Sono diversi anni che periodicamente vado avanti e indietro in treno fra New York e Long Island. E sono dunque diversi anni che il mio tragitto inizia o finisce nei cupi meandri di Penn Station, una delle più deprimenti stazioni ferroviarie che uno si possa immaginare. Nota per la sua arretratezza e mancanza di praticità, Penn Station è l’esatto contrario di Grand Central Station. Quest’ultima è spaziosa, opulenta, grandiosa e ricca di storia. Quell’altra è un labirinto di grigiore con soffitti bassi, inquietanti corridoi e manca di qualsiasi elemento decorativo. A Grand Central vanno i turisti a fotografare lo splendido soffitto stellato. A Penn Station vanno i vagabondi a cercare riparo dal freddo e dalla pioggia.

Ma dal 1 gennaio c’è vita nuova a Penn Station. È stato inaugurato il Moynihan Train Hall, un nuovo terminal che, ci scommetto, diventerà una destinazione turistica che va a braccetto con Grand Central. Molto è già stato scritto su questo progetto lanciato trent’anni fa e costato 1,6 miliardi di dollari. Diverse sono le angolature dalle quali si può raccontare la Moynihan Train Station. C’è prima di tutto l’aspetto architettonico, con la trasformazione in stazione dei treni del palazzo che più di un secolo aveva ospitato l’ufficio postale centrale di New York. C’è l’aspetto politico, con le battaglie che sono state combattute nel giro di tre decenni durante i quali la chimera del senatore Daniel Moynihan è stata trasformata in realtà. C’è anche l’aspetto storico, con la vecchia, gloriosa Penn Station che fu rasa al suolo negli anni ’60 per far spazio al leggendario (e brutto) Madison Square Garden. Ma io scelgo invece un’angolatura più pratica. Vi racconto di questa novità newyorkese dal punto di vista di un passeggero che arriva in treno.

In un giorno qualunque di metà gennaio prendo il treno da Long Island diretto a Manhattan. Salgo alla solita stazione e la prima sorpresa viene prima ancora di mettere piede sul vagone. Tutti i biglietti sono a tariffa ridotta indipendentemente dall’orario del treno o il giorno della settimana. È una misura introdotta dalla direzione della Long Island Railroad per incoraggiare il pubblico a viaggiare. A giudicare da quante persone ci sono nel mio vagone ci vuole ben altro per incoraggiare i viaggiatori. Conto un totale di otto persone. Immagino che negli altri vagoni sia più o meno lo stesso. Un disastro per una linea ferroviaria che solitamente viaggia piena zeppa. Ma con un numero straordinario di ex pendolari che ora lavora in smart working, chi prende più il treno per andare in ufficio a New York?

Quasi tre ore dopo arriviamo a Penn Station. Binario 21. Salgo le scale come al solito senza sapere bene dove sbucherò. Devo aspettarmi il grigiore del vecchio terminal oppure l’abbaglio di luce naturale del nuovo terminal? Delusione. Sono nel vecchiume di sempre. In tempi di Covid i corridoi sono un po’ più puliti del solito ma la sostanza rimane la stessa.

Una rapida occhiata a destra, una a sinistra, e dopo un attimo di smarrimento intuisco la direzione da prendere per andare alla Moynihan Train Hall. Per chi se ne intende di New York i cartelli che indicano la Settima Avenue portano verso la vecchia deprimente Penn Station, i cartelli che indicano l’Ottava Avenue puntano verso lo splendore contemporaneo del nuovo terminal. Percorro un anonimo corridoio con robaccia per terra. Passo accanto a un mendicante che mangia da un contenitore di plastica e proseguo dritto tenendo gli occhi bassi sul pavimento di graniglia scura. Non c’è alcun segnale che indichi “Attenzione, state per lasciarvi alle spalle lo squallore e siete in procinto di arrivare in un spettacolo di architettura contemporanea. Niente. Senza preavviso tutto cambia da un istante all’altro. Il pavimento diventa chiaro, quasi bianco, impeccabilmente pulito. L’altezza dei soffitti è tre volte quella della vecchia stazione. I pannelli con informazioni ferroviarie sono grandi, luminosi e a portata d’occhio. Ma questo primo impatto avviene in uno spazio che mi verrebbe da chiamare pre-stazione. È il vasto salone principale quello che sto cercando, non questa parte ristrutturato nello stesso stile, ma di proporzioni assai più contenute.

Prendo una scala mobile su per una breva rampa di scale e arrivo nel punto magico di cui tutti parlano. È il enorme nuovo terminal pieno di luce naturale che viene da un lucernario che fa da tetto a tutta la stazione. È metà pomeriggio e il sole invernale colpisce di sbieco gli edifici che si vedono a breve distanza. Una luce calda, quasi arancione, rimbalza all’interno del terminal. Ma dal sole calante all’imbrunire ci vuole poco. Mentre il cielo si oscura il contorno del lucernario si illumina di lucette color neon viola che lentamente sfumano sul rosa carico prima di trasformarsi in azzurro cobalto per poi tornare al viola. L’effetto è magico.

Cerco di orientarmi per capire se la prossima volta che prendo il treno posso partire o arrivare in questa affascinante nuova parte della stazione. La risposta è positiva: per i binari che mi riguardano devo però tenere come punto di riferimento la pre-stazione mezzo piano sotto al terminal principale. Il motivo è semplice: quel mezzo piano sotto serve i treni della Long Island Railroad; il mega salone principale invece serve i treni della Amtrak. Nome probabilmente sconosciuto alla maggior parte degli italiani, ma per intenderci sono i treni tipo Freccia Rossa o Freccia Bianca che fanno servizio su Washington in una direzione e su Boston nell’altra. Per questi passeggeri è stata creata un’apposita lounge al piano ammezzato. Anche se non sono un passeggero Amtrak sono curioso di vederla.

Prendo una scala mobile e salgo di piano. Vengo accolto da due capi-sala che mi proibiscono di andare oltre senza biglietto. Non ho scelta. Devo abbandonare il mio ruolo di passeggero curioso e assumere l’identità di giornalista. Chiamano il loro capo che dopo avere scrutato il mio pass giornalistico mi permette di visitare la lounge. Bellissima. Sembra di essere in una saletta di prima classe all’aeroporto. Modernissime poltrone in cui viene voglia di sprofondare. Zone lavoro dove si può comodamente caricare il computer e allacciarsi al WiFi. Una lunghissima zona bar che il giorno della mia visita non è ancora allestita per il servizio. Attraverso porte in vetro tutta altezza si accede a una terrazza dalla quale si ha una vista panoramica dell’interno terminal della stazione.

Mentre guardo in tutte le direzioni la mente mi torna indietro di qualche anno. Saranno stati circa sette o otto anni fa. Ero stato invitato a visitare il cosiddetto James A. Farley Building, l’edificio del vecchio ufficio postale centrale. Ero stato scortato in una parte dell’edificio chiusa da anni al pubblico. Era quella parte che nella visione del Senatore Moynihan sarebbe diventata la nuova Penn Station.

Buia, fatiscente, senza lucernario, ma soprattutto adibita ai suoi tempi a tutt’altro uso. Era qui dove centinaia di dipendenti delle poste smistavano buste e pacchi. Mi era stato impossibile quel giorno avere l’immaginazione di pensare a come quell’enorme spazio di lavoro avrebbe potuto diventare una bellissima e funzionale stazione ferroviaria. Ma c’è di più: con scetticismo avevo pensato che questo progetto sarebbe rimasto sulla carta. E invece la Moynihan Train Hall esiste eccome. E quando prendo il treno di ritorno per Long Island mi so orientare meglio che non all’arrivo. Riparto evitando del tutto il grigiore della vecchia Penn Station, godendomi invece una entusiasmante, nuova bellezza newyorkese.
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