Poster dei suoi film, una parete su cui si proietta Malcolm X con Denzel Washington (anno 1992, un vero manifesto della sua arte), e quadri: autori Martin Luther King Jr e Trayvon Martin, il cui omicidio ispirò il movimento Black Lives Matter. E ancora: tristi cimeli del segregazionismo come un cartello, “Colored Waiting Room”. La mostra che il Brooklyn Museum dedica a Spike Lee è uno spiraglio nel suo mondo creativo, una guida nella mente dell’artista e nella storia da cui ha tratto ispirazione.

Spike Lee: Creative Sources apre al pubblico sabato 7 ottobre (anteprima il 5 ottobre) fino al 4 febbraio 2024; il regista ha fornito oltre 300 pezzi della sua collezione privata, ci sono 400 oggetti in mostra, e all’ingresso il visitatore viene accolto dalla sezione “Black History and Culture”.
Ce ne sono altre sei che includono anche libri, tantissimi cimeli sportivi, doni da altri cineasti, una lettera firmata da Barack Obama, e altre sfaccettature degli interessi multiformi di Lee; la curatrice, Kimberli Gant, ha spiegato al New York Times che spera di attirare un pubblico quanto più vasto possibile.

Figura di riferimento per la comunità nera, spesso spettatore al Madison Square Garden per le partite dei New York Knicks, nominato a cinque Oscar, vincitore del premio per la miglior sceneggiatura per BlacKkKlansman (2018), Spike Lee ha 66 anni. Brooklyn è casa sua: qui è cresciuto – sebbene sia nato ad Atlanta in Georgia – e a New York sono ambientati molti dei suoi film.
Spike Lee: Creative Sources diventa così un caleidoscopio che riflette la storia, la vita quotidiana e le lotte della comunità nera.
Una stanza intera è dedicata a Do The Right Thing, il film del 1989 che tratta della tensione razziale fra afroamericani e italoamericani. Ampio spazio è riservato agli atleti neri che hanno cambiato la storia: da Jackie Robinson, primo a giocare nella Major League Baseball, al pugile Muhammed Ali, a oggetti con autografo di Serena Williams, LeBron James, Jim Brown e Michael Jordan.
Vicino all’uscita, una maglia da football autografata da Colin Kaepernick, il quarterback che nel 2016 scatenò le polemiche (e si giocò la carriera) cominciando a inginocchiarsi durante l’esecuzione dell’inno nazionale per protesta contro la violenza della polizia.