16 dipinti a tempera, realizzati da Antonio Canova tra il 1799 e il 1806, provengono da Possagno (Italia), Paese natale dell’artista neoclassico. Una “micropinacoteca”, le cui opere richiamano le pitture pompeiane che Winckelmann giudicava “fluide come il pensiero e belle come se fossero fatte per mano delle Grazie”. Una scelta di dipinti “gentili”, colorati su sfondo scuro, conosciuti come Scherzi, Baccanti, Danzatrici, Mercato di Amore, Muse…, nei quali si trovano i leggiadri motivi di alcune sue statue.
Le tempere di Canova sono state qualificate come delle eccellenti traduzioni iconografiche di visioni di affreschi che lo scultore aveva ammirato a Pompei ed Ercolano. Questa produzione, limitata a 34 esemplari, è stata sempre apprezzata dalla critica perché si denota una grande capacità nella narrazione. D’altra parte, l’artista di Possagno, che fu soprattutto scultore, aveva ricevuto un’educazione anche pittorica frequentando l’Accademia veneziana, dove aveva appreso i rudimenti della tecnica ed aveva acquisito un importante bagaglio di conoscenza.
Questi dipinti vengono indicati nel suo Catalogo delle proprie opere, pubblicato nel 1817, come “pensieri di danze e scherzi di Ninfe con amori, di Muse, e Filosofi, ecc. disegnati per solo studio e diletto dell’artista”. Antonio D’Este, nelle sue Memorie di Antonio Canova, riferisce che lo Scultore “ogni giorno disegnava il nudo a contorni …, vestendolo ora ad un modo, ora ad un altro, con stoffe, panni, veli, e variando sempre l’andar delle pieghe, e l’effetto loro, per confrontarle di poi col tipo antico. Né qui fermavasi, dappoichè nelle prime ore mattutine fece molte composizioni, che dipinte ad acquerello sembrano pitture ercolanesi!”. Canova rifletteva così su un’iconografia che aveva avuto modo di ammirare e di fermare a matita sui taccuini quando si era recato a Pompei.
Questi dipinti, nei quali, come è stato sottolineato, si ritrova “un Canova insolito, lieve e colorato, sottilmente umoristico” sono opere riconoscibili per i fondi neri e per la giocosa e fascinosa ambientazione teatrale. L’artista lontano dalla pratica della scultura si concentrava su ciò che la memoria e la tradizione classica evidenziava, temi sui quali meditare, prima attraverso il disegno e poi con le tempere. È risaputo, poi, che ognuno di questi piccoli dipinti aveva una finalità ben precisa che si traduceva nello sviluppo, in diversa dimensione, di questi soggetti che si trasformavano in monocromi e poi, in alcuni casi, in bassorilievi, se non addirittura in sculture vere e proprie.
In tutte le tempere l’ispirazione è chiaramente classicheggiante in cui l’artista racconta, attraverso la grazia raffinata delle forme, scene di fresca semplicità: giovani figure femminili panneggiate si pongono nello spazio secondo schemi definiti dalla narrazione con movimenti ed atteggiamenti enfatici. Sono pitture di danzatrici schizzate di getto, quasi apprese dal vero e capaci di catturare l’osservatore.
Antonio Canova disegnò, dipinse e scolpì danzatrici nelle pose più varie, inventando, così, un nuovo repertorio di gestualità e movimenti in un gioco di corrispondenze, rimandi e variazioni. L’artista lavorava con segni guizzanti e decisi, con tratti di matita e poi con pennelli e colori, imprimendo una posa, fissando un movimento e giocando quasi con il tempo, per catturare l’istante di un suono.
“Con le mani sui fianchi o con le braccia alzate, o in atto di reggere un velo, con le gambe talvolta atteggiate in un “pas de deux”, le danzatrici canoviane si direbbero sintonizzate sulle novità di quell’arte affermatesi alla fine del Settecento. Era sicuramente un azzardo, per uno scultore, cimentarsi in una simile tematica, all’apparenza la più contraria, la più ardua da risolvere nel marmo, ma proprio il tema della danzatrice fu scelta da Canova per sperimentare in piena libertà. “Composizione 1”, “Composizione 2” si potrebbero titolare le sue invenzioni di danzatrici, nell’affrancamento – ed è un segno ulteriore della sua modernità – dalla soggezione a un tema prefissato” così afferma Giuseppe Pavanello.
Non manca, infine, il rimando all’ode All’amica risanata di Ugo Foscolo: “… quando / balli disegni, e l’agile / corpo all’aure fidando, / ignoti vezzi sfuggono / dai manti e dal negletto / velo…” e ne I Sepolcri, in cui si evocano, “le ore future” che danzano innanzi a noi, “vaghe di lusinghe”. Una promessa di felicità elargita dalla bellezza: non è forse questo che le danzatrici canoviane fanno balenare nei loro movimenti leggiadri e fuggitivi?