“J’ai recherché un autre pour m’oublier et me refaire mieux” (“Ho cercato di essere un altro per dimenticarmi e rifarmi migliore”). Sulla pagina accanto a quella su cui è stampato questo componimento del poeta Pierre André Benoit una scrittura goffa, quasi infantile, definisce le lettere di un nome, intervallate da punti circolari. Dopo aver compreso come decifrarla, riusciamo finalmente a leggere il nome del suo autore, Picabia. La breve poesia, assieme a questo consapevole tentativo di nascondere la propria identità, non potrebbero descrivere meglio la personalità e il genio eclettico di Francis Picabia, a cui il Museum of Modern Art dedica una importante retrospettiva, la prima nell’istituzione con questo livello di completezza, aperta fino al 19 marzo 2017.
La natura proteiforme dell’arte di Picabia emerge chiaramente nella notevole selezione di opere della mostra del MoMA, che è organizzata secondo un criterio cronologico e include tutti i principali momenti creativi della carriera dell’artista: quello impressionista, cubista, dadaista, surrealista, kitsch figurativo e astratto. Il sottotitolo della mostra “Our Heads Are Round so Our Thoughts Can Change Direction” (“le nostre teste sono tonde cosicché i nostri pensieri possano cambiare direzione”), allude alla circolarità e all’esuberante creatività dell’opera di Picabia.

Come puntualizzato dall’assistant curator, Talia Kwartler, durante il tour privato della mostra da lei svolto per i membri del Center for Italian Modern Art, la mostra è un’opportunità per riconsiderare la carriera di Picabia nel suo insieme, al fine di metter in discussione la canonica storia del Modernismo dove Picabia mal si colloca e trova posto limitatamente alla sua collaborazione con Dada.
Picabia è sempre stato considerato (e in realtà lo fu) una sorta di bambino viziato sulla scena artistica francese. Nato in una famiglia agiata nel 1879, la sua condizione economica privilegiata gli permise di avere una particolare libertà nella propria ricerca artistica. La mostra del MoMA ci conduce in un tour de force attraverso i continui e radicali cambiamenti stilistici e iconografici che percorsero i cinquant’anni della carriera di Picabia. Dai primi quadri ‘impressionisti’, dove il vero fondamento della pittura impressionista, dipingere en plein air, veniva sovvertito tramite l’uso di fonti fotografiche e dall’appropriazione dello stile di artisti come Alfred Sisley o Paul Signac, fino al momento in cui Picabia fu più prossimo all’avanguardia parigina, nella sua reazione alla pittura cubista e il suo coinvolgimento nella rivista del fotografo Alfred Stieglitz, 291, e la creazione delle prime figure meccanomorfe.

Picabia utilizzò nel suo lavoro strategie come la parodia, l’appropriazione e il vero e proprio plagio, che lo distanziarono sempre dall’avanguardia sua contemporanea. Non ci sorprende quindi sapere che sia stato buon amico di Marcel Duchamp. Particolarmente interessante è anche l’approccio contraddittorio e ambivalente che Picabia ebbe nei confronti dell’astrazione e la conseguente coesistenza di più temi, stili e generi in uno stesso periodo, aspetto che la retrospettiva del MoMA riesce a restituire bene nella ricostruzione che vi viene presentata della mostra che Picabia tenne nel 1922 alle Galeries Dalmau di Barcellona. Quella mostra presentava infatti in maniera sorprendente opere astratte e figure meccaniche assieme a dei ritratti figurativi di donne spagnole.
Gli anni Venti furono un periodo molto creativo per Picabia, in seguito alla sua decisione di trasferirsi nel Sud della Francia, dove si fece anche costruire una villa, lo Château de Mai. Ancora una volta decise di percorrere strade divergenti e paradossali allo stesso momento nella serie dei Collages, pitture ibride con elementi tratti dalla quotidianità applicati a collage, e i cosiddetti Mostri, opere che raffigurano coppie che celebrano il carnevale, create con la pittura a smalto nota col nome commerciale di Ripolin. Verso la fine del decennio egli inventò le Trasparenze, tele stratificate che mostrano una forte influenza del cinema. In relazione a questo lavoro, il coinvolgimento di Picabia con il balletto e il cinema è esplorato attraverso i due progetti sperimentali di Relâche e Entr’acte, del 1924.

La decisione di dedicare un’ intera stanza alle opere figurative che Picabia realizzò durante la Seconda guerra mondiale è particolarmente significativa per via del forte pregiudizio attraverso cui queste opere sono ancora guardate. Infatti, esse presentano uno stile naturalistico che non è molto distante da quello sviluppato da artisti apertamente supportati dal Terzo Reich. La loro natura problematica è aumentata dal fatto che Picabia stesso fu arrestato come collaborazionista nell’ottobre 1944, anche se fu poi rilasciato e scagionato dall’accusa. Queste opere non furono incluse nell’ultima grande mostra su Picabia tenutasi negli Stati Uniti, al Guggenheim Museum di New York, nel 1970, dove unicamente le fasi precedenti della sua carriera furono presentate.

L’arte di Picabia ha messo continuamente in questione e destabilizzato i criteri comunemente accettati di bellezza, qualità e buon gusto. In queste bizzarre e inquietanti tele degli anni Quaranta l’uso che Picabia fa di materiale fotografico preesistente tratto da riviste popolari, talora pornografiche, le caratterizza come esemplari di un certo gusto per la “cattiva pittura” che avrebbe attratto l’attenzione di alcuni artisti a partire dai tardi anni Settanta, come Sigmar Polke o David Salle. Partendo da loro e dal loro nuovo modo di guardare al percorso di Picabia, la carriera dell’artista ha iniziato ad essere riconsiderata nella sua interezza e senza pregiudizi, un risultato ottenuto su un altro, e più istituzionale livello dall’attuale retrospettiva del MoMA. Il catalogo presenta nuovi importanti contributi e auspichiamo che la mostra incoraggerà nuovo dibattito e studi sui periodi più trascurati dell’opera di Picabia, su cui c’è ancora molto da lavorare e comprendere.
L’autore: Giovanni Casini, dottorando al Courtauld Institute of Art di Londra, è fellow del CIMA per l’autunno 2016.