Si chiamava Turi e faceva il mediatore di case e terreni a Pantelleria.
Lo chiamavano “Occhi di Soraya” perché aveva gli occhi color del cielo e, a Pantelleria, tutti si conoscono per i soprannomi che vengono loro affibbiati.
Ci incontrammo per caso, una mattina di febbraio del 1965, mentre prendevamo un caffè in piedi dietro al bancone del Tikirriki, l’unico bar esistente in quegli anni sul litorale del porto.
“Sei turista?”- mi chiese per attaccare discorso.
“ Magari”- risposi – “sono qui per lavoro”.
“ Che lavoro?”- Insistette.
“Sono architetto”, – aggiunsi -“ma devo fotografare l’isola per una mostra che si chiama l’Italia da Salvare’!”.
“Ma qui non c’è’ niente da salvare” – disse Turi, e con un gesto della mano indicò lo squallido panorama del centro portuale malamente ricostruito dopo le distruzione della Seconda Guerra Mondiale.
“Si”, – dissi, “ma l’isola è ricca di splendide architetture vernacolari in pietra, e il suo paesaggio strutturato in terrazze è stupendo, per cui c’è molto da fotografare”.
“Aahh,” – commento’ Turi,- “allora posso farti vedere i più antichi dammusi dell’ isola“.
Così diventammo amici, e passammo insieme quattro giorni a scorrazzare per Pantelleria a caccia di foto.
L’ultimo giorno, Turi mi chiese se amavo la zuppa di pesce.
“La adoro”, – risposi.
Fu così che mi invitò a cena in un magazzino di Cala Tramontana e, per trovarlo, dovetti seguire il mio naso, inebriato dal profumo di pesce che sembrava aleggiare sopra l’intera baia.
Una volta entrato in questo laboratorio di aromi trovai Turi che trafficava con una grande pentola fumante su una stufa a legna.
Scoprii che questo magazzino era la sua tana, e che il nostro era anche un ottimo chef.
Ma Turi non era solo. Quella sera, forse per farmi piacere, aveva invitato due giovani signore, una bionda con gli occhi verdi, un volto rotondo e un’aria dolcissima, e un’altra che risultava la sua opposta, con occhi e capelli corvini, e un’aria risoluta da dominatrice. Erano entrambe giovani e attraenti, con una parvenza esotica che le rendeva ancora più interessanti.
“Siete turiste?”- azzardai con scarsa originalità, per attaccare discorso
“No, siamo residenti” – rispose la bruna,
“Aspiranti residenti” corresse la bionda.
Scoprii che la bionda era nata a Barcelona (Spagna) mentre la bruna era originaria di Malta, ma che, entrambe vivevano da anni in Italia.
“Aspiranti?”- commentai, “che significa?”
“ Grazie a Turi” aggiunse la bionda,- “abbiamo comprato due dammusi e vogliamo trasferirci a Pantelleria”.
Era un buon omen e, mentre Turi cucinava, mi feci descrivere nei più minuti dettagli le loro proprietà. Poi, dato il mio mestiere, discutemmo di come restaurare queste costruzioni rustiche per farne delle case di vacanza senza compromettere la loro autenticità.
Gli “Occhi di Soraya” erano incastonati in un volto da pirata. Osservandolo nella scarsa luce del magazzino avvolto dai vapori della zuppa di pesce, mi veniva in mente un personaggio di Salgari. Ma Turi era anche un consumato imbonitore e quella sera ci deliziò con molte storie sull’isola. Una, in particolare, merita di essere raccontata.
“Questa è la casa dell’Elefante” – iniziò – “e l’Elefante in questione era quello di Annibale, quando iniziò la sua campagna contro Roma che voleva saccheggiare Cartagine”.
“ Ma cosa dici?”- obbiettai – “l’esercito di Annibale arrivò in Europa via Gibilterra e, prima di attaccare i Romani nella Guerra Punica, attraversò Spagna e Francia”.
“E’ vero”- continuò Turi “ma prima di sperimentare la via delle Alpi, Annibale provò quella del mare, che era molto più corta”.
“Era l’anno 216 prima di Cristo – continuò Turi con aria professorale- “e, in quegli anni, sia Pantelleria che la Sicilia erano territori dove i Fenici facevano da padroni”.
“Roma voleva espandere il proprio territorio verso il Mediterraneo per incrementare il suo commercio marittimo, ed era quindi inevitabile che, prima o poi, dovesse scontrarsi con Cartagine”.
“La conclusione fu che le legioni di Roma occuparono la Calabria fino ad impossessarsi di Reggio, ma al di là dello stretto c’era la Sicilia, in parte occupata dai greci e in parte dai Fenici”.
“Il gran capo delle forze fenicie era Annibale che oltre ad essere un grande combattente era anche un grande stratega. Annibale capì che non poteva lasciare ai Romani l’iniziativa e che, per difendere Cartagine, doveva attaccare Roma sul loro continente”.
Turi era visibilmente eccitato e parlava molto velocemente:
“Presa questa decisione, Annibale doveva scegliere la rotta da seguire per colpire Roma, e la sua prima opzione fu quella via mare, che appariva più breve, e che beneficiava del supporto delle popolazioni locali. Ma essendo un militare saggio, prima di lanciare le sue truppe allo sbaraglio, decise di andare in esplorazione. E la sua prima tappa fu Pantelleria, che distava solo 40 miglia da Cartagine”.
Ormai Turi era lanciato, e non mi sembrò opportuno interromperlo.
“Si dice che Annibale sbarcò a Cala Tramontana e si insediò proprio qui, sulla sella tra le due baie, così da poter spostare rapidamente le sue navi da una baia all’altra in caso di tempesta”.
“Ma perché non sbarcò in Paese dove i Fenici avevano già costruito il porto?” – chiesi.
“Perché in paese non avrebbe potuto sistemare il suo elefante”, – rispose. “Gli serviva non solo una facile baia di attracco, ma anche un terreno libero per poter organizzare il suo quartier generale”.
“Per cui fu proprio qui che sistemò il suo elefante, rifornendolo di una montagna di fieno e scavandogli una cisterna per l’acqua!”
“Ma da dove viene questa storia?”- gli chiesi, non riuscendo più a trattenermi.
“ Da Polybius”- rispose prontamente Turi, – “lo storico greco che ci ha raccontato le guerre puniche tra Roma e Cartagine!”. E lo disse con tanta convinzione che nessuno, tra noi, osò ribattere.
“E poi,” – continuò Turi, -“questa storia è stata confermata da mio nonno!”
“E come faceva tuo nonno a saperlo? non credo avesse letto Polybius” – sbottai.
“L’aveva appreso da suo nonno”- rispose Turi.
La zuppa di pesce era gustosa e si sposava deliziosamente con il vino bianco locale, Turi era un grande raconteur, e gli invitati erano talmente inebriati dall’atmosfera, dai sapori e dalla leggenda che nessuno osò mettere in dubbio la parola degli antenati di Turi.
Quella notte feci un sogno epico.
Sognai che Annibale era sbarcato sull’isola in avanscoperta, con un piccolo drappello fenicio e un Elefante, e che si erano sistemati nel magazzino di Turi a Cala Tramontana.
L’ isola, a quei tempi, era infestata di spie dei Romani, e l’arrivo di Annibale con l’elefante aveva messo tutti in agitazione.
I Romani di allora avevano un ottimo rapporto con Zeus, che loro chiamavano amichevolmente Jupiter, per cui gli chiesero di aiutarli a neutralizzare Annibale.
Zeus era non solo il Dio del Fuoco, ma anche un protettore di Pantelleria dove manteneva attivi ben 52 vulcani.
Zeus non si fece pregare e decise di colpire Annibale “al tallone”, prendendo di mira il suo elefante che, in quel momento, stava passeggiando tranquillamente lungo Cala Levante, del tutto ignaro di quanto gli Dei stessero tramando contro di lui.
Zeus agi’ d’impulso e scagliò un dardo luminoso che fulminò all’istante l’Elefante di Annibale, trasformandolo in un ammasso di lava fumante.
Fu così che il nostro Elefante precipitò in mare in un punto non troppo profondo della baia, per cui l’acqua non riuscì a sommergerlo, e ne rimase fuori la testa con la proboscide, come si può constatare ancora oggi.
Mi svegliai sconvolto per la cattiveria di Zeus. Quel giorno avrei dovuto lasciare Pantelleria, ma la conoscenza delle mie nuove amiche esotiche era un incentivo a restare più a lungo sull’isola. Decisi che avevo bisogno di consultarmi con loro, e le incontrai nella tarda mattinata in un piccolo ristorante in riva al mare sotto, il borgo di Scauri.
Raccontai loro il mio sogno e mi sembrarono turbate.
“Questo è un sogno propiziatore” esclamò la bionda spagnola, “mi sembra voglia suggerirti qualcosa”.
“E’ chiarissimo” – aggiunse la bruna, “ vuole dirti che hai una missione da compiere e, secondo me, questa missione è mantenere viva la leggenda dell’Elefante”.
Fu così che decisi di acquistare il Magazzino di Turi e farlo rivivere come la “Casa dell’Elefante”.
Sono passati più di 50 anni da allora e, in questo intervallo, non ho mai smesso di restaurare, ricostruire e riparare la casa dell’Elefante di Annibale. Nel frattempo, il racconto di Turi e il sogno di quella notte è stato alterato dalla fantasia e dalla tradizione, in un delirio di esaltazione ed esemplarità.