Anche l’Algeria ha deciso di mettere al bando Barbie, il film di Greta Gerwig campione d’incassi al botteghino. Evidentemente la pellicola che ha scatenato dibattiti a non finire (esperimento femminista o operazione di marketing, roba seria o divertissement, o tutt’e due le cose?) dà fastidio, per vari motivi, in primo luogo ad alcuni regimi islamici.
In Algeria il film è stato nelle sale per tre settimane ad Algeri, Orano e Costantine. A Ferragosto, il ministero della cultura ne ha chiesto l’immediato ritiro perché “promuove l’omosessualità e non rispetta la cultura e la religione algerina” e quindi “attenta alla morale”, afferma il sito (privato) 24H Algérie: anche il distributore MC Ciné ha ricevuto una notifica ufficiale di interdizione. Forse finalmente qualcuno in alto è andato a vederlo, e ha scoperto che Barbie critica il patriarcato… cosa probabilmente chiara alle oltre 40.000 persone che per 20 giorni si erano messe pazientemente in fila facendo registrare il sold out in tutte le sale.
L’Algeria non è sola: il film era già stato messo al bando in Kuwait (per “attacco alla morale, agli usi e costumi e valori religiosi”), mentre in Libano dove dovrebbe uscire il 31 agosto, il ministro della Cultura Abbas Mortada ne ha chiesto la censura perché “va contro i valori morali e religiosi del Libano, incoraggia la perversione e la trasformazione dei sessi, attacca la tutela patriarcale e mette in ridicolo il ruolo delle madri”, nientemeno.
Il film è proibito anche in Vietnam ma per una questione politica: in una scena a casa di Barbie Stramba appare (fugacemente) una carta geografica del mondo che sembra disegnata da un bambino, con una linea sinuosa vicino all’Asia. Hanoi sembra averla considerata come una accettazione dei confini marittimi con la Cina, secondo l’interpretazione di Pechino. Per lo stesso motivo, le Filippine hanno accettato di programmare il film solo dopo aver ottenuto che la mappa incriminata venisse sfocata.
In Iran il film non è mai arrivato (sorpresa!). E non è arrivato, guarda un po’, neanche in Russia dove però è scoppiato il “think pink” con feste, locali, profili social addobbati in rosa.