Una favola. Contemporanea, ma dal sapore antichissimo, quanto gli incontaminati villaggi del Bhutan, le tradizioni, le meditazioni dei monaci buddisti. “The monk and the gun” è un film molto originale, che esce completamente dai generi cinematografici contemporanei, perché è una satira gentile della corrotta e violenta civiltà occidentale al confronto con quella innocente e sicuramente più illuminata del Bhutan.
Scritto e diretto dal giovane Pawo Choyning Dorji, già autore del sorprendente “Lunana: a Yak in the classroom” nominato agli Oscar nel 2019, il film racconta l’incontro-scontro fra le due culture, attraverso una storiella semplice e comica con una morale efficace. Nato in Bhutan, ma laureato all’università del Wisconsin, il regista conosce bene le due culture e si diverte a metterne in evidenza gli aspetti più antitetici, in questa favola comica che si svolge come un puzzle con una conclusione a sorpresa.
In Bhutan, paese rurale, scarsamente popolato, con paesaggi meravigliosi e le montagne dell’Himalaya che incorniciano tutto, nel 2006 è arrivato internet, spiegano i titoli iniziali, il re ha abdicato in modo che si possano tenere le elezioni per dare il via ad un regime democratico. Ma il popolo non sa votare. E non ne ha nessuna intenzione: è felice con il re e con il poco che ha. Una giovane burocrate con i suoi assistenti gira per i villaggi per insegnare ai locali a fare il tifo per un partito o per l’altro: “perché ci insegni ad essere così villani – chiede una anziana del villaggio – noi non siamo così”. E’ uno dei tanti passaggi che sottolineano le differenze fra culture. La più eclatante è nella trama principale: il monaco, interpretato dal cantante rock Tandin Wangchuk, riceve dal lama, interpretato dal vero lama Kelsang Choejey, la richiesta di due fucili entro la luna piena. Il mondo sta cambiando – dice dopo aver sentito le notizie alla radio – dobbiamo fermare questo disastroso cambiamento. Cosa ci farà mai? – chiede l’americano Ronald Colman (Harry Einhorn) che a sua volta è alla ricerca di un preziosissimo fucile della guerra civile americana, finito non si sa come in Bhutan – i monaci non sono violenti, no? Che ti devo dire, non lo so più – risponde Benji (Tandin Sonam) la sua guida bhutanese – questi sono tempi strani. il finale a sorpresa dimostrerà che no, i monaci sono assolutamente pacifisti e la violenza in quello spicchio di mondo arriva solo dalle immagini di 007 alla televisione e dalla corruzione della cultura occidentale.
Presentato ai Telluride e Toronto Festival prima di arrivare al Rome Film Festival, dove ha guadagnato il premio speciale della giuria, il film è il candidato del Bhutan agli Oscar.