Perché entriamo in un museo? Per accrescere il nostro livello culturale, certo, ma anche per svago e divertimento. Secondo la definizione dell’ICOM, International Council of Museum, il museo espone le opere “per scopi di studio, educazione e diletto”. Educare, perché il senso di un museo sta anche nella sua mission civica, nel contribuire, in definitiva, al miglioramento della qualità della vita della collettività.
Ma quanto è vero tutto questo quando ci troviamo di fronte, invece, a un’esposizione effimera, non permanente come quella di un museo? Il riferimento è alle mostre, troppo spesso operazioni per batter cassa e strizzare l’occhio a palati facili. Ecco, è in tutt’altra direzione che va, invece, l’antologica dedicata a Venezia a Ettore de Conciliis, artista “eclettico”, come lui stesso si definisce, che spazia dalla pittura alla scultura, dai murales alla land art.
Non solo “diletto” per gli occhi, le sue opere sono un momento in cui un’arte socialmente impegnata prova anche ad accrescere la consapevolezza civica dei visitatori. Se a ciò si aggiunge la rara consonanza spirituale con l’impegno che va da anni nella stessa direzione da parte di chi scrive, attraverso inchieste giornalistiche, conferenze e dibattiti pubblici, e che anche per questo è stata chiamata a co-curare (insieme a Victoria Noel-Johnson) la mostra, allora possiamo forse dire che si è “sperimentato” qualcosa di davvero inedito nella Laguna. E per questo fine educativo significativa è stata la presenza proprio del Ministro dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, all’inaugurazione, il 20 settembre scorso, di “Ettore de Conciliis Acque e terre, dipinti e land-art”.

L’antologica espone una ventina di opere alla Venice International University sull’Isola di San Servolo, di fronte a Piazza San Marco, e a Ca’ Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna. È stata prodotta e organizzata da Il Cigno GG Edizioni, di Lorenzo Zichichi (figlio del celebre fisico Antonino), casa editrice e insieme leader nella realizzazione di mostre ed eventi legati all’arte contemporanea in diverse città del mondo, e dalla Venice International University, in collaborazione con la Fondazione Musei Civici di Venezia, il supporto di San Servolo Servizi Metropolitani di Venezia e Villaggio Globale Imternational.

In tutte le opere di Ettore de Conciliis, siano i paesaggi esposti in mostra, in cui l’elemento dominante è l’acqua, quella di un fiume o quella di un mare, tutt’altro che pacificate immagini di un idillio della natura; siano i murales degli anni ’60 e ’70 o le opere di land art, come il Memoriale di Portella della Ginestra, prima strage della neonata Repubblica, di cui in mostra ci sono otto fotografie di Luigi Nifosì, in tutte non è mai venuto meno l’impegno civico del Maestro. Dichiarato nei murales della fase giovanile, prosegue ancora oggi in una militanza pacata e non esibita, in qualche modo corrispondente al tempo che viviamo, oltre che all’indole dell’artista.
Il visitatore deve soffermarsi per capire. Sarà come una rivelazione. Davanti ha il Tevere. Nelle pennellate di de Conciliis il fiume diventa ciò che non può essere: immobile, come in Il chiarore dell’acqua (2012). Immobile pure il ramo che affiora in Perenni transiti III (2015). Questa apparente immobilità è contraddetta, però, dal titolo: è l’eracliteo “panta rei”, l’esistenza che scorre velocemente, inafferrabile. Di contro, il grande inganno salvifico dell’arte, quello di fermare il tempo, fissando l’attimo della più caduca tra le cose, un’emozione. A quest’inganno il pittore ha contrapposto la verità dell’infinita impotenza dell’uomo al cospetto del creato. L’indifferenza della natura è resa nelle opere attraverso la sua immobilità; l’impotenza umana con l’assenza di individui nei paesaggi. L’esistenza dell’uomo è evocata, infatti, indirettamente sulla tela. Quando non è la barca vuota, ora sono i fari di una macchina in un notturno campestre; ora è la fantasmagoria di luci artificiali alla base del Monte Pellegrino a Palermo, la cui sagoma scura si stacca dalle infinite sfumature di un cielo serotino; ora è la luce che promana da una porta aperta al piano terra di una casa isolata in aperta campagna, in Ed è subito sera, omaggio a Salvatore Quasimodo (2020), “parafrasi” con mezzi pittorici della poesia ermetica di Salvatore Quasimodo.
Allora quel corso inesorabile della vita che l’artista aveva provato a “forzare” con i murales socialmente impegnati tra gli anni ’60 e ’70 – a cominciare dal pre-sessantottino, il Murale della pace (1965) ad Avellino, o quello del 1968 a Trappeto (Palermo) nel Centro di Danilo Dolci; o ancora quello del 1974 a Cerignola (Foggia) per il sindacalista Giuseppe di Vittorio – non resta che osservarlo indirettamente. Ora riflesso in uno specchio d’acqua, dove le sue forme si animano, si moltiplicano e si scompongono alla più impercettibile delle pigre increspature ondose o delle variazioni di luce, come in Flussi dell’acqua (2021), e i colori della vegetazione si impastano con quello delle acque, come in Il fiume, la sera (2016). Ora inghiottito dalla notte (Notturno, per Caspar Friedrich, 2021) o dalla nebbia (Thank you fog II, per W. H. Auden, 2019). Il risultato non cambia, è sempre quello di una conoscenza della realtà in modo indiretto. L’indeterminatezza delle cose impegna la vista, ma anche la memoria e l’immaginazione. Guardare il mondo in dissolvenza di de Conciliis è come udire un suono attutito.
Proprio l’opera appositamente realizzata per la mostra è un paesaggio notturno, tributo del pittore a Venezia, ma anche a una delle due sedi che ospitano la sua retrospettiva, il Venice inter-national University, eletto a punto di osservazione della riva opposta.
Oltre agli olii e pastelli, le otto fotografie in mostra consentono al visitatore di immaginare di camminare in mezzo a una Stonehenge del XX secolo: il Memoriale di Portella della Ginestra, opera di Land Art, realizzata tra il 1979 e il 1980 nel territorio di Piana degli Albanesi (Palermo), dove si consumò la strage, operata l’1 maggio 1947 dal bandito Salvatore giuliano, dei braccianti, che manifestavano pacificamente contro il latifondo e per la conquista delle terre incolte. Qui bastano pochi gesti all’artista, come se con un gesso avesse segnato a terra la scena del crimine: la traiettoria degli spari indicata da un lungo muro e le sagome dei caduti con dei blocchi di pietra.

Lo stesso impegno sociale lo ritroviamo ne’ Le Pale del Mediterraneo. Omaggio a Piero Guccione (2018- 2020), nella basilica di Santa Maria degli angeli e dei Martiri di Roma, e delle quali in mostra è esposto lo studio preparatorio: è la messa in scena di una natura indifferente alla tragedia degli immigrati morti in mare. Il grande assente delle sue opere, l’uomo, perseguitato, emarginato, vittima delle ingiustizie sociali e del martirio nel Mediterraneo, impotente di fronte alla Natura, è sempre il protagonista urgente al centro dell’arte di Ettore de Conciliis.