«In ogni secolo, filosofi e artisti hanno fornito definizioni del bello; grazie alle loro testimonianze è così possibile ricostruire una storia delle idee estetiche attraverso i tempi. Diversamente è accaduto col brutto. Il più delle volte si è definito il brutto in opposizione al bello ma a esso non sono state quasi mai dedicate trattazioni distese, bensì accenni parentetici e marginali»
(Umberto Eco, incipit di Storia della bruttezza, Bompiani, 2007)
Oggi tappa obbligata a Londra è la visita al museo delle cere di Madame Tussauds. L’eccezionalità sta nel fatto che vi sono ricostruiti in cera in immagine realistica i personaggi di attualità e notorietà conclamata. È una macabra galleria di realismo sepolcrale in cui i protagonisti rivivono nella loro posa e gestualità. L’importanza e la forza odierna del Museo che quasi detiene in monopolio la ceroplastica è spiegata dalla proprietà, l’azienda inglese Merlin Entertainments che gestisce anche Gardaland e Legoland, e che estende in forma tentacolare una rete di Musei in tutto il mondo dalle sedi di Amsterdam, Vienna e Berlino, da Istanbul fino ad Hong Kong , a Shangai e Sidney, senza contare la serie della decina di sezioni sparse nelle città più importanti degli Usa, per dire anche Las Vegas e Los Angeles. Madame, l’alsaziana Marie Grosholtz, visse a Parigi, lavorando la cera e insegnando l’arte alla sorella di Luigi XVI, il predestinato nel 21 gennaio 1793 alla ghigliottina, il primo moderno strumento di morte, superato in scientificità dalla sedia elettrica e dalle iniezioni letali. I rivoluzionari le imposero di ricavare le maschere mortuarie dalle teste decapitate delle vittime della ghigliottina. Scansò più gravi rischi in seguito al matrimonio con l’ingegnere civile, François Tussaud, che nel 1802 la portò a Londra, dove morì a 89 anni nel 1850.
La sua storia ci interessa per altro motivo, per un vero grandissimo artista geniale, nato a Siracusa nel 1656, l’anno della terribile della peste di Napoli e dintorni con un 60% circa di decessi (200 mila su 450 mila). Egli girò per l’Italia e approdò infine a Parigi, ove morì il 22 dicembre 1701 e fu sepolto nella storica chiesa di Saint Sulpice, la cui tomba fu distrutta durante la rivoluzione francese. Gaetano, nato Zummo dal nome della madre, proprio a Parigi mutò il suo cognome in Zumbo, ove giunse il 25 maggio, proprio in quel 1701 per lui fatale. Vi era stato invitato dalla Académie Royale des Sciences per mostrare una sua testa anatomica. Il re Sole, Luigi XIV gli concesse il monopolio delle preparazioni anatomiche e il permesso di svolgere pubbliche lezioni di anatomia. Sei mesi circa di glorie e poi la morte improvvisa forse per tubercolosi, forse per un ascesso epatico. Come si capisce da questi primi dati fu a livello diverso dell’alsaziana che tanta gloria ha nel mondo, merito del nipote, Joseph Randall Tussaud, che curò nel 1884 la sistemazione della collezione nel luogo attuale vicino a Baker Street.
Zumbo, come il sacerdote Parini, abate per necessità, per ottenere la prebenda ecclesiastica, dell’ordine dei Gesuiti, come papa Francesco, dopo i primi studi a Napoli frequentò la più antica scuola di anatomia a Bologna, l’Alma Mater Studiorum, la più antica Università del mondo occidentale. Nell’antico Archiginnasio è ancora visibile il teatro anatomico, progettato nel 1637, il più antico d’Europa. Dal 1691 al 1695 fu al servizio del granduca Cosimo III de’ Medici, ove realizzò alcune delle sue opere più strabilianti sui vari stadi della morte e della decomposizione dei cadaveri umani: per il granduca Corruzione II (o Il Sepolcro, o Vanità della grandezza umana) e le Conseguenze della Sifilide (Morbo Gallico), per il figlio Ferdinando, Corruzione I (o Trionfo del tempo) e La pestilenza, opere conservate al Museo della Specola di Firenze, una delle sezioni del Museo di Storia Naturale, il più antico museo scientifico d’Europa, istituito nel 1775, cosiddetto dall’osservatorio che il Granduca Pietro Leopoldo vi fece costruire sul tetto. L’ultimo lavoro a palazzo Corsini andò distrutto dall’alluvione del 1966. A Firenze resta anche la testa scorticata di impressionante realismo. Poi improvvisamente nel 1695 abbandonò il granduca e si trasferì a Genova ove lavorò per quattro anni ad una Natività e una Deposizione dalla Croce, perdute, ma soprattutto si occupò di preparati anatomici assieme al chirurgo francese Guillaume Desnoues, che dopo la lite li vantò per suoi. Nel 1700 è a Marsiglia. ove l’Intendente Generale delle Gallerie di Francia gli mise a disposizione un chirurgo per preparare le dissezioni di teste a suo uso. Fu il trampolino di lancio per Parigi. Sarebbe lungo elencare i capolavori e illustrare la tecnica e i risultati artistici della sua ceroplastica.

A noi interessava rivelare al mondo la grandezza di un artista ai più ignoto, di finalità e spessore diversi da quelli della Madame, rivolti alla museificazione del personaggio celebre e a fini di spettacolo. Le fortune nelle arti, dalla letteratura alla pittura, alla musica seguono vicende misteriose. In questa catastrofe globale sarebbe occasione eccezionale, perché le gallerie di New York facessero conoscere la genialità e la forza rappresentativa di questo artista, rimasto relegato in un museo di storia naturale. Una sua mostra potrebbe descrivere meglio di qualsiasi altra iconografia lo splendore e la tragicità della vita. La sua scienza nasceva dal bisogno di approfondire le ricerche e le diverse conoscenze, soprattutto sull’anatomia umana, superando i limiti intrinseci del piatto disegno, con architetture plastiche che la cera rendeva più semplici per la sua malleabilità e possibilità di cromatismo. Era la tecnica più facile anche per superare il metodo della dissezione anatomica dei cadaveri, offrendo una visione tridimensionale, uno sconvolgente diorama del corpo umano. Con questo rilancio alla ribalta americana per una sua rinascita vogliamo in questo piccolo spazio proporre solo due capolavori che ne rilevano la genialità in questo momento di smarrimento e di orrore, nella scoperta della fragilità umana nel secolo XXI: le cere della peste e del tempo.
Cosa si può dire di questo teatro dell’orrore ? Quel bambino che ancora allatta dal seno della madre morta, in mezzo ad un groviglio di cadaveri, illuminati e resi vivi e diversi da un eccezionale cromatismo che richiama i chiaroscuri dal barocco Caravaggio. Era la peste di Napoli rivisitata con altro spessore dagli affreschi di Mattia Preti, poi dal Luca Giordano della Intercessione di san Gennaro per la fine della peste di Napoli. O cosa dire della figura intera dello Spellato, evidenza rabbrividente di muscoli, vasi sanguigni e capillari realizzati con fili di seta?

Tra le tante memorie su questo genio della ceroplastica, a scopo didattico, forse meglio sa esprimere il raccapriccio davanti al suo più celebre bassorilievo parlante il Marchese de Sade, che osservò queste cere di Firenze durante il suo viaggio in Italia nel 1775 a trentacinque anni e ne diede il resoconto nel suo diario epistolare da viaggiatore o turista illuminato alla ricerca dell’arte.
«In uno di questi armadi vediamo una tomba piena di un’infinità di cadaveri, in ognuno dei quali si possono osservare le diverse gradazioni di dissoluzione, dal cadavere del giorno a quello che i vermi hanno completamente divorato. Questa bizzarra idea è opera di un siciliano di nome Zummo. Tutto è cerato e colorato naturalmente. L’impressione è così forte che i sensi sembrano avvertirsi a vicenda. Si porta naturalmente la mano al naso, senza accorgersene, considerando questo orribile dettaglio che è difficile da esaminare senza ricordarsi delle sinistre idee di distruzione. Vicino a questo gabinetto è uno nello stesso tipo, che rappresenta una sepoltura peste, dove le stesse gradazioni di dissoluzione sono praticamente osservate. Si nota soprattutto uno sfortunato, nudo, portando un cadavere che getta con gli altri e che, soffocato dall’odore e dallo spettacolo, cade all’indietro e muore. Questo gruppo è una verità spaventosa».