Nel Labirinto della Masone c’è un lungo percorso da fare per arrivare alla fine. È intricato, complesso, difficile da seguire, ma al tempo stesso affascinante. Tra le fitte canne di bambù che si intrecciano l’un l’altra, opere d’arte e allestimenti si alternano nei punti di ritrovo. Una metafora perfetta della vita di Franco Maria Ricci, che si è spento oggi, a 82 anni, nella sua casa di Fontanellato (Parma).
Grafico, editore, designer e collezionista. Un’esistenza condotta all’insegna dell’arte e nella ricerca spasmodica della bellezza.

È del 1982 la prima grande impronta lasciata nel mondo della cultura. Una rivista con le sue iniziali, FMR, che si legge Ephemère, “effimero”. Tra le pagine di quel gioco di parole, per decenni scorrono le immagini delle più importanti opere artistiche e architettoniche della storia. Un dandy elegantissimo, simile nello stile a quel “Beau” Brummel che nel XIX secolo fu l’icona dello stile europeo. Brummel aveva un mantra: “Per essere eleganti – diceva – non bisogna farsi notare, bisogna proscrivere i profumi, bandire i colori violenti e ricercare le armonie neutre o fredde. Valorizzare l’accessorio, perché da esso dipende l’armonia generale dell’abito”. E per Franco Maria Ricci, l’accessorio era l’immancabile rosa di plastica rossa all’occhiello, divenuta, nel tempo, simbolo della sua presenza scenica. “L’idea di indossarla venne dopo un regalo di Ottavio Missoni – raccontò Ricci – un pullover. Gli dissi che non ne indossavo. Sulla scatola c’era un fiocco con una rosa rossa di resina. Prenderò questa come dono, aggiunsi”.
Amico, tra i tanti, di Bernardo Bertolucci, Ulrico Hoepli, Inge Feltrinelli, Vittorio Sgarbi, Maria Kodama, Italo Calvino e soprattuto Jorge Luis Borges, con cui instaurò un sodalizio artistico che portò alla realizzazione di una collana di ben 45 volumi diretti dallo scrittore argentino: La Biblioteca di Babele. Innamorato della sua città, Parma, la Petit Capital dall’atmosfera confortante e un po’ snob, molto francofila. “Vi convivono armoniosamente e fianco a fianco lo spirito imprenditoriale e la tradizione agricola, l’eleganza e il Pop, Giuseppe Verdi, la cucina, il rispetto e la passione per le Arti e le Lettere, ma anche una tradizione popolare viva e appassionata”.

Nel 2015, l’ultima creazione di una vita ricca di colpi di scena. Il labirinto di bambù più grande al mondo, costruito proprio al fianco della sua casa di Fontanellato. Sette ettari di terreno realizzato con piante di specie diverse, oltre 5.000 metri quadri che ospitano la collezione d’arte di Ricci, composta da circa 500 opere datate tra il Cinquecento e il Novecento. Una biblioteca dedicata ai più illustri esempi di tipografia e grafica, tra le quali spiccano le opere di Giambattista Bodoni, su cui Ricci ha curato un volume monografico, e l’intera produzione di Alberto Tallone.
Al centro, poi, una piazza contornata dai portici che ospita concerti, feste, esposizioni e altre manifestazioni culturali. Proprio lì, affacciata sulla piazza, sorge una cappella a forma di piramide, che ricorda il labirinto come simbolo di fede.
“Il labirinto – spiegava – è un percorso dell’anima, un perdersi per ritrovarsi. Oggi l’idea di smarrirci genera timore e angoscia. Il percorso all’interno del mio labirinto dovrebbe invece servire a ritrovare la serenità, il silenzio, se stessi”.
Ottantadue anni vissuti “in pursuit of greatness”. Di certo, il mondo dell’arte, difficilmente si scorderà di lui.