“Io sono un autore di immagini” dice accarezzandosi la barba, quasi a confortarsi in questa descrizione di sé che lascia spazio a poche altre interpretazioni. Un uomo libero, aggiungerebbe di certo chi lo ha ascoltato spiegare che no, “non bisogna mai chiudersi in un angolino di specializzazione”, come dire “non sono solo un fumettista”.
Lorenzo Mattotti, classe 1954, è uno di quegli uomini che trasmettono la gioventù dell’anima. Lo incontro a Brescia, la sua città d’origine. Ma capisco in un attimo che è cittadino del mondo. A lui si devono 36 copertine del New Yorker, tra cui ricordiamo quella disegnata in occasione della riapertura del luna park di Coney Island dopo la pandemia. Si è emozionato? “E’ stato divertente, era nel momento giusto, una buona occasione per metterle insieme questi due momenti”.
Ma che rapporto ha Mattotti con gli Stati Uniti e con New York? “Io non vivrei mai a New York. Ci vado, si, e lavorare per il New Yorker è sempre e comunque una grande sfida. Ma no, non ci vivrei”.
Eppure c’è un artista americano, o meglio, newyorchese, che ha ispirato, soprattutto agli esordi, Lorenzo Mattotti. E’ Edward Hopper. I suoi quadri hanno tagli di luce che sì, hanno qualcosa in comune con alcune tra le sue tante opere: “Credo che molti si sentano vicino a lui, essendo uno dei primi che ha cominciato a raccontare la contemporaneità, il paesaggio urbano. Ho amato tanto Hopper, anche gli esordi, quando era a Parigi e faceva l’illustratore, credo di aver assorbito tanto di lui soprattutto all’inizio della mia carriera”.
È dunque Parigi il suo posto? “Dopo 20 anni no, nemmeno quello. Tornerei a vivere a Venezia, o in una piccola città di provincia”. Brescia? “Beh, non è tanto piccola”.
Sorride Mattotti mentre cammina lento all’interno del Museo Santa Giulia della sua città natia. Qui è stata inaugurata un’esposizione con 250 opere e proprio a Brescia ci saranno diversi eventi, anche cinematografici, che lo vedranno coinvolto fino a inizio 2024. “Storie, ritmi, movimenti” è curata da Melania Gazzotti, che a New York, nel 2019, ha curato per l’Istituto Italiano di Cultura la mostra “Italian Types: Graphic Designer from Italy in America”.
L’esposizione di Mattotti, così come realizzata per Brescia, è inedita. C’è il racconto dei suoi esordi, della voglia di “dare immagine alla musica, a un pezzo sulla chitarra di Jerry Garcia – spiega l’artista proteso verso le sue opere – e io cerco in maniera anche molto naïf, ingenua, di dare queste sensazioni dello sviluppo dell’armonia”.
Era il periodo in cui prendeva forma un’importante rivoluzione nel fumetto, ma non solo. “Ci sono tavole che raccontano l’esperienza di Umbria Jazz, nel 1975 – spiega Mattotti – o i concerti nelle Feste dell’Unità, con amici, e i primi esperimenti con il colore. Una delle grosse tematiche, che probabilmente è il fil rouge di tutta questa mostra, è il mio tentativo disperato di dare forma al suono, alla musica, di rappresentarla. I critici dicono che le mie storie hanno più una struttura musicale che letteraria, e che i miei colori sono quasi più strumenti sonori. Credo ci sia un fondamento in queste descrizioni. Che la musica mi abbia proprio impregnato visivamente”.
Ma c’è una collaborazione che resta nella storia e che riporta Mattotti a New York, quella con Lou Reed: “Non ci credevo neanche. Lou Reed aveva visto il mio Jekill e Hyde, con colori molto forti, e dopo una telefonata abbastanza divertente mi ha chiesto se volevo collaborare con lui”. E prosegue: “Ci teneva molto a fare un libro illustrato, non lo aveva mai fatto in vita sua e l’idea di crearne uno con le citazioni di Edgar Allan Poe lo eccitava moltissimo. Dopo un incontro ho capito quello che voleva. Mi ha detto di non essere uno specialista letterario di Edgar Allan Poe, ma di averne preso i testi per reinterpretarli alla sua maniera. Mi ha incitato a fare lo stesso con le atmosfere del disco. Ed è nato The Raven. Mi sono sentito estremamente libero di poter tirar fuori questi mostri. C’è una parte oscura del mio lavoro che emerge in certe storie a fumetti”.
Poi, in un’altra stanza, Mattotti spiega l’illustrazione della paura “con immagini oscure e molto inquietanti. Avevo avuto la richiesta del New Yorker di raccontare Hansel e Gretel – dice – Questo lavoro l’ho fatto nel giro di una settimana, come fosse il naturale risultato di un lavoro sulle foreste, portato avanti nei due anni precedenti. Per il New Yorker non volevo realizzare una classica illustrazione per bambini. E allora ho preso le foreste, le ho riutilizzate mettendoci dei bambini”.
Va al passato, Mattotti, quel passato che porta dritto a brividi indimenticati: “Mi sono ricordato la paura che da piccolo avevo della storia di Hansel e Gretel. Mi sono staccato dal colore, ho lavorato sul bianco e nero. Il nero come mistero, come non detto, il nero come spazio che dà la possibilità a ognuno di immaginare i propri mostri, come un bambino sotto le coperte che con la fantasia dà forma alle proprie paure”. Dunque non solo prime pagine per il New Yorker, ne ha realizzate ben 36, ma anche contenuti più ampi, racconti per immagini che hanno portato il lettore in altri spazi, più approfonditi.
Ma torniamo alla musica, che per Lorenzo Mattotti è anche “una sfida – spiega Melania Gazzotti – Consiste nel rappresentare il movimento attraverso disegno e colore”.
“La danza – spiega l’artista – io l’ho sempre pensata come libera, spontanea, che riesce a rompere paure, limiti. Oppure come momento di estasi, rituale, come unione con la natura. Il corpo che esprime le emozioni interiori. Non sono mai stato un danzatore di tango o di liscio, mi ha sempre affascinato la danza libera.”.
E prosegue, mostrando tre opere inedite, realizzate appositamente per l’esposizione bresciana: “ho tentato di dare l’idea del ritmo dei tamburi. Poi ho sviluppato in acrilico il tema, e mi è venuta voglia di farlo complesso, non con soli tre o quattro danzatori, ma con tante persone, una danza collettiva, come in una discoteca”. E ci sono momenti di festa, c’è tanto colore, anche nelle diverse raffigurazioni del Carnevale di Rio.
Ma c’è anche il cinema a coinvolgere Mazzotti, e al Museo di Santa Giulia sono esposti non soltanto i manifesti realizzati per il Festival di Venezia. Ci sono racconti per immagini che prendono per mano. Perché Lorenzo Mattotti non è solo fumettista, ma anche illustratore, sceneggiatore, regista. Un’avventura che parte nel 2004, quando contribuisce al film Eros, di Michelangelo Antonioni, e che culmina nel 2019 ce “La famosa invasione degli orsi in Sicilia”.
Ecco perché nulla gli calza più del modus vivendi che sin da subito ha suggerito e che mette spontaneamente in pratica: mai limitarsi a una sola specializzazione, ricordate? Ecco, sono consapevole di avere di fronte un uomo che non vuole porsi limiti. Che osserva, riflette, crea. Un uomo libero, dicevo. E i colori lo sanno.