Non è una legge scritta, ma l’evidenza la conferma: l’estensione della vita di Jean-Michel Basquiat è inversamente proporzionale al suo successo.
Dalla sua morte (1988) sono passati 35 anni, ciò significa che conviviamo con il suo ricordo da più tempo di quello che abbiamo condiviso con la sua persona – nacque nel 1960. All’interno di tale ricordo la sua figura ha perso sembianze umane e si è avvicinata sempre più ai corpi stilizzati, alle maschere spigolose, ai segni laceranti che il pittore imprimeva sulle tele. Rovi di personaggi e simboli, scritte e numeri; nebulose gonfie di messaggi arcani: talvolta indecifrabili, sempre evocativi. Sicuramente identificabili, sciolti da ogni riferimento o precedente, imitati ma non imitabili, cristallizzati nell’estetica underground, folle, frenetica e decadente della New York anni Ottanta in cui ha vissuto. Eppure capace di richiamare mondi lontani, come l’Africa della tratta schiavista o l’Italia del Rinascimento.
Proprio questi due temi segnano due anni particolari della sua produzione, il 1982 e il 1983, i più iconici, quelli che seguono un viaggio in Italia dell’artista. Un biennio in cui il pittore, appena ventiduenne, realizza alcune delle sue opere migliori. Un riscontro offerto dai collezionisti, che negli ultimi anni sono arrivati a spendere cifre milionarie pur di aggiudicarsi i lavori di quel periodo. Pensiamo, per esempio, a Warrior (del 1982, venduto per 41,7 milioni di dollari da Christie’s Hong Kong), In any case (del 1983, venduto per 93,1 milioni da Christie’s New York), Versus Medici (del 1982, venduto per 50,8 milioni da Sotheby’s New York) e Untitled (del 1982, venduto per 85 milioni da Phillips New York).
Ecco che Christie’s – a New York, nella 21st Century Evening Sale di lunedì 15 maggio – ci riprova e porta in asta El Gran Espectaculo (The Nile), noto anche come Untitled (History of the Black People) e realizzato, appunto, nel 1983.
La stima, vertiginosa, è di 45 milioni di dollari. Difficile però possa scalfire il record registrato nel 2017 con Untitled (del 1982, venduto per 110,4 milioni da Sotheby’s New York).

Si tratta di un imponente trittico che presenta tutti i caratteri tipici di Basquiat. I graffi, i segni, le maschere, le scritte, le figure biomorfe, quelle stilizzate, i colori contrastanti, lo stile sciolto e spigoloso. Anche a livello contenutistico i temi sono quelli prediletti, con la questione razziale e della diaspora africana come interesse principe. Ma si trovano anche riferimenti alla cultura americana, a quella spagnola, intessuti in un vortice consapevole in un mosaico caotico, razionale ed estremamente efficace. Il suo stile pare rompere ogni confine, coinvolgere arte, cultura pop e cultura di strada in una soluzione estetica che unisce mondi distanti se non opposti.
Precedentemente di proprietà del gallerista Enrico Navarra, autore del prezioso catalogo ragionato sull’artista, El Gran Espectaculo appartiene da oltre 15 anni al noto stilista Valentino Garavani. Nel frattempo è stata esposto in numerose mostre, inclusa la prima retrospettiva di Basquiat tenutasi in un museo, nello specifico il Whitney Museum nel 1992. Dieci anni dopo il suo annus mirabilis lui era già scomparso, ma il suo mito iniziava ad ascendere. Su tali sfere ultraterrene sta salendo a gran balzi anche Yayoi Kusama, artista di culto, incantatrice di specchi e di zucche, due dei soggetti più indagati e utilizzati e dall’artista giapponese ora 94enne.

Christie’s, in asta, propone proprio una Pumpkin, psichedelica, ricca di dettagli e significati. Lo sfondo scuro e minimale si increspa in reticolato che avvolge e si connette alla zucca, la quale risiede e rispecchia una struttura semplice eppure complessa, come quella dell’uomo, come quella dell’uomo vitruviano che poggia nel centro dell’universo.

È proprio questo elastico tra terreno e cosmico, tra vicino e lontano, tra intimo e incomprensibile che rende l’intuizione di Kusama così immediata ma allo stesso tempo profonda e ricca di implicazioni. Tra queste c’è l’elevato prezzo in asta, con una stima di 4-6 milioni di dollari. Poco più alta, 5-7 milioni, quella di Untitled (The Beautiful and Damned) di Cecily Brown. Un’opera di grandi dimensioni, lunga oltre 4 metri, che accoglie l’esuberanza coloristica della pittrice londinese e le mille suggestioni artistiche di cui si compone la sua arte. Come ben racconta la mostra personale che il Metropolitan le dedica fino al 3 dicembre, ogni opera dell’artista nasconde infiniti rimandi e citazioni ad altri capolavori della storia. Si tratta spesso di scene tumultuose, ricche di personaggi indefiniti, che il titolo chiarisce ma non del tutto. Che poi, sarebbe davvero utile?
Di certo i riferimenti che la Brown cela nei suoi dipinti sono molteplici. Nel caso dell’opera all’incanto troviamo: la palette e le linee compositive di The Joy of Life (Bonheur de Vivre) di Matisse; la vorticosità di Mural di Jackson Pollock; un gruppo di figure in piedi che ricordano Les Demoiselles d’Avignon di Picasso; un romanzo di Fitzgerald, The Beautiful and Damned; l’organizzazione dello spazio di Young Spartans Exercising di Edgar Degas. Un capolavoro che coniuga differenti livelli di lettura, concettuali ed estetici. Vedremo se i buyer saranno dello stesso avviso e faranno schizzare i bid oltre 6,8 milioni di dollari, l’attuale record d’asta. Cifra che a breve sarà polverizzata.