Incontro i due ragazzi venuti dall’America per imparare i segreti dello scalpello in un caldissimo pomeriggio di fine luglio. Sono coperti di polvere. Le loro braccia, le mani, le teste hanno già imparato i movimenti lenti e sapienti degli scalpellini carraresi. Grazie a un progetto fortemente voluto dal Maestro Greg Wyatt, il grande scultore americano capace di riprodurre nel bronzo il battito delle ali degli arcangeli, da Luciano Massari, Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Carrara e dal Professor Antonio Rutigliano, raffinatissimo conoscitore di cose Italiane e docente alla New York University, i due giovani hanno potuto studiare scultura nella città di Michelangelo e vivere un mese da ‘stella a stella’, come si dice a Carrara, dall’alba al tramonto, in un luogo che in ogni suo angolo è accademia, studio d’arte e laboratorio.
Osservo le mani dei due giovani che accarezzano il marmo mentre gli occhi si alzano di quando in quando per incontrare quelli silenziosi e attenti dei professori ai quali sono affidati: gli scultori Pier Giorgio Balocchi, Francesco Cremoni e Francesca Taliani Dazzi. È un dialogo fatto di rapidi movimenti del volto: un sopracciglio che si inarca, un sorriso che scompare svelto dietro un breve cenno di assenso, la pipa del Balocchi che passa da un angolo all’altro della bocca seguita da una lieve pacca sulla spalla al giovane studente. Davvero le parole servono poco.

“Cosa porterete a casa di questa esperienza italiana?” chiedo ai due americani. “Guarda”, mi risponde Elena Ambrosino che ha studiato psicologia ed è bella come una miniatura, “voglio sintetizzare con una parola, attitude , e aggiungerei openness e hospitality, un connubio perfetto che mi ha mostrato un mondo diverso dove la competizione può essere accantonata. Qui la gente ha voglia di stare insieme e condividere il sapere. C’è più rispetto per ciò che gli altri fanno”. Mi ascolta mentre leviga la sua opera e per un attimo solleva gli occhi profondi: “Qui le persone mostrano un genuine interest in what you are doing” dice. Poi, con le mani torna ad accarezzare il marmo, una conchiglia orchidea che sembra nascondere il mistero della vita. Alle parole di Elena fanno eco quelle di Steve Hake di New York. Steve conosce l’Italia: Roma, Firenze e Napoli. La sua famiglia, del Sud, come quella di Elena, si è imbarcata per gli Stati Uniti nella prima metà del secolo scorso.
“Il soggiorno a Carrara”, spiega, “è stato un cambiamento e una piacevole sorpresa, ho vissuto per giorni con gli scultori che lavorano in città”. E davvero, la comunità cosmopolita degli artisti che vivono in questo angolo di Toscana – perla delle Alpi Apuane, dimora dantesca dell’indovino etrusco Aronte e tappa fondamentale per Michelangelo e la sua ricerca della perfezione – è una comunità open che fa della disponibilità e della voglia di condividere le proprie parole d’ordine. “Quando parliamo con gli artisti, gli scultori, gli scalpellini, sentiamo che ci ascoltano”, sostengono i due studenti, “e poi qui sei completamente immerso nella natura”. Ed è proprio vero, i due ragazzi di New York si sono avvicinati ai segreti della scultura in uno degli angoli più belli della città. La sezione di scultura dell’Accademia di Belle Arti è ospitata infatti nelle antiche scuderie di una suggestiva villa settecentesca, immersa nel verde di umide colline ai piedi delle Alpi Apuane, perennemente innevate dal marmo dei ravaneti. Villa Fabbricotti sarà uno straordinario ricordo per Elena e Steve che mi raccontano dello stupore stampato sulle facce dei loro amici newyorkesi: “Perché andate in Italia per imparare a scolpire? Quello non è un vero lavoro!” ci dicevano.
“Hanno pensato che volessimo vivere una favola, una fantasia un po’ pazza”, spiegano i due giovani, “e nonostante le nostre famiglie siano state molto ‘supportive’, sappiamo che voler fare arte è ancora considerato una sorta di percorso romantico. Ben altra cosa è getting a real job“. “Forse in Italia c’è maggiore rispetto per l’artista”, ipotizza Steven, “non so…”. “In America tutto è guardato con sospetto finché non hai successo, e fare arte è visto come un privilegio. ‘Come puoi permettertelo?’, è la domanda che più spesso gli amici ti pongono. Sognare è una cosa, la vita vera è un’altra” aggiunge Elena. Chiedo al Professor Massari di raccontarmi come è nata l’idea del Campus Estivo. Cerca sul cellulare la pianta di Manhattan e il nome di una pasticceria ungherese sulla Amsterdam Avenue: “Ecco, guarda, Greg Wyatt, Antonio Rutigliano ed io eravamo proprio qui, e sarà stata la magia di New York, oppure la Cattedrale di Saint John the Divine e la Peace Fountain di Greg Wyatt, ma non appena ci siamo incontrati ci siamo piaciuti subito e complici quelle dolcezze mitteleuropee e un meraviglioso cappuccino italiano, siamo andati subito al sodo! Ci siamo chiesti come potevamo organizzare a Carrara un campus di scultura per giovani studenti americani, costruire un nuovo ponte culturale gettato sull’Oceano tra Italia e Stati Uniti e vincere una sfida che è nuova e antica allo stesso tempo: far comprendere quanto sia ricca la relazione tra someone who knows and someone who’s about to know how do something.”
Questo il messaggio di Greg Wyatt, Antonio Rutigliano e Luciano Massari! Una borsa di studio della Columbus Citizenship Foundation in onore di Franco Zeffirelli ha regalato a Elena e Steven un

programma-percorso mirato: dal modello alla restituzione in gesso sino alla riproduzione in marmo a taglio diretto. “We got what we need”, dice Steve, “ho imparato la creta e poi a lavorare il marmo.” Le sue dita scorrono veloci sul torso che sta finendo di lucidare: “Sarà una grande opportunità per gli altri che verranno.” “Carrara è vera”, aggiungono, “qui fare arte e fare scultura significa lavorare fianco a fianco con chi è del mestiere, gente pronta a condividere e ad incoraggiarti. Dagli artigiani e dagli scultori abbiamo imparato un po’ di Italiano e forse a qualcuno abbiamo insegnato un po’ di Inglese”.
Steve ha vissuto nella casa di un giovane artista toscano: Amedeo Desideri: “Abbiamo guardato Netflix e cucinato insieme”, racconta, “e la prima persona che ho presentato a Elena e Steve è stato un cavatore coperto di polvere. Dopo la scuola venivano al nostro laboratorio e qui hanno conosciuto ragazzi che per arrotondare fanno gli artigiani. Hanno vissuto una Carrara che è una specie di officina e visto scultori che lavorano fianco a fianco per realizzare l’opera che qualcun altro firmerà. Hanno visto che cosa significa essere inseriti ‘alla pari’ in un gruppo e aiutarsi per raggiungere un risultato comune”. Eric Scigliano nel suo libro su Michelangelo ha scritto che sono molti gli scultori americani che portano Carrara nel cuore perché è solo tra i marmi bianchi delle sue montagne che è possibile ritrovare la sensazione di maestosità dell’antica Roma e la maestria degli artigiani del Rinascimento. Carrara è come una porta magica che rende possibile lavorare il marmo entrando in armonia con la natura. E allora ecco che dai due lati del ponte si ricomincia a lavorare per il prossimo Summer Camp di Scultura nella città di Michelangelo perché: “it’s simple” dicono gli expats. americani che vivono a Carrara da tempo: “Carrara is like a painter’s palette” , e in quella tavolozza si possono trovare tutti i colori dell’universo devi solo guardare alla natura e parlare alla pietra.