La mostra Recovered Treasures. The Art of Saving Art celebra i cinquant’anni dell’istituzione del Nucleo per la Protezione del patrimonio culturale dei Carabinieri ed è l’evento inaugurale dell’anno delle Nazioni Unite, di cui ricorrono i settantacinque anni della fondazione. In un angolo raccolto al pianterreno del Palazzo di Vetro, sullo sfondo di pannelli scarlatti, a un vaso attico a figure nere si affianca un bronzetto romano, cui seguono un piccolo olio dipinto su rame, il cui soggetto è Leda col cigno ed è attribuito al pittore manierista Lelio Orsi, e poi ancora una grande tela barocca, la Lamentazione di Adamo ed Eva su Abele morto, e una stele di marmo proveniente da Palmira in Siria. Un pubblico folto, animato, curioso sfila davanti a questi oggetti preziosi che sono tanto affascinanti quanto, a prima vista, eterogenei.
“Tutte queste opere hanno in comune una cosa,” dichiara con un sorriso Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, “sono state tutte rubate.” E che siano state trafugate nei tempi convulsi di una guerra – come la statuetta di bronzo, scomparsa dal Museo Nazionale Romano nel 1943 – o clandestinamente dissotterrate e altrettanto illecitamente esportate verso mercati lontani, tutte sono state prima o dopo ritrovate dal nucleo di tutela del patrimonio artistico, o TPC, dell’Arma dei Carabinieri.

La mostra è un momento celebrativo di un’attività invece molto meno appariscente, perseguita con pazienza e tenacia. Nelle sue parole al pubblico, il generale Roberto Riccardi, che del nucleo di tutela è l’attuale comandante, ricorda che prendersi cura del proprio, ricchissimo, patrimonio culturale, è una tradizione antica del nostro paese, e ricorda Raffaello, che Papa Leone X nominò ‘Commissario per le antichità’. Nell’Ottocento, un altro papa, Pio VII, incaricò Antonio Canova di riportare in patria le opere d’arte trasportate in Francia da Napoleone, una missione che oggi si chiamerebbe di diplomazia culturale. E al 1820 risale l’editto del cardinale Pacca, primo esempio di legge sulla protezione del patrimonio culturale.
Creato nel 1969, il Comando dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale rappresenta la continuità odierna di questa tradizione. “All’inizio eravamo in diciassette,” dice il generale Riccardi in una conversazione all’indomani dell’inaugurazione della mostra, “oggi siamo trecento, come gli Spartani alle Termopili,” aggiunge con un sorriso tra l’ironico e il compiaciuto. Perché a dispetto di questi numeri scaramanticamente infausti, i dati parlano a favore del TPC. Tra il 1999 e il 2011 i furti d’arte sono scesi da duemila a meno di mille, come riferiscono Laurie Rush e Luisa Benedettini Millington nel loro libro The Carabinieri Command for the Protection of Cultural Property (2015). Oggi sono quasi scomparsi i furti nei musei, afferma il generale Riccardi, e diminuiti quelli nelle chiese. E tra il 2004 e il 2011 gli scavi illeciti sono calati da 250 all’anno a 50; parallelamente, gli oggetti di scavo ricuperati sono saliti da 26.000 a 35.000.

La mostra all’ONU conferma questi successi, ma trasmette anche un altro messaggio. A osservare le date riportate nelle didascalie degli oggetti, il tempo intercorso tra il momento della sparizione e quello del ritrovamento è spesso molto lungo – 77 anni, per esempio, nel caso del bronzetto del Museo Nazionale Romano. Che di un’opera d’arte non si perda la memoria, anche se è scomparsa da tempo, non può che leggersi come un dato confortante per chi ama l’arte, ma è un vero cautionary tale, un ammonimento, per chi invece ne fa illecito commercio.
Dietro questa memoria elefantina, e questi instancabili occhi di Cerbero, sta un’organizzazione del Comando che ha sedi in tutti i capoluoghi di regione, un reparto operativo a Roma; e inoltre un’imponente banca dati, e una collaborazione stretta con esperti di diversi settori. In compagnia di archeologi, per esempio, i Carabinieri conducono ispezioni in elicottero sui siti archeologici, che in Italia sono circa 6000. “L’erba ha un colore diverso, vista dall’aria,” dice il generale Riccardi e si riferisce all’effetto prodotto dall’umidità che si crea all’interno di una tomba presente nel sottosuolo.
Di lì è inevitabile una menzione almeno del tombarolo, “figura di mezzo uomo e mezza talpa,” lo definisce Riccardi, “che proviene dall’edilizia o dall’agricoltura” e che la scoperta fortuita di un oggetto di scavo ha incuriosito, ingolosito e, in alcuni casi, condotto fino a farsi autodidatta in possesso di conoscenze di prim’ordine. “Nelle casse di oggetti trafugati abbiamo trovato trattati di archeologia in lingua tedesca,” racconta il generale che, da uomo d’arme, non può non riconoscere l’abilità di questo tipo di nemico. Nemico che è poi difficile da acchiappare, perché opera di notte, per poi consegnare il bottino a una filiera di personaggi e di luoghi degni di John Le Carré, equivoci mercanti d’arte londinesi, ambiziosi collezionisti privati, remoti magazzini e casseforti svizzere. Ciononostante, se quello del tombarolo è un mestiere che va scomparendo, come lamentava già qualche anno fa un suo noto esponente, Pietro Casasanta, il merito è della tenacia competente e instancabile del TPC.
Imparare a conoscere la natura degli ostacoli e del nemico da affrontare è il risultato della capacità di penetrazione e conoscenza del territorio che, insieme con la sua multidisciplinarietà, caratterizza da tempo l’Arma dei Carabinieri. E che oggi ne fa un modello di peacekeeping in paesi teatro di conflitti recenti. Esemplare, malgrado il tragico attentato che costò la vita a ventuno italiani, di cui dodici Carabinieri, e ferì oltre cento persone, rimane la missione di pace promossa dall’UNESCO a Nassiria, in Iraq, nel 2003. In aggiunta ai più tradizionali interventi di supporto nei settori della pubblica amministrazione, della salute, dell’agricoltura e dei servizi di polizia, in Iraq i Carabinieri, in collaborazione col Centro di ricerca archeologica e di scavo di Torino, fornirono efficace assistenza nei mesi successivi al saccheggio del museo di Bagdad, condussero sopralluoghi su decine di siti archeologici, inventariandone una sessantina, e ricuperarono centinaia di oggetti trafugati. Purtroppo, fu probabilmente proprio il successo della collaborazione e dell’affiatamento tra italiani e iracheni a fare del quartier generale della missione il bersaglio dei terroristi. L’attentato compromise la possibilità dell’apertura di corridoi umanitari, e del proseguimento di una collaborazione tra i due paesi. Quella che però sopravvive, e anzi è sostenuta con sempre maggiore energia da chi oggi opera nei teatri di guerra, è la convinzione che la tutela del patrimonio culturale di un popolo è, oltre che impegno morale, strumento di pace.