Missing. Desaparecido. Scomparso. Possibile che un film di ottima fattura, non commerciale, ricco di spunti (o perfino di poesia), girato con mano felice e interpreti giusti venga sbattuto fuori dai cinema senza troppi riguardi? Accade spesso nel circuito italiano, specie quando manca il richiamo dell’attore di grido o la spinta di un robusto marketing. Per non parlare del trailer, che deve essere azzeccato al millimetro per funzionare: blockbuster e serie televisive, ovvero cannibali e vampiri, insegnano come si fa. Il banco di prova dura uno, due, tre giorni di proiezione, perché i conti al botteghino non concedono prove d’appello. O va o va, altrimenti cala il sipario. E resta solo una possibilità residua: il colpo di fortuna.
Quello più eclatante – strameritato, intendiamoci – è toccato a C’è ancora domani di Paola Cortellesi, che ha intercettato in maniera perfetta il sentire del momento. Presentato senza straordinarie aspettative alla Festa di Roma, è volato subito in orbita come un razzo frantumando tutti i record di incassi. Grazie soprattutto al passaparola ripetuto e continuato. Ma non funziona sempre così: il sistema ha fretta, non fa sconti ed è pronto a strappare scalpi illustri.
Due casi clamorosi accendono in questi giorni la discussione fra addetti ai lavori e cinefili. Il primo riguarda Alice Rohrwacher, che ha virtualmente invocato gli aficionados nel tentativo di tenere a galla il suo La chimera: “Telefonate ai vostri cinema cittadini o di paese, chiedete di metterlo in programmazione”, è stato l’appello. Grido di dolore rilanciato dal cast, stretto attorno ai protagonisti Josh O’Connor e Isabella Rossellini: “Il film è proiettato solo in poche sale, aiutateci a diffonderlo”. Rohrwacher è una regista di grande talento, pluripremiata a Cannes e candidata all’Oscar con il cortometraggio Le Pupille. Durante le feste natalizie è andata in scena una sua retrospettiva al Centro Pompidou di Parigi, dov’è stato proiettato proprio La Chimera, ambientato fra i tombaroli della campagna di Orvieto negli anni ’80. La storia mette all’indice il maschilismo, tema di estrema attualità: “Volevo far capire – ha spiegato lei – che il patriarcato non è una condizione naturale, ma che si può prendere anche un’altra strada. È la fine di un’epoca: certi episodi tragici sono i colpi di coda di un mondo superato”.
Insomma l’opera ha tutte le carte in regola per raccogliere il consenso popolare. Eppure. Eppure ha bisogno di una spinta poderosa per sopravvivere, la stessa invocata da Emma Dante per Misericordia, terzo film di questa artista che riesce in tutto: cinema, teatro, regia lirica, letteratura. La sua favola tragica, tenera e spietata, racconta tre donne sante e puttane, e un ragazzino figlio di femminicidio cresciuto con amore materno. Trama di straordinario impatto ma le copie del film, in sala da metà novembre, sono state dimezzate già alla seconda settimana.
La ghigliottina ha scosso l’autrice, che ha reagito imbucando un messaggio su Facebook. Il post fa riflettere: “Non ci dormo, non mi rassegno, il primo sabato e domenica il film non ha fatto i numeri che i distributori e gli esercenti si aspettavano, il giovedì successivo è stato programmato in una ventina di sale a orari improbabili, senza dare il tempo di creare un piccolo passaparola, di organizzarsi, di scegliere, di capire se lo programmavano al cinema vicino casa. Al momento, resiste in sole quattro sale in tutta Italia e credo che a breve sarà tumulato. O fai il tutto esaurito in pochissimo tempo o sei morto”. E di seguito: “Dentro c’è tantissimo lavoro da parte di molti professionisti, c’è tanta cura, passione, c’è dentro il nostro sudore, la nostra fatica, il nostro talento, l’abnegazione, il sacrificio, l’intelligenza, il ragionamento, la tenacia, l’attesa dei tramonti e delle albe, il gelo, l’umidità, la luce e l’ombra che abbiamo pazientemente aspettato, c’è dentro tutto il nostro sapere perché nessuno si è risparmiato, mai”.
La dignità, opposta a uno spreco intollerabile, aguzza l’ingegno. Se la pubblicità è l’anima del commercio, oggi la promozione autarchica batte il territorio casa per casa, cineclub per cineclub. Registi e attori si sono messi in moto in prima persona: l’idea è chiamare a raccolta il pubblico, stimolarne la sensibilità e l’attenzione, rispondere alle sue domande.
Come? In presenza, in collegamento telefonico, in videoconferenza web. I social per una volta possono servire, diventando un tamtam a fin di bene usato come strategia di distribuzione fai da te. Perché lo spettatore si incuriosisce e corre al cinema, a furia di sentir parlare di un certo film: voglio capire se è bello come dicono, voglio scoprire perché piace. Così la catena di Sant’Antonio prende forma, spezzando il mantello dell’invisibilità.
Fioccano le risposte positive sulla bacheca di internet, in arrivo dalle grandi città e dalla provincia. “Ce l’avete richiesto, Misericordia sarà a La Compagnia di Firenze con cinque spettacoli”, “Oggi alle 17 lo proiettiamo al Cinemino di via Seneca a Milano”, “Emma l’abbiamo messo in locandina al Cinema Rondinella di Sesto San Giovanni, se puoi intervenire per noi è una gran cosa”. Ancora: “Siamo determinati a presentarlo al Cinema Teatro Astra di San Giustino, provincia di Perugia, e saremmo onoratissimi della tua presenza on line o al telefono”, “Gentilissima signora Dante, se verrà a Napoli saremo felici di festeggiarla e proiettare il film al nostro Teatro Instabile”, “Siamo a Gallarate, Cinema delle Arti, l’8 febbraio con doppia proiezione: è annunciato su Messenger”. E poi il Cinema Astra al Lido di Venezia, il Teatro Nuovo di Capodarco, l’Auditorium comunale Cin&Città a Rho, il Rosebud a Reggio Emilia, il Capitol a Sermide, il CineTeatro Baretti a Torino, il Cinema Teatro Italia di Pontassieve, il Nuovo Olimpia a Roma, il Beltrade di Milano, l’Arlecchino a Bologna, il Politeama di Suzzara eccetera eccetera eccetera. Non è una chimera né un’opera di misericordia, il cinema d’autore appartiene a tutti noi: non lasciamolo solo.