre in quei secoli era l’unico posto dove potevano studiare e leggere. Certo, dovevano rinunciare alla famiglia; d’altronde il matrimonio non era una gran piacere, spesso un marito sconosciuto, molto più anziano, la regola era un figlio l’anno (dieci, dodici, e la metà moriva di malattie che oggi non ci sono più), col rischio di morire di parto. Ce ne sono tante di donne che hanno scelto lo studio e l’arte invece che la vita di famiglia, e nessuno le conosce perché non sono state studiate.
In genere si citano solo poche figure, come se fossero uniche appunto, per esempio fra le pittrici Artemisia Gentileschi.
Ma anche Artemisia Gentileschi era sconosciuta fino a quando è stata riesumata dal femminismo. Era nota alla sua epoca, oggi le si dedicano mostre e libri, ma per secoli è sprofondata nell’oblio.
In questo tour si parla del libro tradotto, che però era uscito nel 2013.
Lo ha tradotto una bravissima studiosa, Jane Tylus, che ho avuto modo di incontrare già e dialogherà con me a New York. Ma in questi incontri si parla anche di altro, c’è molto interesse nelle università a una riflessione comune su cosa sta cambiando nel mondo. La partenza è Chiara, ma mi chiedono dell’Europa, dell’Italia, di cosa vuol dire avere un governo di destra, mi subissano di domande anche sull’ultimo romanzo.
Vita mia è uscito in ottobre e racconta la sua esperienza da bambina con la famiglia in un campo di prigionia giapponese, quando i suoi genitori nel 1943 rifiutarono di giurare fedeltà al governo della Repubblica di Salò.
Me lo trascinavo da anni, mi faceva dolore riprendere quelle memorie. Poi mi sono detta ‘bisogna finirlo, è il momento, deve essere una testimonianza di cosa è la guerra dagli occhi di una bambina’, perché ero una bambina all’epoca. Negli ultimi due anni ho capito che le cose stanno peggiorando. Mi pare che, con terribile incoscienza, ci stiamo preparando a una guerra universale. Con la globalizzazione, che pure ha i suoi lati negativi, mi ero illusa, perché porta al commercio internazionale che dovrebbe essere un modo per creare alleanze e rapporti di interdipendenza. Invece gli esseri umani sono fatti non solo di buonsenso, anche di irrazionalità.
La domanda delle domande: ma se le donne fossero al comando il mondo sarebbe diverso?
Non credo nella differenza biologica. Le donne non sono più pacifiche di natura. Però credo che abbiano imparato a reprimere gli istinti più arcaici, che di natura avrebbero, come ogni essere umano. Credo che nei secoli abbiano sublimato l’aggressività – sono state costrette – e abbiano sviluppato un senso di ragionevolezza, un’intelligenza strategica. In questo senso la cultura delle donne è all’avanguardia e potrebbe essere una speranza.
L’incontro all’Istituto Italiano di Cultura è lunedì 13 novembre alle ore 17.