Nei pochi mesi dalla sua apertura a gennaio 2016, la GR gallery ci ha ha già abituati a grandi riscoperte. Dopo la collettiva d’apertura e la mostra dedicata ad Alberto Biasi, fino al 17 luglio è la volta di Franco Costalonga con Revolution.
Veneziano, oggi ottantatreenne, Costalonga ha iniziato negli anni ’50 da autodidatta, per poi unirsi al gruppo Dialettica delle tendenze e in seguito al Gruppo Sette, legato al Sincron di Bruno Munari. È uno di quegli artisti artigiani, che nell’arte hanno una forma espressiva ma anche un mestiere, un saper fare che ha tanto della tradizione artigiana italiana. Affascinato dal costruttivismo russo, negli anni Costalonga ha portato avanti una ricerca rigorosa che si interseca con la scienza, la matematica, la fisica della luce e del colore.
Alla GR gallery sono esposte una trentina delle sue opere di un periodo che va dai primi anni ’70 al 2015. La mostra, la prima di questo artista su territorio americano, si concentra sui lavori più cinetici dell’artista, includendo pezzi dalle serie Oggetti Cromocinetici Rotanti, Oggetti Quadro, Riflex, Mokubi e Onde Gravitazionali.
Eva Zanardi, manager e art advisor della galleria, non nasconde la propria passione per questo artista. Con entusiasmo mi mostra ognuna delle opere in mostra, invitandomi a osservarne i dettagli e, soprattutto, a interagire con esse. “Questa è una mostra che va vista dal vivo, va vissuta – mi dice – Queste opere in fotografia assolutamente non rendono perché la foto ne può catturare solo un punto di vista, mentre questi sono lavori che cambiano a seconda del punto di visione. L’Arte cinetica viene attivata da chi la guarda e queste opere ne sono un esempio eccelso”. E in effetti non si riesce a stare fermi davanti a queste composizioni che cambiano colore, luce e forma difronte ai nostri occhi. Ogni opera è tante opere diverse, ogni composizione ne contiene delle altre, studiate e calcolate con precisione matematica per apparire al muoversi dello spettatore.

“Anche per via dell’amore per il Costruttivismo, Costalonga ha sempre voluto fare un’arte che fosse riproducibile e per questo ha lavorato sempre con dei moduli. Inoltre anche lui, come il Costruttivismo, è molto interessato ai materiali: il materiale non è al servizio dell’arte ma è in sé oggetto d’arte con cui sperimentare”. In alcune opere, come i Mokubi o Oggetto Quadro Rotante, l’effetto cinetico viene dato dal modo in cui sono posizionati e colorati una serie di minuscoli cilindretti di legno affiancati per creare texture e forme. Inizialmente Costalonga realizzava i suoi cilindretti a mano, poi ha iniziato a usare tasselli modulari, da lui brevettati e riproducibili. L’effetto resta incredibile. L’opera sembra muoversi, alcune composizioni, come la bellissima Clindretti ruotante, hanno un carattere organico: l’accostamento di forme e colori dà vita alla materia rendendola fluida, quasi morbida, nonostante la geometria delle forme.
Brevetto dell’artista sono anche quelle che sono tra le sue opere più note, le calotte di plastica specchiante della serie Oggetto Cromocinetico. Anche qui il gioco si attiva col movimento di chi guarda, producendo variazioni di profondità, colore e disegno nelle semisfere. Il risultato è di una modernità davanti alla quale si fatica a credere che le prime opere di questa serie siano datate 1970.
E se in alcuni di questi lavori il movimento è dato dallo spettatore e da una serie di illusioni ottiche, altre opere si muovono davvero. È il caso, per esempio, di un Oggetto Quadro Ruotante del 1975, in cui 36 moduli sono disposti su 6 file di 6 e si muovo, grazie a 36 piccoli motori separati, ognuno a una velocità diversa, creando infinite combinazioni. E poi c’è un istante, mi rivela Eva Zanardi, in cui tutte le linee gialle all’interno dei moduli si allineano: “È la perfezione che si origina dal caos. Ma è un secondo, perché la perfezione non esiste e quindi torna nel caos”. Io non ho avuto la fortuna di vederlo e non è dato sapere ogni quanto tempo l’allineamento si ripeta: è il fascino misterioso della scienza, ma sarei stata ore a osservare quei punti e quelle linee inseguirsi a vicenda.
Altrettanto ipnotiche sono le opere più recenti, i Riflex, in cui Costalonga, ispirandosi all’idea delle onde gravitazionali, giocando con la rifrazione della luce e servendosi di tecnologie informatiche, dimostra che i suoi 83 anni non lo hanno allontanato né dalla sperimentazione né dalle tecnologie a disposizione oggi di un artista da sempre interessato alla luce.
Affascinato dalle ricerche di Einstein, Costalonga mette della meticolosità scientifica nel suo lavoro, ma non è puro esercizio di stile: “Ha sempre ritenuto che si debba fare arte per il popolo, accessibile alle masse, superando quell’aspetto elitario spesso associato al mondo dell’arte – racconta Eva Zanardi – Infatti quando Peggy Guggenheim voleva comprare una sua opera per il museo di Venezia, si racconta che il gallerista chiamò l’artista per chiedergli che prezzo farle. Costalonga, che per convinzioni ideologiche non aveva simpatia per i Guggenheim, disse che non le avrebbe fatto nemmeno un centesimo di sconto. Sembra che Peggy allora commentò: altro che Costalonga, dovrebbe chiamarsi Costacaro”.
L’aspetto politico, insieme a quella precisione artigiana che abbiamo già incontrato nelle opere di Biasi, sono caratteristiche comuni agli artisti italiani dell’Arte cinetica in cui la GR gallery è specializzata. La galleria è la derivazione newyorchese dello Studio d’arte GR di Sacile, in Friuli Venezia Giulia, artefice della recente riscoperta dell’Arte cinetica italiana le cui quotazioni, dal 2000 al 2010, sono cresciute del 128 per cento, ma che deve ancora farsi giustizia da questa parte dell’Atlantico. “La principale differenza tra l’Arte cinetica italiana (nel nostro Paese chiamata Arte programmata) e quella americana – spiega la manager della galleria che nasce proprio allo scopo di far conoscere questi artisti in America – è il messaggio fortemente politicizzato del movimento in Europa e soprattutto in Italia. Alla base c’è il credo del Costruttivismo russo che il teorico del cinetismo in Italia, Bruno Munari (il cui nuovo record all’asta risale al 14 giugno 2016:152.000 euro per una Macchina Inutile del 1945) rivalutò negli primi anni ’50 con il suo Manifesto del Macchinismo. Munari aveva una visione profondamente critica del mercato dell’arte, che riteneva elitario, e del commercio delle opere. La soluzione era creare arte da riprodurre in serie e la moltiplicazione a basso costo delle opere, per farne poi crollare il prezzo. L’ America banalizzò l’arte cinetica rendendola un fenomeno di costume (soprattutto dal 1965 con la mostra al MoMA The Responsive Eye che ribattezzò l’arte cinetica Op art). Inoltre all’epoca stava diffondendosi ovunque la Pop art americana, che rispetto all’Arte cinetica e programmata non affrontava nessun tipo di critica al sistema dell’arte, anzi, lo sfruttava fino alla conquista di tutto il mondo artistico; la Pop art può essere vista come un’anti arte programmata. Come dice Costalonga, la Pop art americana uccise l’arte cinetica”.
La mostra è un vero parco giochi in cui prendersi del tempo per entrare in contatto con ognuna delle opere esposte. In un’era dominata dal digitale, ritrovarsi di fronte a superfici che all’improvviso si animano grazie a puri meccanismi di percezione visiva, ha del magico: un’esperienza sensoriale impagabile.