“Quando ero bambino, mio nonno mi narrava storie di una Sicilia che non avevo mai visto. Ogni sua parola diventava un’immagine, un frammento di un film che avrei voluto girare”. Martin Scorsese è alla sua prima visita ufficiale al Museo Nazionale del Cinema di Torino, dove ha ricevuto il Premio Stella della Mole.
Il legame del regista italiamericano con l’Italia – la famiglia era della provincia di Palermo – è profondo e radicato. Già nel 2013 il Museo del Cinema di Torino gli aveva dedicato una mostra in collaborazione con la Deutsche Kinemathek, mentre nel 2006 aveva curato l’introduzione del volume Cabiria & Cabiria, dedicato al restauro del kolossal di Giovanni Pastrone del 1914. Il suo interesse per il cinema del passato non si limita alla nostalgia, è un impegno attivo, una battaglia per proteggere un patrimonio culturale delicato e minacciato dall’oblio e dall’indifferenza. Nel documentario The Living Record of a Memory, che ripercorre la storia della conservazione cinematografica, emerge il vero volto di Scorsese: un appassionato archeologo della pellicola, impegnato con dedizione a preservare i sogni e le storie racchiuse nelle immagini in movimento.
A metà degli anni ’80, insieme a Bob Rosen della UCLA, Scorsese intraprese un viaggio quasi donchisciottesco, armato di lunghe liste di titoli dimenticati. “Andavo a bussare alle porte degli studios per ricordare loro che quei tesori meritavano di essere preservati, non lasciati a marcire negli archivi. A quei tempi non c’erano videocassette, DVD o piattaforme digitali: l’unico modo per rivedere un film era trovare una copia d’archivio, spesso in condizioni disastrose. La pellicola era fragile e, se non trattata con cura, si deteriorava irrimediabilmente”.

Da questa consapevolezza, nel 1990, nasce The Film Foundation, e successivamente, nel 2007, il World Cinema Project. Scorsese ha sempre spiegato chiaramente il motivo di questa missione: “Per me, è una questione personale: preservare un film è come conservare un ricordo”, afferma. “È una forma di resistenza, un modo per contrastare la velocità con cui il tempo cerca di farci dimenticare”.
Il Museo del Cinema di Torino gli rende omaggio con una retrospettiva con titoli che sono pietre miliari della New Hollywood, un’epoca che lo stesso regista ha contribuito a trasformare radicalmente. Tra questi Taxi Driver rimane tra i suoi capolavori, con Robert De Niro nel ruolo del tassista paranoico, simbolo della follia urbana e del killer solitario americano. “Il cinema si evolve continuamente,” commenta il regista. “Oggi, può trovarsi ovunque, su schermi di ogni tipo. Ma sta a noi decidere quali storie vogliamo portare alla luce”.
Scorsese sa benissimo che i tempi cambiano e bisogna stare al passo. “Alla fine sono finito pure io su TikTok”, confessa sorridendo. “Colpa di mia figlia, mi ha detto: ‘Papà, devi provare’. E così, eccomi qui”. Per quanto il regista sia aperto a sperimentare nuove esperienze, i pilastri della sua visione artistica rimangono solidi. La violenza, elemento cardine della sua filmografia, continua a rappresentare il conflitto tra fede, colpa e i desideri dell’uomo, e ciò che l’uomo è capace di fare quando ne viene sopraffatto. “Non possiamo ignorare che la violenza faccia parte della nostra realtà”, riflette. “Crescendo a New York, era qualcosa che vedevo quotidianamente. Il cinema ci dà l’opportunità di esplorare queste zone d’ombra, di osservarle in profondità per capirle meglio”.

Parlare del passato (sepolto) anche per parlare del presente. Con il suo ultimo film, Killers of the Flower Moon, la vicenda dei nativi Osage dell’Oklahoma, che furono vittime di un genocidio orchestrato per appropriarsi delle loro ricchezze petrolifere, Scorsese fonde elementi di western, noir e gangster movie per raccontare un momento di transizione e svelare la brutalità del capitalismo americano. “È stato un film complesso da realizzare, sia per la portata emotiva che per l’accuratezza storica necessaria, ma raccontare questa storia ci ricorda chi siamo stati e come certe dinamiche si ripetano ancora oggi”.
Alla domanda se stia pensando di ritirarsi, Scorsese risponde con un sorriso e un bel “Ma no, figuriamoci! Il cinema è parte di me”. E aggiunge: “Avevo in mente un film su Sinatra, ma per ora è in stand-by. Sto lavorando anche a un progetto su Gesù, ma siccome voglio continuare a lungo, mi sto dedicando a tante altre cose. Ad esempio, ultimamente mi sono appassionato agli scavi archeologici e ho in programma di visitare Polizzi Generosa, il paese di mio nonno, Francesco Scozzese. Quando è arrivato in America, hanno sbagliato a scrivere il cognome! Sarà un momento speciale per me e la mia famiglia, e chissà, magari ne nascerà una nuova storia per un film. L’ispirazione arriva sempre nei modi più strani, no”?
La giornata si è conclusa con la cerimonia di consegna. Sul red carpet del Museo del Cinema (ospitato nella monumentale Mole Antonelliana di Torino), accanto a Scorsese, c’erano volti familiari e amici come sua figlia Francesca, il premio Oscar Giuseppe Tornatore, l’attore Willem Dafoe (cittadino italiano dopo il matrimonio con Giada Colagrande) e gli scenografi Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo. Nell’Aula del Tempio, il regista ha ricevuto il premio alla carriera, consegnato dal presidente del Museo del Cinema Enzo Ghigo e dal direttore Domenico De Gaetano.