Il Salomon Guggenheim Museum di New York ospita la prima retrospettiva americana sul lavoro di László Moholy-Nagy. Più che un debutto, la mostra segna un atteso ritorno nelle sale espositive del museo: Moholy-Nagy fu infatti uno dei primi artisti a essere collezionati e esibiti, grazie all’intuito di Hilla Rebay, consulente di Solomon R. Guggenheim, in quello che inizialmente si chiamava Museo della pittura non-oggettiva (Museum of Non-Objective Painting).
Artista, insegnante, scrittore, intellettuale ungherese (1895-1946), Moholy-Nagy innovò radicalmente l’arte del XX secolo nel complesso clima di impegno ideologico e culturale degli anni del primo dopoguerra. Convinto assertore dell’arte e della tecnologia come fattori di progresso sociale, Moholy-Nagy coordinò gli elementi base della percezione visiva: luce, colore, spazio, materia, movimento, in quella che definì nel suo pionieristico scritto del 1928 “la nuova visione” (Das Neue Sehen / The New Vision).

Le oltre 300 opere in mostra, tra collage, disegni, film, sculture e dipinti, provenienti da collezioni pubbliche e private, si snodano cronologicamente lungo la scala ellittica dell’edificio di Frank Lloyd Wright, illuminato da un ampio lucernario centrale. Distribuite lungo la carriera dell’artista, dal 1919 al 1946, anno della sua morte, le opere attestano il suo ingegno poliedrico teso alla realizzazione di un Gesamtwerk o opera totale, nell’era postbellica della produzione di massa. Rompe la cadenza cronologica in cui è articolata la mostra la Stanza del Presente (Raum der Gegenwart), per la prima volta esposta negli US: un’installazione concepita da Moholy-Nagy nel 1930, ma mai realizzata, che ospita al centro lo straordinario Modulatore di luce di un palcoscenico elettrico (Lichtrequisit einer elektrischen Bühne), un marchingegno cinetico-futurista “per dipingere con la luce”, pensato per il suo film Light Play: Black-White-Gray.

La produzione degli esordi, esposta ai livelli più bassi della spirale, è la meno nota al pubblico. Emigrato a Vienna e poi a Berlino nel 1920, a seguito della crisi e della rivoluzione socialista, Moholy-Nagy iniziò a produrre opere astratte sotto il segno del dadaismo e del costruttivismo: dipinti, sculture, litografie e collage sono attraversati da pattern alfanumerici e geometrici (diagonali, curve, cerchi, mezze lune, fasci di colore, spirali) che saggiano e disegnano lo spazio circostante. I titoli impersonali, composti di semplici lettere e numeri, confermano il suo interesse per la produzione seriale e spersonalizzata del mondo industriale, come teorizzato in uno dei suoi scritti più celebri: Produktion-Reproduktion (1922).
Con la collaborazione della moglie Lucia, fotografa professionista, nascono i primi fotogrammi a cui è dedicato ampio spazio in questa mostra: sono immagini fissate su carta sensibile senza l’ausilio di una camera fotografica che sfruttano le possibilità espressive e formali della luce, considerata da Moholy-Nagy: “Un nuovo mezzo plastico così come il colore in pittura e il suono in musica”.
Salendo la spirale ci immergiamo negli anni del Bauhaus: è questa la sua produzione più nota, documentata con intelligenza in questa mostra. Chiamato da Walter Gropius a insegnare alla Scuola d’arte Bauhaus di Weimar e poi di Dessau a fianco di Vasilj Kandinsky, Paul Klee e Josef Albers, dal 1923 al 1928, Moholy-Nagy si dedica al design editoriale e teatrale curando e progettando con Gropius la celebre serie dei Bauhausbücher qui esposti in bacheche di vetro. L’ottavo volume, Pittura Fotografia Film pubblicato da Moholy-Nagy nel 1925, lo consacra come maestro della fotografia moderna.

In questi anni s’intensificano anche le sue ricerche sui nuovi materiali per usi industriali, quali smalti (Konstruktion in Emaille, 1923), galalite (G5: 1923-26, 1926) o trolite (T1, 1926), per sfruttare artisticamente gli effetti di opacità, lucentezza e trasparenza e attivare così lo spettatore.
Bandito in pittura, il residuo realistico sopravvive nei numerosi film e fotografie prodotti da Moholy-Nagy in questo periodo, manipolato in una miriade di modi diversi: dai fotomontaggi neo-dada (i Photoplastics non si erano mai visti prima), alle fotografie seriali con architetture moderne (Tour Eiffel a Parigi, Funkturm a Berlino), ai fotogrammi che esibiscono il suo stesso corpo (Mondgesischt / Moonface, 1926), o quelli realizzati per l’amico architetto Siegfried Giedion (con cui cura la sovversiva mostra del 1929 Film und Foto), dove gli inquietanti close-up, le angolazioni vertiginose, i drammatici sottinsù, le prospettive stranianti, i rimpicciolimenti o ingigantimenti inattesi, catturano le misteriose variazioni tra luce e ombra nello spazio circostante, con effetti sorprendenti.

Lasciato il Bauhaus per ragioni politiche e dopo alcuni viaggi per l’Europa, nel 1937 Moholy-Nagy si stabilì definitivamente negli Stati Uniti: diresse a Chicago il New Bauhaus, poi, nel 1938 vi fondò l’Institute of Design, sperimentando le possibilità espressive di nuovi materiali fin lì banditi dal mondo dell’arte (alluminio, formica, plexiglas, rodovetro, suberite e materiali di scarto) e nuove tecniche di lavorazione (perforazioni, rifrazioni, trasparenze, distorsioni, specchiature, punteggiature), finalizzati alla modulazione cinetica e luminosa dello spazio: ne sono esempi Construction AL6 del 1933/34 o CH beata I del 1939 (CH sta per Chicago).
Tipica di questa ultima fase, che occupa la parte superiore della spirale, è una inedita leggerezza e spettacolarità che si riflette nei cosiddetti Space Modulators in plexiglas del 1943, sorta di ibridi tra pittura e scultura, da esporre anche appesi a un filo, liberi di fluttuare e dispensare effetti di luce: “veicoli per coreografare la luminosità” come li avrebbe chiamati Moholy-Nagy; e i Twisted Planes del 1946 sempre in plexiglas, che finirono anch’essi per innovare, per sempre, le convenzioni borghesi intorno all’arte.
La mostra, ricca di tutte le opere più celebri, è un appuntamento da non mancare.
Moholy-Nagy: Future Present è organizzata da: Solomon R. Guggenheim Foundation, Art Institute of Chicago, e Los Angeles County Museum of Art.
La mostra sarà al Guggenheim fino al 7 settembre per poi spostarsi a Chicago dal 2 ottobre 2016 al 3 gennaio 2017 e poi Los Angeles, dal 12 febbraio al 18 giugno 2017.
L’autore: Nicol Mocchi è fellow del CIMA per il 2015-16.