New York, anni ’70. Una città in ascesa, dove tutto sembra possibile. È qui che Donald J. Trump inizia la sua trasformazione. Non più solo il rampollo di una dinastia di costruttori, ma un uomo determinato a scolpire il proprio nome tra i giganti della Grande Mela. Ma per farlo, ha bisogno di un mentore.
Entra in scena Roy Cohn, un nome già temuto nei corridoi del potere. Avvocato spregiudicato, capace di far condannare i Rosenberg per spionaggio e figura chiave nelle indagini anticomuniste di McCarthy, Cohn rappresenta il cinismo più puro. È un uomo che non conosce scrupoli e per il quale la legge è solo uno strumento da piegare.
The Apprentice, del regista iraniano-danese Ali Abbasi, con la sua Manhattan cupa e soffocante, segue la metamorfosi di un uomo che impara a sfruttare la paura e l’inganno come strumenti per ottenere ciò che desidera. Cohn non si limita a insegnare a Trump come fare affari, ma gli svela un mondo in cui l’unica verità è quella che si crea. Gli amici sono pedine, e i nemici devono essere schiacciati. Le conversazioni tra i due diventano veri e propri duelli verbali, dove Cohn incarna il demiurgo, pronto a creare un uomo che possa giocare secondo le sue regole.
Sebastian Stan evita l’imitazione e crea un Trump stratificato, un personaggio che gradualmente perde la sua umanità in cambio di potere. Strong, d’altra parte, è il perfetto contrappunto: un uomo che ha già abbracciato la sua oscurità e che guida il futuro presidente degli Stati Uniti nella stessa direzione. È un rapporto che funziona, fino a quando Trump, sotto l’influenza corrosiva di Cohn, inizia a muoversi con la sicurezza di un predatore che ha finalmente affilato le sue zanne.

Visivamente, il film costruisce un mondo claustrofobico e senza scampo: contratti firmati in segreto, strette di mano che sanciscono pericolose alleanze. L’uomo che all’inizio cercava solo di emergere diventa sempre più alienato, estraneo a tutto ciò che lo circonda, compreso se stesso. Vediamo Trump riflettersi nelle vetrate di Manhattan, separato dalla città che vuole dominare, prigioniero della sua stessa ambizione. The Apprentice è un resoconto crudo e diretto di come l’aspirazione al controllo e alla supremazia possa corrompere e trasformare.
ll film sarà in sala negli Stati Uniti il prossimo 11 ottobre, meno di un mese prima delle elezioni presidenziali americane, e non sembra una coincidenza. Ali Abbasi e il produttore Tom Ortenberg, che non temono di sporcarsi le mani con verità scomode, come in Spotlight, sembrano aver pianificato l’uscita in modo strategico. Il biopic non è solo una riflessione sul passato di Trump, ma una lente attraverso cui il pubblico può osservare il suo presente e, forse, giudicare la sua attuale corsa alla Casa Bianca.
In occasione della presentazione del film all’ultimo Festival di Cannes, Trump non ha perso tempo nel bollare il progetto come una “falsità totale”, liquidandolo come un altro esempio di “spazzatura di Hollywood”. Nei suoi consueti tweet infuocati, ha denunciato: “Un attacco politico orchestrato dalla sinistra radicale. I falsi media e i loro film manipolati non faranno altro che rafforzare il mio sostegno!”.
Come più di qualcuno ha osservato, The Apprentice si presenta come un’arma a doppio taglio. Lontano dall’intaccare la figura di Trump, il film potrebbe essere visto dai suoi sostenitori come l’ennesimo attacco da parte dell’élite liberale, rafforzando ulteriormente il loro senso di accerchiamento e la loro fedeltà. L’uscita del film rischia così di alimentare ulteriormente le tensioni di una campagna elettorale già carica di divisioni, trasformando le sale cinematografiche in nuove arene di conflitto, dove la polarizzazione politica si esprime in modo ancora più feroce.