Centosettanta opere che ripercorrono l’incredibile vita di un personaggio che ha attraversato con leggerezza la seconda metà del Novecento sapendosi reinventare e reinventando oggetti, stili, modi di vedere la realtà con la sua arte: Andy Wahrol. Roma ha aperto le porte del Complesso del Vittoriano per ospitare il padre della pop art con una mostra a lui dedicata che sarà visitabile fino a marzo 2019.
Arte, musica cinema moda pubblicità: nessun altro artista come lui ha attraversato tutti i generi delle arti figurative passando dalle copertine realizzate per alcuni dischi con intuizioni figurative all’attività di iniziale di vetrinista e disegnatore di scarpe; dalle scenografie a grafico pubblicitario. Già, perché ultimo di tre fratelli di origini slovacche, il giovane Andy, originario di Pittsburgh (Pennsylvania), era venuto a studiare alla Arte e Pubblicità a New York.
Questo eclettismo è ben espresso nella mostra capitolina attraverso una selezione di 170 opere – curata da Matteo Bellenghi – in mostra prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con la collezione privata Eugenio Falcioni da cui provengono gran parte delle opere in allestimento.
L’esposizione realizzata in occasione del novantesimo anniversario della nascita di Andy Warhol parte dalle origini artistiche dell’artista: da un incarico di vetrinista a disegnatore di scarpe e scenografie passando attraverso le sue diverse esperienze artistiche dalla moda al cinema alla serigrafia al cinema passando per le copertine dischi dei Velvet e Rolling Stones ed i ritratti dei grandi personaggi del suo tempo.
Le prime collaborazioni coincidono con gli esordi a New York e le frequentazioni con i locali più esclusivi, Studio 54 o Max’s Kansas City sicuramente hanno rappresentato per lui un punto di riferimento, un input per molti artisti: anche il suo estro artistico inizia ad esprimersi quando lavora per le riviste di Harper’s Bazaar, Glamour, Vogue, Mademoiselle . Il mondo della moda lo ha sempre irresistibilmente attratto tanto da dedicare ampi omaggi in ritratti ai protagonisti iconici italiani.

Ma ben presto Andy, fotografo innamorato della pubblicità, non si rispecchia in nessun genere, in nessuna avanguardia e fu così che matura l’idea di dare una svolta nella sua carriera artistica: fonda la sua Silver Factory che ebbe vita dal ‘62 all’84. Più che un luogo fisico sulla 231 Est 47th strada, rappresenta per lui ed i suoi artisti una fucina di idee ed espressione di linguaggi musicali, pittorici e cinematografici dove il genio di Pittsburgh inizia a produrre ed accogliere vari artisti (Dylan, Truman Capote, Nureyev, Fonda, Basquiat, Cage, Haring, Hopper).
Quelli della Academy sono anche gli anni di enorme fermento, ad Hollywood tutti fanno cinema così che l’artista si cimenta anche con alcune esperienze cinematografiche di modesto successo dal titolo “Sleep” ed “Empire” “Chelsea girl”-
Ma deluso dal cinema, in lui è forte il desiderio di continuare a fotografare la realtà quotidiana con la sua inseparabile polaroid e usando la serigrafia crea e moltiplica le immagini lavorandole con un cromatismo nuovo ed audace; nascono le serie delle minestre in scatola le Campbell’s Soup, la Coca Cola: oggetti di uso quotidiano che riprende dagli scaffali dei supermercati per consegnarli all’arte.
La scelta della tecnica serigrafica è quasi un atto imprenscindibile per il suo obiettivo: “Volevo qualcosa di più forte che comunicasse l’effetto di un prodotto seriale. Con la serigrafia si prende una foto, la si sviluppa, la si trasferisce su seta, mediante colla, e poi la si inchiostra, cosicché i colori penetrano attraverso la trama e ciò permette di ottenere più volte la stessa immagine, ma con risultati cromatici sempre diversi”. Nascono da questo fecondo periodo artistico i primi volti di Marilyn, cui seguirono poi le fortunate serie sui ritratti di Elvis, Che Guevara, Elizabeth Taylor.
Proprio per approfondire l’uso e l’impatto dei colori nelle opere di Warhol abbiamo avvicinato Eugenio Falcioni, suoi molti dei capolavori in mostra a Roma essendo uno dei proprietari di una Collezione privata. A lui abbiamo chiesto di spiegarci il cromatismo in Warhol. Ci ha raccontato che è sempre rimasto catturato ed affascinato dall’uso personalissimo che l’artista fa del colore: questo lavorare l’immagine madre partendo da una fotografia è ciò che rende diverso questo artista da altri suoi contemporanei e non solo.
La commistione tra le arti ha decretato padre della Pop Art Andy Warhol che non si è limitato ad un solo genere, ma ha sperimentato, mescolando spesso i diversi generi. E proprio grazie a questa contaminazioni di genere ebbe modo di essere notato per il suo eclettismo e le sue novità moderne e talvolta dissacranti nello scardinare codici convenzionali.
Una selezione interessantissima di opere- in esposizione fino a fine Marzo 2019 -in cui attraverso di lui e le sue creazioni si può osservare l’America e gli eventi che sconvolgono la cronaca e la storia: dalla serie dedicata ai Most Wanted Men a Gun, da Knives alla serie di sedie elettriche, fino alle immagini dell’assassinio di John Kennedy.
A quanti erano attratti dall’idea di avere da lui una definizione della sua pop art Warhol amava ripetere che non voleva essere incasellato in un genere, poiché il suo era un “modo di vedere la realtà filtrando, scomponendo e rimontando le immagini sotto gli occhi di tutti, e ponendovi sopra una patina estetizzante che vela e rivela tratti non immediatamente percepibili”.