La Leggenda di Ochi è uno di quei film che sembrano arrivati da una dimensione parallela, tra folklore dell’Est Europa, pupazzi animatronici e creature dai versi stranamente familiari. La trama è semplice: una ragazza salva un cucciolo di mostro e scopre che forse i veri mostri non sono quelli che le hanno descritto. Il regista Isaiah Saxon e l’attrice protagonista Helena Zengel hanno presentato il film a Roma in occasione dell’uscita italiana il 9 maggio, dopo il debutto statunitense del 25 aprile.
Volevo costruire un mondo che sembrasse reale, dove adulti e bambini potessero pensare: forse mi sono perso una lezione di geografia”, racconta Isaiah Saxon, al suo esordio nella regia cinematografica. Il regista ha plasmato l’isola di Carpathia ispirandosi ai suoi viaggi nei Carpazi e ai racconti di famiglia: “Mio padre è cresciuto nella Little Ukraine di New York City. Ho voluto distillare l’atmosfera della regione carpatico-balcanica in qualcosa di nuovo, ma radicato. Non è un luogo reale, ma potrebbe esserlo”.

Il regista di The Legend of Ochi. Fonte Wikipedia
E infatti tutto nel film sembra sospeso tra il documentario naturalistico e la fiaba arcaica. Saxon rivela che anche gli Ochi, le creature blu con pelliccia e orecchie enormi, sono stati progettati con realismo scientifico in mente: “Mi sono ispirato al comportamento dei bonobo, una specie di scimmia antropomorfa molto vicina all’essere umanoai sistemi di comunicazione degli uccelli e dei delfini. Non c’è magia in questo film, solo biologia fantastica”.
Sullo sfondo, la storia personale di Saxon si intreccia con la geopolitica: “Il film è nato nel 2017, ma già allora guardavo agli effetti della guerra in Ucraina del 2014 e alla crisi climatica. La tensione tra natura e umanità, tra violenza e ascolto, è al centro di tutto. E Carpathia ne è una metafora viva”.
Ma al cuore della vicenda c’è Yuri, interpretata dall’attrice tedesca Helena Zengel. “I bambini sono curiosi. Se gli dici che qualcosa è proibito, lo vogliono solo di più. Yuri ha sempre sentito dire che gli Ochi sono pericolosi, ma appena ne incontra uno indifeso, tutto cambia. In fondo, anche lei aveva bisogno di essere salvata”. Zengel aggiunge che la relazione tra Yuri e il piccolo Ochi è reciproca: “Non è solo lei che salva lui. Anche l’Ochi le dà forza. Si trovano nel momento giusto, entrambi feriti, entrambi soli. E la loro avventura è una specie di guarigione condivisa”.

Willem Dafoe e Finn Wolfhard in una scena di The Legend of Ochi.
Courtesy of A24/Universal Pictures
Questa dinamica di empatia, ascolto e sfida alle narrazioni imposte è il vero motore del film. Saxon lo dice chiaramente: “Le storie tramandate, soprattutto quelle che alimentano la paura, vanno messe in discussione. Questo film è un invito ad ascoltare chi normalmente ignoriamo: i bambini, le donne, gli animali. Le voci silenziose. Quelle che, spesso, hanno più verità da offrire”.
La scelta di usare pupazzi veri, scenografie reali e quasi nulla in CGI nasce dallo stesso intento: radicare la meraviglia nel mondo tangibile. “Ogni volta che potevamo costruire qualcosa a mano, lo facevamo. Volevo che i bambini potessero pensare che gli Ochi esistono davvero. Che magari esiste una foresta dove succede tutto questo, e non l’abbiamo ancora vista”.
La Leggenda di Ochi è molto più di una favola per famiglie. È un esperimento poetico e visivo su come le storie formano la nostra percezione del mondo. Un film che dice: guarda meglio. Ascolta di più. E chiediti sempre chi ha scritto la storia che stai ascoltando.