“Oggi, in via D’Amelio, c’è un albero della pace voluto dai familiari”, ha raccontato Debora Scalzo. “Ogni giorno i giovani portano un fiore, delle lettere o delle sigarette, tanto amate dal giudice. Ci sono Antonio Vullo, Luciano Traina, Roberta Gatani, Salvatore Borsellino, che lasciano le loro testimonianze perché questo rimane. Il ricordo di quello che è stato non morirà mai”. Per la prima volta alla regia, la scrittrice siciliana presenta Paolo Vive, il docu-film sul magistrato palermitano ucciso dalla mafia nel 1992, all’Istituto Italiano di Cultura di New York il 17 marzo in anteprima per gli Stati Uniti.
Quella di New York è la prima tappa di un lungo viaggio oltreoceano cominciato con un’intervista all’Hollywood Reporter lo scorso settembre e che si concluderà a luglio, toccando Los Angeles, Montreal e Vancouver in Canada e “forse l’Ecuador”. “Sono molto grata agli americani – ha dichiarato Scalzo – perché sono stati i primi a recensire Paolo Vive e l’hanno vissuto come un tributo al giudice. Lo vedono come un eroe, pur non conoscendone bene la storia e l’impatto che ha avuto per noi siciliani. L’America vuole vedere il docu-film, vuole sapere la verità”.
Anche il pubblico italiano ha accolto con successo Paolo Vive. “Le scuole, i ragazzi ne sono stati entusiasti – ha ricordato Scalzo –. Molti giovani, specialmente chi studia giurisprudenza, hanno ancora il simbolo di Borsellino, di Falcone, come ideale di ispirazione. Dobbiamo parlarne ancora e meritano giustizia. È ancora in corso una trattativa Stato-mafia, ma nessun giudizio finale. Ma sono sicura qualcosa cambierà. Mi basterebbe che anche solo una delle persone che ha visto il mio film diventasse un poliziotto, un giudice”. Con amarezza, aggiunge: “Mi fanno sorridere i volti sorpresi del pubblico quando vedono entrare una donna come regista. A volte, in Italia, siamo ancora retrogradi”.

Un successo, nonostante i timori iniziali della regista. “Doveva uscire per le piattaforme streaming e la televisione. Quando la Film Commission mi ha fatto sapere che lo avrebbero lanciato anche al cinema, ero titubante perché dura due ore e mezza”. Sono centocinquantatré minuti per la precisione, che scorrono veloci intrecciando parte filmica, con l’attore Bruno Torrisi nei panni del giudice Borsellino, e testimonianze inedite delle persone più care al magistrato palermitano, che hanno vissuto con lui “i suoi ultimi 57 giorni di vita”, il periodo di stacco tra la morte di Falcone a Capaci e la strage di Via D’Amelio. “Ho scelto di non inserire i video della strage perché sono visti e rivisti – ha spiegato Sclazo –. Le interviste sono una dietro l’altra. Si focalizzano solo sulla personalità di ciascuno. Quando mi è stato detto di tagliarne alcune perché erano troppo forti, troppo vere, io ho deciso di lasciarle integrali. Comincia uno, racconta la sua esperienza e si passa a un altro. Ci sono Antonio Vullo, agente della scorta di Borsellino e l’unico sopravvissuto alla strage, e Giovanni La Perna, il primo poliziotto arrivato in via D’Amelio, che non si erano mai conosciuti di persona fino a quando non sono arrivati sul set”. E ancora, il fratello Salvatore Borsellino, i figli Fiammetta e Manfredi, la nipote Roberta Gatani e Luciano Traina, fratello di Claudio, uno degli agenti della scorta che è morto nella strage del 19 luglio 1992.

Da sempre produttrice di polizieschi e antimafia, questo progetto è più intimo: è legato a doppio filo alla famiglia di Scalzo. Il nonno Lorenzo, “indimenticabile”, è stato agente di scorta per vari magistrati antimafia, fra i quali anche Cesare Terranova, uno dei primi a opporsi a Cosa Nostra. “Quando mi sono diplomata una ventina d’anni fa – ha raccontato Scalzo – ho voluto portare come tesina la storia di Paolo Borsellino perché in famiglia lo vivevamo. Poi ho studiato tutt’altro, ragioneria, cosmetologia. Non pensavo di entrare nel mondo del cinema. Ma dopo anni di sceneggiatura, produzioni, volevo debuttare con qualcosa che rendesse omaggio alla mia terra, che facesse capire che la vera Sicilia è Paolo Borsellino, un uomo per cui sono orgogliosa di dire che sono siciliana”. È il compimento di un sogno arrivato dopo anni di lavoro. Durante la pandemia, “ho ritirato fuori la mia tesina e ho concluso di sistemare la sceneggiatura della parte filmica nel 2021. Nel 2022 abbiamo contattato i familiari per le testimonianze e hanno accettato subito, compreso Torrisi per la parte di Borsellino. A inizio 2023 abbiamo girato ed è stata un’emozione fortissima. Durante le interviste non ho mai dato il ciak a nessuno. La camera era accesa e registrava. A fine di quell’anno sarebbe dovuto uscire, ma non me la sono sentita per un lutto molto importante”.
Scalzo ha già impegni per il futuro. “Sto seguendo un progetto internazionale da girare all’estero, un film storico, che è un’altra delle mie passioni. Io sono cresciuta guardando Ben Hur con mio nonno”. A ottobre tornerà a New York per uno short movie, intitolato I don’t like mirrors, scritto con il regista emergente Alessio di Venere. In Italia, invece, è alla regia di un lungometraggio sull’Arma dei Carabinieri.