Nel 241 a.C., alla fine della prima guerra punica, la maggior parte della Sicilia diventò provincia romana. Mentre una parte dell’Isola era impegnata in un generale processo di ricostruzione in seguito alle terribili devastazioni causate dalla guerra, durante la quale molte città situate nella parte centrale e occidentale erano state saccheggiate o spopolate, solo il regno indipendente di Siracusa, sotto Gerone II, continuava a prosperare.
Durante il suo dominio, infatti, Siracusa fu un centro intellettuale e artistico di grande importanza. Lì nacquero il poeta Teocrito e il matematico Archimede; i rapporti commerciali si estendevano per tutto il Mediterraneo: in Grecia, Asia Minore ed Egitto a est, in Spagna e Nord Africa a ovest. Un esempio dell’ambizioso programma di edificazione intrapreso da Gerone è dato dal magnifico teatro greco della città, costruito dopo il 238 a.C., che con i suoi 138 metri di diametro è tra i teatri greci più grandi; il suo auditorium a forma di D (diverso da quello a due terzi di cerchio, tipico della maggior parte dei teatri nelle città greche) seguiva una tendenza, attestata per la prima volta nel teatro di Metaponto nel sud Italia, che divenne subito la norma nei teatri siciliani del III e II secolo a.C. e che fu più tardi ripetuto nel mondo romano. Il suo edificio scenico decorato con statue di telamoni e cariatidi potrebbe essere stato il primo di questo tipo in tutto il mondo greco.

Non sono noti i confini precisi del regno di Gerone, ma esso si estendeva a nord fino a Tauromenium (Taormina) sulla costa orientale, e nell’entroterra fino a Morgantina, 45 km a ovest di Catania. Ed è proprio a Morgantina che è possibile trovare la migliore dimostrazione di come fosse una città nel periodo di Gerone, con la sua eccellente pianificazione urbanistica, anche se, probabilmente, la testimonianza più significativa dell’arte e dell’architettura di quel periodo è data dalle numerose grandi case del III secolo a.C., che testimoniano lo stile di vita agiato della locale aristocrazia cittadina. Ognuna di esse è disposta intorno ad un ampio peristilio centrale e talvolta era fornita di una cisterna d’acqua piovana sottostante. In queste case, inoltre, il più comune tipo di pavimento è il caratteristico cocciopesto (opus signinum), spesso intarsiato con un motivo semplice di tessere bianche ma ciò che a Morgantina colpisce di più sono gli esempi di pavimento a mosaico policromo con tessere di pietra databili al 250-220 a.C. circa, la cui origine è da rintracciare ad Alessandria e in altri luoghi dell’Egitto settentrionale, un’area con cui la Siracusa di Gerone era in stretto contatto.

Alla morte di Gerone, nel 215 a.C., Siracusa si alleò con Cartagine, pagando per questo un prezzo altissimo: quattro anni più tardi, il generale romano Marcello, che aveva già assalito Lentini e Megara Iblea, saccheggiò la stessa Siracusa, massacrandone gli abitanti: un conflitto in cui morì Archimede, faro del genio ellenistico. Tra il bottino di guerra che salpò verso Roma, c’erano innumerevoli capolavori di scultura greca che rifornirono un mercato d’arte in crescita soprattutto presso quell’opulenta aristocrazia che adornava le proprie case e le residenze di campagna con statue greche: un fenomeno che sarebbe continuato durante tutto il periodo repubblicano, ed oltre.
La conquista di Siracusa nel 211 a.C. segnò il culmine della seconda guerra punica che non solo travolse l’antico regno di Gerone ma fu causa di ulteriori devastazioni in altri luoghi dell’isola: Agrigento, per esempio, in mano ai Cartaginesi già da quattro anni, ed altre città che avevano rifiutato l’alleanza con Roma, subirono gravi danni. Con la pax romana stabilita in Sicilia, e con il conseguente sviluppo dell’agricoltura, i proprietari terrieri dell’isola ricavarono presto buoni profitti. Ciò rese l’acquisto di terreni appetibile per i ricchi proprietari della Penisola, diventati sempre più numerosi dalla seconda metà del II secolo a.C. in poi. Ma anche l’aristocrazia siciliana ricevette benefici dal nuovo ordinamento politico, nonostante il dominio di Roma avesse portato alla perdita delle tradizionali libertà.

Importantissima per la Sicilia, come per le altre parti dell’Impero, fu l’età di Augusto, il primo imperatore romano. Il giovane Ottaviano aveva strappato la Sicilia al controllo di Sesto Pompeo dopo la battaglia di Naulochus (vicino Milazzo) nel 36 a.C., un passo decisivo verso quel dominio assoluto che Ottaviano Augusto avrebbe ottenuto dopo la battaglia di Azio nel 31 a.C. Dieci anni più tardi, sei città siciliane furono scelte come luoghi dove inviare un numero rilevante di soldati delle legioni romane ormai in pensione, cosicchè esse assunsero lo status di coloniae, con costituzioni modellate su quelle romane. Queste città erano: Siracusa, Catania, Taormina, Tindari, Termini Imerese e Palermo.
Il numero di gente della Penisola residente in Sicilia divenne molto maggiore che in qualsiasi altro periodo e la conseguenza fu che, da Augusto in poi, la romanizzazione culturale della Sicilia cominciò in maniera sistematica. Per quanto riguarda il periodo iniziale dell’Impero, vi sono molte ricche dimore rurali che aspettano di essere scoperte, e indizi della loro esistenza possono essere considerati sculture e sarcofagi ritrovati nelle campagne. Solo a Castroreale San Biagio (Messina) e a Durrueli di Realmonte (Agrigento), gli scavi ci danno un’idea della loro disposizione e della decorazione. Entrambe le abitazioni sono disposte attorno ad un peristilio, hanno un soggiorno principale ed entrambe hanno pavimenti in marmo e mosaici, e bagni adiacenti ai soggiorni principali.

Questi aspetti ricorrono, ma su scala più ampia, nelle ville del tardo periodo imperiale; di queste si sono scoperti in Sicilia quattro rilevanti esempi. Le ville di Caddeddi sul fiume Tellaro (Siracusa), di Patti Marina sulla costa settentrionale (Messina), quella nella zona del Casale, vicino Piazza Armerina (Enna), e, ultima in ordine di ritrovamento, la villa di Santa Marina, piccola frazione di Petralia Soprana, sulle Madonie. Tutte testimoniano l’elegante stile di vita dell’aristocrazia in età imperiale, in un momento in cui la campagna godeva di un periodo di particolare prosperità. A onor del vero, parecchie altre ville, nessuna delle quali possiede tuttavia lo stesso livello di lusso, sono attualmente oggetto di scavi, come quella in località Ortomosaico, nel territorio di Giarratana (Ragusa), dove sono state scoperte otto stanze, tutte con pavimenti a mosaico a schemi geometrici.
Non è del tutto nota la pianta della villa sul Tellaro, dal momento che gli scavi vengono ostacolati dalla presenza di moderne costruzioni rurali: le stanze sono disposte su tutti e quattro i lati di un peristilio di 20 mq, con una sala da pranzo ad abside al centro del lato sud, e tre stanze con pavimento a mosaico sul lato nord del corridoio del peristilio. Uno di questi mosaici mostra Priamo che chiede a Ulisse, Achille e Diomede la restituzione del corpo di Ettore, posto sul piatto di una bilancia, con il denaro per il riscatto sull’altro piatto (una versione della storia non presente in Omero). Le monete ritrovate al di sotto del piano pavimentale dimostrano che i mosaici non sono anteriori alla metà del IV secolo d.C.
La villa di Patti Marina, scoperta nel 1973 durante la costruzione dell’autostrada Palermo-Messina, è anch’essa disposta intorno ai quattro lati di un peristilio centrale, con una grande sala absidata al centro dell’ala orientale, ed una sala da pranzo a tre absidi (triconchos) sul lato sud. L’insieme impressiona per le sue dimensioni, coprendo un’area di due ettari, e si sospetta che altro giaccia sepolto, inclusa, probabilmente, una larga sala ad abside lunga 20 metri dove si tenevano i ricevimenti e dove il proprietario incontrava i clienti per dispensare il suo patronato.
È possibile vedere tali caratteristiche anche nella grande villa romana vicino Piazza Armerina, la struttura romana più celebrata in Sicilia. Questo grande complesso, che si estende su un’area di circa un ettaro e mezzo, consiste essenzialmente di quattro elementi: una grandiosa entrata a tre archi che introduce in un cortile a forma di ferro di cavallo; il cuore della villa residenziale è disposto intorno a un giardino a peristilio con vasca ornamentale e include, nel lato est, un vasto salone ad abside per i ricevimenti, lungo 32 metri, e le stanze private dove vivevano il dominus e la sua famiglia; un’altra serie di stanze nel lato sud comprende un immenso triconchos per i banchetti ed una grande stanza da bagno. Ciascuno di questi elementi è disposto secondo assi differenti, favorendo così l’effetto sorpresa e la varietà planimetrica, ed evitando deliberatamente la regolarità prevedibile della normale villa a peristilio. Tutto fa pensare che questi diversi elementi siano parte di un piano unitario, probabilmente progettato e realizzato entro i primi venticinque anni del IV secolo d.C.
Ciò che rende questo sito così importante non è tanto la vastità della villa, per quanto il complesso, con le sue 45 stanze e corridoi, sia grandioso, ma la sontuosità delle decorazioni. Tutte le stanze e i corridoi avevano pavimenti di mosaico policromo e le pareti erano largamente decorate con affreschi a colori vivaci; ulteriori tocchi di lusso erano forniti da colonne di marmo policromo, da fontane, da statue. Tutti questi aspetti rendono la Villa del Casale la residenza di campagna più opulenta finora conosciuta, non solo in Sicilia, ma nell’intero Impero romano. Ciò ha fatto nascere molte congetture sull’identità del proprietario. L’ipotesi che avesse vissuto lì un imperatore è stata scartata; più probabilmente, la villa apparteneva ad un membro dell’aristocrazia del periodo tardo-romano, magari proveniente da una delle famiglie romane più potenti, sebbene non possa essere esclusa la possibilità che il proprietario fosse siciliano. Ad ogni modo, è verosimile che egli avesse almeno una delle cariche di magistratura più importanti di Roma, e forse poteva anche essere un questore o un pretore, dato che i giochi circensi, ricordati in uno dei pavimenti dei bagni, si svolgevano al Circo Massimo di Roma; inoltre, la scena dipinta nel corridoio della Grande Caccia raffigura catture di animali in un anfiteatro, con ogni probabilità il Colosseo.

I mosaici della villa di Piazza Armerina rappresentano un unicum non tanto per loro qualità artistica ma per la quantità, per la varietà delle composizioni figurate, per la ricchezza della policromia. Solo in pochi ambienti sono rappresentate scene mitologiche, per esempio nella sala dei banchetti con le Fatiche di Ercole, mentre un altro pavimento mostra la storia di Polifemo e Ulisse. Ci sono le già menzionate scene realistiche dell’anfiteatro e del circo; altre che documentano i passatempi del proprietario e della sua famiglia, come la caccia, e così pure altre scene che rappresentano gare di atletica (come le Fanciulle in bikini); molte sono le rappresentazioni fantastiche, tra le quali quelle con i cupidi che pescano e con dei giovani che guidano una biga tirata da uccelli; altre sono scene di maniera, come le composizioni marine, un mosaico con le stagioni, ed alcuni cesti di frutta. Molti pavimenti hanno strette corrispondenze con i mosaici del nord Africa e non può esserci alcun dubbio che tutti i mosaici furono realizzati da una bottega africana, che aveva sede probabilmente a Cartagine. Inoltre, ciò mostra la varietà di talento che possedevano le maestranze africane specializzate in mosaici. Anche i mosaici del Tellaro, leggermente posteriori, sono di una qualità tale che lascia intravedere la mano di mosaicisti africani e la loro presenza in Sicilia, dovuta probabilmente ad un contratto a breve termine, e non al fatto che provenivano da una “filiale” con sede permanente nell’Isola.
La Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Palermo, diretta dalla dott.sa Volpes, ha inoltre avviato un’importante campagna di scavo nel sito di Santa Marina, nel comune di Petralia Soprana. La ricerca, condotta dall’Università degli Studi di Palermo in collaborazione con l’associazione culturale “Gaetano Messineo” (archeologo e studioso di Petralia Soprana), sotto la guida dei prof. Oscar Belvedere e Aurelio Burgio, ha fatto riemergere un’antica villa romana di età imperiale, una sorta di fattoria, con abitazioni annesse, considerata la presenza di una fornace e di resti di vasellame. La ricchezza dell’edificio si mostra in un ampio peristilio, coi resti di un battuto sabbioso in coincidenza del cortile. Sul fronte a sud, esposto al sole, s’intuisce la passata presenza di una scalinata. L’architettura è consueta, per una villa che testimonia la grande importanza economica del luogo e che potrebbe aver messo a sistema, nel I secolo d.C., un’intricata rete di attività agricole presenti sin dal VI secolo a.C. e a poche decine di metri da una rete fluviale un tempo navigabile: le chiatte trasportavano a valle granaglie e altri prodotti agricoli, il salgemma e il legname.

Questa villa, che potrebbe non essere la sola e ricollegarsi ad altri antichi edifici poco distanti e meno sfarzosi – ma solo nuovi scavi potrebbero confermarlo, riportando alla luce altri siti che si pensa sorgano poco distanti -, rilegge un intero territorio: intorno ad essa potrebbe essere nato un centro economico, punto di snodo dei traffici commerciali delle Madonie. Considerata la difficile situazione finanziaria, di mezzi e personale, sarebbe necessaria una robusta sponsorizzazione al fine di proseguire gli scavi perché il sito da indagare, oltre a chiarire la storia millenaria di quella zona delle Madonie, potrebbe favorire l’economia di un’area discosta dalle tradizionali mete turistiche ma ricchissima di fascino, storia, arte, cultura e natura.