“E’ stata benedetta dal senso dell’umorismo, della fantasia e dell’assurdo – e nelle pièce di Samuel Beckett, ha trovato un focus perfetto per meditare sulle assurdità della vita”. Così scriveva Anna Kisselgoff, nel 1986, della francese Maguy Marin, l’autrice di May B. Si suppone che l’autorevole capo-critico di danza del New York Times (sino al 2005) avesse visto una delle recite dello spettacolo della subito nominata “Pina Bausch francese”a Créteil, all’epoca sua residenza. Oggi, superate le 750 repliche in 5 continenti dal 1981, anno di nascita dell’ambiguo titolo beckettiano (“forse” nella lettura in inglese, ma anche “forse Beckett”) non ne siamo così certe. Anche se lo fossimo, nutriamo il sospetto che l’ormai settantenne coreografa, già consegnata alla storia del teatro di danza, non sia così nota negli States, quanto lo è in Europa ove ha ricevuto ogni sorta di premi, incluso, nel 2016, il Leone d’oro della Biennale di Venezia.

Nella sua rocambolesca avventura creativa e ribelle, la nostra artista è stata e sarà sino alla fine dell’anno, al centro di Maguy Marin. La passione dei possibili, meritato omaggio promosso dal Reggio Parma Festival, per l’occasione liaison tra i Teatri di Reggio Emilia e il Regio parmense. Qui, nel maggio scorso, è riemerso May B, ora si attende la nuova creazione dal titolo Deux Mille Vingt Trois, ossia 2023 a Reggio Emilia (18-19 novembre), preceduta e seguita da altri eventi e spettacoli – come Umwelt, Bessie Award nel 2006 o Nocturnes – collaudati da una coreografa da conoscere.
Piccola, la voce roca, un risoluto volto bambino e senza trucco, Maguy (diminutivo di Marguerite) è nata a Tolosa da genitori spagnoli in fuga dal regime franchista. Mai avrebbe potuto coltivare il suo estro artistico se Maurice Béjart non l’avesse accolta a Bruxelles, prima allieva, poi coccolata interprete nel suo Ballet du XXème Siècle. Nel 1978 lei si rese autonoma dal suo maestro, fondando con Daniel Ambasch, il Ballet Théâtre de l’Arche. Ottenuta una residenza a Créteil, poco lontano da Parigi, imboccò dopo May B, un percorso turgido, iper-teatrale “à la Ensor”(Babel Babel, Hymen, Cendrillon per il Ballet de l’Opéra de Lyon, una Cenerentola incastonata in una casa di bambolotti teneri, grotteschi, oppure malvagi e imbottiti di gommapiuma come i sordidi e impolverati interpreti della prima parte di May B) e ancora Calambre, Eden, sino ai Sette peccati capitali di Brecht-Weill in cui lei stesso tornò in scena con le sue scarpette da punta, i giri accademici perfetti nel turgore di una scena e di ricchi costumi che l’avrebbero spedita in infinite tournée.

Provò di nuovo, come chez Béjart, pur amatissimo, un senso di vuoto e rifiuto. Buttò all’aria tutto quello che l’aveva fatta diventare una delle più resistenti figure della cosiddetta nouvelle danse francese e si rifugiò nel periferico e degradato suburbio della Velette a Rillieux-la-Pape, alle porte di Lione. Paradossalmente tra le urla continue, i vandalismi e le violenze di un quartiere di emigrati in guerra anche contro il suo centro di danza, Maguy ritrovò il silenzio interiore per tornare a ricercare assieme a Denis Mariotte, musicista e suo nuovo compagno. Le opere anni ’90 sono scabre ricerche “nude” su movimento e suono, danza e respiro, dinamica e parola: furono, come lei stessa asserisce, “minimaliste in ritardo”. Un’inventiva ruvida e imprevedibile si riaccese poco alla volta nel volgere del terzo millennio: in Umvelt, Ha Ha e soprattutto nella vigorosa teatralità di Turba, ispirato al De rerum natura di Lucrezio.

Maguy non abbandonò Beckett, anzi né allestì uno nuovo: quello dei rantoli estremi di Worstward Ho, una novella impaginata dalla coreografa in un assolo incantatorio, non più latore di memorie come May B, bensì di lacerti di senso svaporante, assieme ai piccoli gesti di un corpo/coperta gettato su di un giaciglio da clochard. Nel 2009 la coreografa mostrò una speciale dimestichezza con le grandi opere dell’umanità e con i filosofi più importanti. In Description d’un combat, la sua Iliade, non si danzava più, si passeggiava restituendo con grande fedeltà il testo omerico, ma in varie lingue sussurrate, biascicate, ritmate. Di sconvolgente bellezza, lo spettacolo risultò “difficile”, almeno in Italia; il pubblico di Bolzano, ad esempio, pretese la restituzione dei biglietti… Combat, davvero, per la soddisfazione della coreografa che già pensava a un’ennesima fuga. Lasciò agli emigrati, un tempo suoi nemici e poi fan e sostenitori, un centro, proprio a Rillieux-la-Pape, esemplare per residenze artistiche, programmazione, spazi ampliati e ristrutturati. Salves e il citato Nocturnes del 2012, due nuovi chef d’oeuvre, nacquero però a Tolosa.

Per tre anni Maguy tornò a respirare l’aria di casa, accanto a madre, figli, famiglia ma portando con sé la sua compagnia. La città natia, tuttavia, non le consentì di aprire un suo centro, né grandi spazi d’azione. Così si rese opportuno un ennesimo trasloco a Sainte-Foy-lès Lyon, in una grande fabbrica già adibita a residenze varie e questa volta, acquistata. Nel 2015 la sede della Compagnia Maguy Marin divenne RamDam (dal titolo di una coreografia del 1995), “ un centro d’arte”.
Qui sta nascendo la novità per sette danzatori 2023, dedicata alla capacità di distanziarsi dai luoghi comuni, dalla manipolazione degli influencers e anche a teatro di combattere. A braccetto di filosofi di epoche diverse, come Spinoza, Walter Benjamin, e Tucidide che diceva “tu hai due scelte: assuefarti o essere libero”, Maguy promette humour. “Anche se il tema è alquanto tragico, sarà trattato drammaturgicamente alla Bertolt Brecht e alla maniera del grande attor-comico Karl Valentin”.