Uno straordinario filosofo e poeta ebreo contemporaneo di Dante e vissuto 700 anni fa in una Roma complessa e multiculturale, rivisitato in un vivace dialogo tra un attore e uno studioso.
Questo l’evento intitolato ”Mine Is the Golden Tongue: The Hebrew Sonnets of Immanuel of Rome”, organizzato lunedi sera dal Centro Primo Levi di New York in collaborazione con il Museo Ebraico di Roma e la Casa Italiana Zerilli Marimò a NYU in occasione della pubblicazione del libro dallo stesso titolo, con traduzioni e annotazioni d Yehudah Cohn, dalla CPL Editions.
La serata è stata ospitata nella sala della Stavros Niarchos Foundation nella New York Public Library e al suo centro vi è stata la ricostruzione, insieme sorridente e approfondita, della vita di Immanuel Ben Shelomoh e del suo mondo culturale e politico fatta da Ronald Guttman e Fabrizio Lelli.
Per gli appassionati di teatro e di cinema, Guttman non ha bisogno di presentazioni. Nato a Bruxelles e poliglotta, ha recitato in molti film di successo come The Duel e All you need is blood, in produzioni televisive come Hunters insieme a Al Pacino, e in molte rappresentazioni teatrali non solo negli Stati Uniti ma anche in Francia e in Belgio.
Di fronte a un pubblico numeroso e interessato, l’attore ha interpretato la parte di un Immanuel contemporaneo, intento a raccontare con ironia dal palco la sua storia, la sua cultura, le sue ansie e perfino i suoi rimorsi, in parte a parole e in parte attraverso la lettura dei suoi versi. Accanto a lui, con il ruolo dell’intervistatore curioso, ha partecipato Lelli, professore di lingua e letteratura ebraica alla Sapienza di Roma. Anche lui, nel settore degli studi ebraici medioevali, ha bisogno di poche presentazioni. Negli ultimi vent’anni ha studiato a fondo i manoscritti medioevali ebraici della Puglia e pubblicato diversi libri sull’argomento.
Preceduto da un video che ha raccontato attraverso le immagini la storia degli ebrei romani prima della segregazione nel ghetto, il dialogo ha illuminato di fronte a un pubblico affascinato un personaggio certamente fondamentale per capire le mille sfaccettature di un mondo medioevale più ricco culturalmente e più interconnesso di quanto si sappia.
Poeta e commentatore biblico dotato di un profondo senso dell’umorismo, Immanuel, o Manoello Giudeo, era sicuramente ben conosciuto nel mondo culturale del Medioevo e è stato sempre ammirato e studiato dagli studiosi di cultura ebraica. Per molti motivi diversi, però, il suo nome non è mai arrivato al pubblico più vasto e la sua opera più famosa, Machbaroth, un insieme di ventotto racconti insieme ironici e profondi, scritta in ebraico e in cui combina poesia biblica, maqama, lo stile parodico arabo e sonetti ispirati dal siciliano Giacomo da Lentini, non è mai stata finora completamente tradotta.
Della sua vita si sanno pochi dettagli certi, a parte quelli che lui stesso ha raccontato nei suoi scritti. Sicuramente, però, era nato attorno al 1265 a Roma, e era vissuto in un momento di profondi cambiamenti politici e sociali dopo la morte dell’imperatore Federico II e il trasferimento dei papi prima nei dintorni di Roma e poi a Avignone. Figlio di un rabbino, era certamente un membro attivo della comunità ebraica locale, e un profondo conoscitore della Bibbia.
Durante la sua vita e fino alla morte, avvenuta tra il 1335 e il 1350, l’inquietudine politica e sociale di un mondo in rapido cambiamento aveva causato molti movimenti di popolazioni e un rapporto molto stretto e vivace tra i rappresentanti di molte culture mediterranee diverse. In una Roma culturalmente aperta e ancora lontana dalla costruzione del ghetto, Immanuel conosceva quindi a fondo, oltre alla cultura ebraica, anche quella araba e quella greca e seguiva con un occhio attento gli sviluppi della letteratura volgare del tempo e la nascita del dolce stilnovo. E questo lo portava ad accostare alla sua scrittura di commenti biblici una ricca produzione di poesia secolare, da recitare nei salotti, e di racconti comico-allegorici che possiamo collocare tra il Novellino e il Decameron. Probabilmente gravità alla corte di Cangrande della Scala a Verona, sostenitore e amico di Dante, a cui dedicò il suo più famoso poema in volgare Bisbidis.
Adesso, grazie alla traduzione dall’ebraico all’inglese fatta da Yehudah Cohn, i sonetti di Immanuel sono diventati un patrimonio accessibile per tutti. E il talento di Ronald Guttman ha aiutato a capire quanto possa essere affasciante e vicino un mondo medioevale ignorato e sconosciuto.
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