Le parole italiane più conosciute nel mondo? Ferrari e pizza, nell’odine. Poi c’è la terza: paparazzo. Un vocabolo universale che racconta le scorribande notturne a caccia di uno scatto proibito, un’attrice di grido, lo scoop che i giornali pagheranno oro. Un’epoca sparita? Chissà. Festeggia 80 anni Rino Barillari detto “The King”, soprannome che si porta addosso da quando batteva Roma a tappeto, pedinando divi e divine. Spegnerà le candeline all’Harry’s Bar di via Veneto, ça va sans dire: cena in famiglia con la moglie Antonella e i figli Roberto e Alessia. Per una volta semplice cliente, non appostato tra le fioriere fuori. In fondo è un superstite, perché il mondo è cambiato così come la sua rappresentazione scenica. Oggi l’esclusiva è merce rara rara, distrutta dai selfie che star, stelline e influencer postano sui social ogni quarto d’ora. “È una cosa stupida”, dice lui. “Per un attimo di celebrità si autodistrugge la propria immagine, banalizzandola a scapito dell’unicità: non ha senso”.
Barillari è uno di quelli che hanno consumato le scarpe battendo (in senso stretto) il marciapiede, quando Hollywood si era trasferita sul Tevere e a Cinecittà. Gente spericolata che arrembava i personaggi dello star system appena scesi dall’aereo, li pedinava con la Vespa e la vecchia Comet a tracolla, aspettandoli al varco. Conoscevano i capocamerieri che al momento opportuno li avvisavano: stasera qui da noi c’è Liz Taylor con Burton, tavolo prenotato per due. Il maestro dei fotografi da strada è stato Tazio Secchiaroli: audace sì, ma con una qualità superiore agli altri. Era allievo di quell’Adolfo Porry-Pastorel padre del fotogiornalismo durante il fascismo, pioniere con il furgone a camera oscura mobile che gli consentiva di sviluppare in tempo reale i negativi, battendo gli operatori dell’Istituto Luce. Secchiaroli era un genio per tecnica e tempismo. Iniziò da ambulante per diventare un mito negli anni ’60: fotografò lo spogliarello di Aiché Nana al Rugantino, le liti tra Anita Ekberg e Antony Steel, il flirt di Walter Chiari e Ava Gardner. E gli eccessi del re egiziano in esilio Faruk, che morì a 45 anni dopo un banchetto di 24 portate nel ristorante La Maielletta, sull’Aurelia Antica.

Tazio, veloce e temerario come Nuvolari, trasformò il mestiere in arte e documento storico. Tanto che i suoi reportage sulla vita by night della capitale ispirarono Fellini nella costruzione de La dolce vita e di Coriolano Paparazzo, fotografo d’assalto nel film. Siamo arrivati al dunque. Paparazzo, chi era costui? Spiegò la genesi del nome Ennio Flaiano, sceneggiatore principe del regista riminese. “Ora dovremmo mettere a questo fotografo un nome esemplare perché il nome giusto aiuta molto e indica che il personaggio vivrà. Queste affinità semantiche tra i personaggi e i loro nomi facevano la disperazione di Faubert che ci mise due anni a trovare il nome di Madame Bovary, Emma”, scriverà ne La solitudine del satiro. Aggiungendo: “Per questo fotografo non sappiamo che inventare: finché, aprendo a caso quell’aureo libretto di George Gessing che si intitola Sulle rive dello Jonio troviamo un nome prestigioso: Paparazzo. Il fotografo si chiamerà Paparazzo. Non saprà mai di portare l’onorato nome di un albergatore delle Calabrie, del quale Gessing parla con riconoscenza e con ammirazione. Ma i nomi hanno un loro destino”.
Nomen omen, infatti. Flaiano stesso paragonò l’obiettivo della macchina fotografica all’apertura e chiusura delle valve delle vongole, in Abruzzo chiamate paparazze. Termine che per estensione definisce, nel mondo, colui che scatta foto indiscrete dei vip. Erano i paparazzi a braccare Lady Diana e Dodi Al Fayed a Parigi nel tunnel dell’Alma. E la parola negli Stati Uniti è sempre declinata al plurale, pure se riferita a un singolo operatore. Ecco perché Ron Galella – nato nel Bronx da padre lucano – veniva definito “The Godfather of US paparazzi culture” da Time e Vanity Fair. In quarant’anni aveva confezionato tre milioni di immagini di stelle dello showbiz, finite sulle copertine delle più prestigiose riviste americane: Esquire Classic, Harper’s Bazaar, Vogue, Rolling Stone, Life, Cosmopolitan, New York Times. La foto più celebre? Jackie Kennedy vestita casual, beccata a passeggio su Madison Avenue il 7 ottobre 1971: “In quello scatto sono racchiuse tutte le caratteristiche del mio approccio: esclusivo, inaspettato, spontaneo, senza appuntamento e senza una seconda possibilità. Jackie è nel suo massimo splendore, grazie alla morbida luce che le disegna le spalle”.

Quella per Jacqueline Kennedy Onassis è stata un’ossessione di Galella: gli costò una causa salatissima e l’obbligo a non avvicinarsi a più di 15 metri da lei. Peggio andò con Marlon Brando, che letteralmente gli spaccò la faccia – mascella fratturata – senza intaccarne però l’ironia. Dice tutto lo scatto del ’74 al Waldorf Astoria: Galella segue Brando come un’ombra, con un casco da football in testa. C’era però chi, come Andy Warhol, lo considerava il suo reporter preferito: “Una buona fotografia deve essere a fuoco e ritrarre una persona famosa mentre fa qualcosa di non famoso. Il suo essere nel posto giusto al momento sbagliato”. E’ questo che accomuna i paparazzi: buon occhio e gambe che corrono svelte, per non rimetterci le penne.
Il palmares di Barillari conta 164 referti al pronto soccorso, l’orecchio leso da un cazzotto di Peter O’Toole, 11 costole rotte, la coltellata di un ultrà, due anni sotto scorta. E 80 macchine fotografiche fracassate. “Ma per Mastroianni, la Lollo e la Loren ero un amico di cui fidarsi. Sophia mi faceva portare una coppa di champagne, se sapeva che ero fuori da un locale ad aspettare che uscisse. Clooney poi è un signore: quando mi vede fa l’occhiolino e scappa fingendo di non conoscermi, poi si ferma e mi fa fare le foto che voglio”. Adesso però i paparazzi sono i maniaci del telefonino, senza stile e senza gloria. Prontissimi a riprendere il personaggio incrociato in via Veneto o sulla Quinta strada, a Cortina, sulle piste di Aspen, in spiaggia alle Maldive o alle Hawaii. I luoghi del jet set invasi da sguaiati gitanti stile Roccaraso. E allora gli Dei proteggano ancora per un po’ Barillari e i protagonisti in estinzione del vecchio mondo: il resto è niente, e così sia.
