Un doppiatore è per contratto una voce. Lui no, Michele Kalamera era prima di tutto un attore a tutto tondo. Promosso a pieni voti all’Accademia d’arte drammatica nei primi anni ’60, quando la selezione era terribile e in cattedra c’erano i mostri sacri dello spettacolo italiano. Fondatore con Gigi Proietti dello Stabile dell’Aquila. Protagonista in teatro e nei radiodrammi.
Ma essere riuscito a dimostrare le sue doti totali soltanto in parte era un cruccio dissimulato: uomo sensibile, inflessibile con se stesso, talvolta si sentiva uno o nessuno. Invece è stato centomila: centomila divi che ha personalizzato mettendo il talento al loro servizio. La lista è infinita. E’ stato Clark Gable e Jack Nicholson, Anthony Hopkins e Michael Caine, Kirk Douglas e Murray Abraham. Prestando all’alter ego tanto più famoso di lui un timbro speciale, dettando il ritmo lento o accelerato della recitazione, innescando un sospiro o una pausa nel discorso, cucendo il suo lavoro con lo studio psicologico dei caratteri. In fondo è tutto quel che significa interpretazione.
Classe 1939, nato a Conegliano, padre siciliano e madre veneta, nonno greco a cui deve la lettera kappa del suo cognome (abolita dal fascismo e restituitagli nel dopoguerra), Kalamera è morto ieri. Negli ultimi tempi sentiva addosso il tarlo della depressione: non si era mai ripreso del tutto da un delicato intervento chirurgico, seguito a una banale quanto catastrofica caduta per strada a Roma dove abitava con la moglie Alma, compagna di una vita e sua prima tifosa.
Se n’è andato lasciando senza voce un’antologia sconfinata di artisti. Uno sopra a tutti, a cui era legato in maniera indissolubile: Clint Eastwood. Quasi mezzo secolo e 27 film insieme – dal 1976 per Il texano dagli occhi di ghiaccio fino a Cry Macho del 2021 – paradossalmente senza mai incontrarsi personalmente. L’americano, che veniva dalla televisione, era diventato celebre per la trilogia del dollaro girata con Sergio Leone. Senza la voce di Kalamera. Ciò nonostante lo considerava il migliore senza discussioni: <Nessuno ha reso i miei personaggi come my italian dubber>, diceva apertamente.
A regalare la massima popolarità a entrambi, attore (poi anche regista) e doppiatore, sono state le tre pellicole dell’ispettore Callaghan: le storie violente imperniate su Dirty Harry, ovvero Harry la carogna, in cui la simbiosi è tanto perfetta da oscurare le altre voci italiane del personaggio. Tra dare e avere, tirate le somme entrambi hanno raccolto il massimo. In una lunga intervista di qualche mese fa, che riproponiamo di seguito, Kalamera raccontava divertito la genesi di un titolo che ha fatto storia: Coraggio… fatti ammazzare. Si trattò di una intuizione casuale, una frase sfuggita davanti al leggio per riempire il silenzio assordante del faccia a faccia tra Callaghan e un rapinatore. Inutile dire che l’idea geniale venne subito fatta propria dal distributore, presente in quel momento nella sala doppiaggio: niente più Sudden Impact, il titolo italiano fu quello.
L’episodio è tutt’altro che marginale: spiega perfettamente quanto naturale fosse la sovrapposizione dei ruoli. Così il capolavoro di Kalamera rimane la voce grattugiata inventata per Gran Torino, girato in presa diretta e gravato dall’afonia che affliggeva il vecchio Clint. Non solo. L’effetto era talmente convincente che Eastwood lo adottò nella versione originale dei suoi film, oltreché nelle conversazioni con la stampa, in pratica imitando il suo doppiatore. <Certe volte mi rendo conto che per il pubblico io e lui siamo la stessa persona: sono costretto a dargli la mia voce finché vivrà. O finché vivrò io>, rifletteva. Ora la coppia inseparabile si è sciolta per sempre.