“C’era una volta una fiera che faceva rumore”. Ad Alessandro Berni piacerebbe che venisse ricordata così, negli anni a venire, la sua creatura, Clio Art Fair, la fiera dedicata all’arte contemporanea di artisti indipendenti provenienti da tutto il mondo, partita 3 anni fa come una scommessa e oggi diventata un appuntamento fisso e seguito della Grande Mela. Già dalla prima edizione nel 2014, infatti, l’evento ha incuriosito e attirato un pubblico ben nutrito, tra esperti del settore e non, centrando a pieno titolo la mission che si era prefissa: favorire un dialogo capace di trascendere le aree geografiche, le gerarchie e i mercati “convenzionali”, creando sinergie e opportunità innovative nel mondo dell’arte contemporanea. Oggi New York non solo si è accorta di Clio, ma la riconosce anche come una delle 10 fiere più importanti della città.
Un risultato non da poco se si pensa che tutto è nato dall’intuizione di una persona ed è stato realizzato da un piccolo team che negli anni è cresciuto e ha acquisito valide new entry: ad oggi, oltre all’ideatore, Alessandro Berni, dietro Clio Art Fair ci sono Ted Barr (Israele), Thierry Alet (Martinica), Ylenia Mino (Italia), James Kim (USA), Monika Proffitt (USA), Mariana Soares (Brasile), Eri Honda (Giappone), Sui Park (Korea) e Hyojin Yoo (Korea), con un ringraziamento speciale da fare anche a Francesco Lecci, Art Dealer che ha avuto un ruolo cruciale per le edizioni 2014 e 2015 e che oggi si è trasferito a Milano dove ha aperto la propria galleria, la Clima Gallery.

Nell’ottica di fare non solo semplice e puro business, anche quest’anno Clio Art Fair non è passata inosservata e si è imposta a pieno titolo come uno degli eventi di punta nella Armory Show, la fiera d’arte newyorchese tra le più importanti al mondo. All’opening, dove eravamo presenti, Clio ha dovuto fare i conti persino con la mostra fotografica di Patty Smith, intenta, pochi numeri civici più in là sulla stessa Street, a firmare autografi a fan e visitatori: nonostante una big come lei, l’inaugurazione è stata comunque partecipatissima.
Ci siamo fatti raccontare qualcosa di più su Clio – che siamo sicuri lascerà un segno nel panorama newyorchese – proprio dal suo creatore, Alessandro Berni, con una punta di orgoglio nazional-patriottico per quanto un nostro conterraneo partito da zero sia riuscito a realizzare qui a New York.
Alessandro, un bilancio su Clio Art Fair 2016 che si è da poco conclusa.
“Aspettative e problematiche superate. La soddisfazione è grande perché la fiera oggi, dopo tre edizioni, è riconosciuta come una delle 10 più importanti di New York City. C’è chi, tra gli addetti ai lavori, ci mette al secondo posto, chi al terzo, chi al quinto, ma per il tipo di fiera che abbiamo deciso di essere, ovvero una fiera dove non sono ammesse le gallerie ad esporre, ma esclusivamente artisti indipendenti siamo i numeri uno. Volendo fare una stima sulle presenze, soltanto all’opening sono stati consumati 1.200 bicchieri, quindi assumiamo che ci siano state un migliaio di persone circa; altre 4-5.000 persone durante il resto del week end. Rispetto alle edizioni precedenti, sia in termini di visitatori che di vendite, ci siamo ampiamente superati”.
Quando e come è nata l’idea di organizzare una fiera del genere?
“Clio è nata 3 anni fa da una mia intuizione. Avendo molti amici artisti, avevo percepito la loro esigenza di essere almeno una volta l’anno a Chelsea. Oggi, attraverso internet e i social media, molti artisti sono in grado di trovare collezionisti e mostre museali da soli, senza alcuna galleria alle spalle. Sono i cosiddetti artisti indipendenti, una figura che si è formata nel corso degli anni e che, senza l’intermediazione di alcuna galleria, riesce a vendere le proprie opere e a trovare spazi pubblici, come musei, parchi, o distretti di polizia, per esempio. Mi sono avvicinato all’arte contemporanea quando mi sono trasferito a New York, nel maggio 2012, e, non essendo un artista, l’ho fatto da teorico, ponendomi interrogativi, del tipo che cos’è l’arte o quali dovrebbero essere le aspettative per un artista. È lì che ho realizzato che il gesto dell’arte è molto simile al gesto dell’amare e quindi dell’essere amato. Se un artista va alla ricerca di un pubblico e di un apprezzamento, si tratta in un certo senso di una richiesta d’amore; il gesto dell’arte non basta da solo, deve essere condiviso e ricevere un feedback. Ecco perché Clio”.
In che modo Clio Art Fair si distingue dalle altre fiere?

“Innanzitutto per il rispetto degli spazi architettonici in cui si svolge l’evento: le grandi fiere, per motivi di budget, prendono spazi enormi e li stravolgono attraverso uno sforzo assamblativo che prevede l’inserimento di muri, quindi di segnali, tavoli e sedie. In questo modo le opere d’arte vengono devalorizzate in quanto subiscono lo spazio architettonico dove vengono esposte. Noi facciamo il contrario, cioè prediligiamo una curatela dedicata alla valorizzazione delle opere esposte, così da offrire respiro visivo. Siamo sì una fiera, ma siamo prima di tutto un group show internazionale, con artisti che magari vivono negli Stati Uniti, ma provengono dall’Africa, dall’Asia, dall’Europa”.
Chi c’è dietro a Clio?
“C’è un team di 9 persone, di cui 5 curatori che mi segnalano i vari artisti, anche se poi io ho la voce finale sulla scelta, quindi se qualcosa va male è solo colpa mia. Siamo un team cresciuto negli anni, molte persone collaborano con me dalla prima edizione, altre sono delle new entry. Ma soprattutto c’è Clio, la musa della storia. Se Clio che suona la propria lira canta il tuo nome, allora entri nella storia: questa è Clio e questa dovrebbe essere un’aspirazione più o meno consapevole di ogni artista”.
Come hai visto crescere Clio nel corso delle 3 edizioni?
“All’inizio è stata una scommessa: vedere se New York si sarebbe accorta di noi, vedere la reazione. Io per professione organizzo eventi, ne ho organizzato un migliaio in tutta la mia vita, e ti assicuro che è una delle professioni più stressanti. Pensa che, secondo le statistiche, al primo posto dei mestieri più stressanti c’è il soldato al fronte, al secondo il pompiere, e al quarto l’organizzatore di eventi e sai perché? Perché ti giochi la reputazione di evento in evento. Il rischio di fare una figuraccia all’inizio c’era ovviamente, sia perché non è scontato trovare artisti che sposino la tua stessa visione, sia perché non è uno scherzo trovare qualche migliaio di visitatori che possano dare senso alla tua operazione. Già dal primo anno è andata bene, grazie anche ai contatti che mi ero costruito durante i miei primi dodici mesi a New York. Ma se all’inizio artisti e visitatori venivano per me, l’aspetto più entusiasmante è che adesso vengono per Clio. Questo è il passaggio che c’è stato nel corso delle tre edizioni. Quest’anno abbiamo anche ricevuto un’ottima risonanza mediatica e questo significa che New York non solo si è accorta di noi, ma ci ha anche accettato e apprezzato. Pur essendo un progetto low badget, siamo riusciti a fare qualcosa di serio, innovativo e vincente”.
Che vita e che natura avrebbe potuto avere un progetto come Clio in Italia?

“Forse una Milano avrebbe potuto accogliere questa idea: è una città molto dinamica che potrebbe essere adatta a un’operazione del genere, ma con una fiscalità non italiana, che ti blocca e ti fa perdere un sacco di tempo. Di sicuro il progetto ha bisogno di una metropoli e non può succedere altrove, ma nei prossimi anni Clio non andrà da nessun’altra parte. Spesso succede che altre fiere decidano di sdoppiarsi in più città. Noi rimaniamo a New York perché vogliamo continuare a crescere dove siamo nati e le premesse ci sono tutte”.
A parte la geograficità, dal punto di vista degli artisti invece quali pensi potrebbero essere le differenze tra qui e l’Italia?
“Di sicuro New York possiede un art district notevole che può dare una scossa all’artista. Penso a Chelsea, ma anche a Bushwick, dove attualmente c’è la più alta densità di artisti del pianeta. Non necessariamente però consiglierei a un artista di vivere a New York. Avere le proprie opere a New York, sì, esporre a New York è importante; viverci non molto. È una città molto impegnativa da un punto di vista finanziario. Un artista ha bisogno di una vita contemplativa. Qua è tutto carissimo, compreso il tempo libero. Visitare New York, sì, anche tante volte. Trasferirsi a viverci, solo se davvero hai la solidità finanziaria per permetterti senza stress alcuno questa scelta”.
Nel corso delle tre edizioni avete mantenuto lo stesso numero di artisti partecipanti. Perché?
“Intenzionalmente. Le altre fiere sono troppo grandi e per questo generalmente creano una stanchezza visiva dello spettatore. Le opere d’arte vengono massacrate per via degli spazi e dei costi, e si crea una sorta di bulimia visiva per cui non ti rendi conto se effettivamente hai qualcosa di bello davanti a te, sia perché è esposto male sia perché sei stanco. Noi siamo intenzionalmente piccoli perché crediamo che altrimenti si abbasserebbe la qualità e l’apprezzamento del pubblico, dalla critica e anche dei non amanti di arte. Un altro elemento di distinzione, oltre alla limitata quantità di opere, sono i soggetti. Quest’anno, per esempio, avevamo dei temi politici e sociali piuttosto spinosi, come il terrorismo, i rifugiati, o le elezioni americane, temi bannati dalle altre fiere perché hanno meno possibilità di vendere. È chiaro che il nostro obiettivo è vendere, perché la vendita è un segnale del nostro successo, ma non pensiamo alla vendita in primis, ma all’apprezzamento che può venire da un curatore museale che viene a visitare la fiera”.
E chi è che compra?

“Può essere il collezionista; o il gallerista, che decide di iniziare a collaborare con l’artista indipendente, perché ci sono degli artisti indipendenti che vogliono restare tali, altri invece che cercano la galleria, e questo può essere un momento per gli artisti per capire se vogliono restare indipendenti o se vogliono iniziare a collaborare con una galleria; ma a comprare possono essere anche i curatori di spazi pubblici in cerca di opere per i loro progetti”.
La fiera è appena finita e già siete pronti con Clio 2017…
“A dir la verità, per noi Clio 2016 non è ancora finita. Siamo ancora in fase di feedback, ci sono ancora richieste di compravendite in corso e stiamo continuando a diffondere quello che abbiamo fatto in questa edizione. Nel frattempo però gli artisti possono già inoltrare la propria candidatura per il prossimo anno e stiamo già ricevendo molte richieste; avranno tempo fino alla fine di ottobre 2016. Diciamo che intorno a maggio-giugno cominceremo a esaminarle. I prezzi del 2017 saranno gli stessi del 2016; questo perché, come dicevo prima, puntiamo a un miglioramento qualitativo, non quantitativo: non vogliamo semplicemente guadagnare di più, ma fare una fiera ancora più bella”.
Come ti piacerebbe che venisse ricordato negli anni a venire questo esperimento?
“Questa è una domanda meravigliosa [ride, nda], non ci avevo mai pensato a questo fatto…proverò a rispondere, anche se avrei bisogno di qualche annetto di tempo per pensarci. Mi piacerebbe fare un’edizione che raccolga il meglio delle edizioni passate, organizzare una mostra che faccia rumore. Credo che il senso più sensibile all’arte sia l’udito, non la vista. Un quadro o una scultura, quando sono emotivamente ed esteticamente vincenti e fatti bene, fanno rumore. Questo è quello che mi piacerebbe realizzare e che venisse colto. Della serie, c’era una volta una fiera che faceva rumore”.