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February 7, 2016
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February 7, 2016
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Cucire è la mia lingua. E parlo di New York

La storia e le trasformazioni di New York in un patchwork di trapunte

Vincenza Di MaggiobyVincenza Di Maggio
Amy Wilson

The Disappearing City, Amy Wilson, 2015 – Hudson Guild Gallery and Greenwich House, NYC

Time: 5 mins read

New York City è fatta di due tipi di persone. I primi sono gli immigrati che arrivano da tutto il mondo per stabilirsi sull’affollata isola; che sfuggano alla persecuzioni religiose dei paesi d’origine, o che siano mossi da ragioni economiche, tutti sperano di costruire una vita migliore per le future generazioni delle loro famiglie. Manhattan è, perciò, in un costante stato di flusso: si rimodella continuamente riflettendo le tradizioni culturali cinesi, italiane, irlandesi, greche, mediorientali, e dei tanti altri stranieri che arrivano qui per farne la loro casa. Poi ci sono gli indigeni, i nativi, persone i cui genitori e nonni hanno passato tutta la vita in un brownstone storico di Manhattan o in un complesso della prima metà del Novecento. Hanno assistito in prima persona alla drastica trasformazione (e in alcuni casi alla gentrification) che i loro quartieri hanno subito nel corso dei decenni. L’Artista Amy Wilson fa parte di questo secondo gruppo. “I miei genitori si sono trasferiti in periferia, com faceva parecchia gente negli anni ’70 e ’80. Però ho trascorso molto tempo in città, perché i miei nonni vivevano a lower Manhattan”, racconta a La VOCE.

Amy Wilson
I Find Them to Be So Lovely, 2010, watercolor, goauche, pencil, on paper, by Amy Wilson

Dopo la laurea alla School of Visual Arts di Manhattan (dove attualmente insegna), ha conseguito un master alla Yale University. Subito dopo si è sposata e trasferita a Jersey City con il marito, un critico d’arte. A scuola si era specializzata in scultura, ma una volta trasferitasi nel suo nuovo appartamento, Wilson ha voluto cimentarsi con diverse forme artistiche. “A Yale, come tutti gli studenti, avevo un monolocale veramente fantastico. Era letteralmente l’appartamento più grande in cui abbia mai vissuto per conto mio. Quando mi sono laureata sono stata costretta a ridurre drasticamente le dimensioni dei miei lavori, perché proprio non potevo permettermi uno spazio del genere”, spiega.

Amy Wilson
We Watched It Happen, 2014, Lacework by Amy Wilson

In quel periodo l’artista cominciò a dipingere ad acquerello e a creare miniature di immagini che, da lontano, sembrano meravigliosamente bizzarre. Ragazze (bionde, brune e rosse) vestite in prendisole rosa, blu e viola sembrano spassarsela allegramente e beatamente. A uno sguardo più attento, tuttavia, queste scene spensierate si rivelano più scure di quanto non appaiano. A volte queste ragazze giocano tranquille; altre volte vengono strangolate da tralci di vite e si osservano l’un l’altra mentre si strappano gli organi dal corpo. Le scene sono accompagnate da commenti forti su fatti d’attualità, presi dai titoli dei giornali o ricavati dai pensieri privati ​​che si affollano nella mente di Wilson. “È molto narrativo ed è tutto molto personale”, dice. In un certo senso, molte delle colorate creazioni in miniatura di Wilson sono autoritratti. L’immagine ricorrente della ragazza è in realtà una rappresentazione di se stessa. “Questi personaggi sono tutte estensioni di me – spiega – Quando cerco di dare loro un senso, penso sempre: sono figlia unica ed ero una bambina incredibilmente sola. Ho sempre avuto degli amici immaginari con cui conversavo”.

Wilson ha creato anche opere di grandi dimensioni. “Ci tengo a parlare del programma della Downtown Alliance”, ha detto a La VOCE. Si tratta di un’organizzazione che lavora per migliorare la zona commerciale di Lower Manhattan, fornendo servizi di marketing, sicurezza, trasporti, pianificazione e progettazione per residenti, visitatori e aziende di Lower Manhattan. Quando dirigono un progetto edilizio e devono innalzare ponteggi per lunghi periodi di tempo, piuttosto che dare un pugno in un occhio ai passanti, preferiscono affidarsi a degli artisti che imbelliscono le impalcature. “Stavano costruendo un parco giochi in centro e mi hanno commissionato un’opera per l’impalcatura che lo circondava. Quando hanno finito di costruire e tirato giù il ponteggio, abbiamo rimosso la tela, l’abbiamo tagliata e riciclata trasformandola in borse”, dice Wilson.

Di recente, Wilson ha messo gli occhi su un altro mezzo artistico: il cucito. Nell’ultimo anno l’artista ha cominciato a focalizzarsi su questa nuova forma espressiva che tuttavia non le è nuova. “Mia nonna ha insisto molto che io imparassi a fare la maglia, l’uncinetto e a cucire: erano cose importanti. Come se mi stesse insegnando un mestiere. Mi è stato insegnato quando ero così piccola che è come conoscere una lingua” dice.

Amy Wilson
West Thames Park installation, Amy Wilson – Downtown Alliance

Wilson ha ripreso l’antica arte del ricamo e ci ha aggiunto un tocco moderno. Il particolare processo utilizzato combina il tradizionale lavoro manuale con la tecnologia digitale. L’artista inizia disegnando un’immagine per poi sovrapporvi una griglia. Poi fotografa ogni quadrato della griglia e carica le immagini su computer da dove ripercorre la griglia assegnando diversi punti di cucitura ad ognuno degli schemi. E qui entra in gioco la tecnologia. Collegata al computer c’è una macchina da cucito simile a una stampante 3-D. Le immagini vengono stampate su un materiale idrosolubile, che l’artista descrive come “molto leggero”. Dopo aver riassemblato ogni parte della griglia in modo da rispecchiare il disegno originale, i pezzi vengono cuciti insieme a mano e il prodotto finale è immerso in acqua. Quando il sottile strato di materiale leggero dissolve, rimane solo il merletto.

Grazie alla sua abilità con ago e filo, Wilson crea composizioni intricate e, condividendo il suo talento, cuce insieme la storia del passato di New York City e modella un legame tra gli abitanti città. Lo scorso anno Wilson ha collaborato con MoreArt, una organizzazione non-profit la cui missione è di promuovere l’arte pubblica e programmi educativi tramite la collaborazione tra gli artisti e le loro comunità. Quando l’organizzazione ha contattato Wilson riguardo un progetto che coinvolge due gruppi di anziani, uno a Chelsea e l’altro nel Greenwich Village, Wilson sapeva di voler fare qualcosa legato al cucito. “Mi è venuta l’idea di fare una trapunta –  dice –  Volevo parlare con questi due gruppi di anziani del loro rapporto con il quartiere e di come era cambiato nel tempo, la gentrification, i miglioramenti, e di ciò che a loro non piace di questa trasformazione”. Il progetto si chiama Disappearing City e l’idea è di creare collage di tessuti da cucire insieme in forma di trapunte.

Tuttavia, “alcuni di loro non avevanoAmy Wilson voglia di lavorare su questa cosa”, dice Wilson, che si è accorta subito che il gruppo di donne che si riuniva a Chelsea non era interessato al tema della gentrification, né alla trasformazione del quartiere. “Erano donne provenienti da altre parti del paese che sono arrivate a New York in età adulta. La relazione con questa idea di città che cambia non era palpabile per loro”. Le loro trapunte riflettono le loro storie personali e ogni quadrato rappresenta le vittorie, le lotte e i bei ricordi del proprio personale percorso di vita. Alcune si sono portate da casa oggetti personali, come ad esempio i vestitini dei figli che hanno tagliato e incorporato nelle loro trapunte. “Si divertivano a mostrarsi l’un l’altra le foto dei nipoti e a raccontarsi storie”, ricorda Wilson. Si è stabilito un profondo senso di comunità tra queste donne provenienti da diversi percorsi di vita.

Il gruppo di donne che ha incontrato nel Greenwich Village, invece, ha risposto bene al piano originale di Wilson. “Si sentivano molto connesse a questa idea di un quartiere in trasformazione. La maggior parte di loro aveva profonde radici nel quartiere, dove vivono da 40 o 50 anni. “In alcuni casi avevano visto chiudere caffè a conduzione familiare davanti a cui passavano ogni giorno, per vederli rimpiazzare da uno Starbucks; o avevano visto bulldozer buttare giù la barbieria del quartiere, per poi ritrovarsi al suo posto un complesso residenziale. “Avevano assistito a tanti cambiamenti”. Queste donne non hanno incluso ricordi personali nelle loro coperte, hanno stampato sul tessuto immagini di luoghi e cose della città. “Abbiamo chiesto loro che tipo di immagini  volessero vedere sulla trapunta e ci hanno detto: ‘come era Washington Square Park e come è ora’”.

Nel lavoro di Amy Wilson c’è un aspetto innegabilmente personale, ma i progetti cui ha preso parte mostrano il suo successo nel mettere il suo talento  artistico al servizio della città e dei suoi quartieri, incoraggiando un più profondo senso di comunità tra gli abitanti.

Guarda il video sul progetto Disappearing City>>

DISAPPEARING CITY from More Art on Vimeo.

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Vincenza Di Maggio

Vincenza Di Maggio

È iniziato tutto con un dipinto, Venere e Adone di Tiziano. “Scrivi quello che vedi”, mi disse la mia professoressa di storia dell'arte. E con queste parole accese un fuoco che avrebbe guidato la mia carriera come scrittrice e storica dell'arte. Dopo il Master in History of Art and Archaeology dell'Istituto di Belle Arti della NYU, uno stage al MoMA e collaborazioni con Condé Nast Traveler, The Architect’s Newspaper e INSIDE F&B. Di origini siciliane, sono nata e cresciuta a New York. Quando non scrivo, mi immergo nella vivace scena artistica di Manhattan, divenendo testimone diretto dell'effetto trasformativo che l'arte può avere su una città e viceversa. It started with a painting. It was Titian’s Venus and Adonis. “Write what you see,” my college art history professor said to me. With those four words she ignited a fire within me that would drive my career as a writer, and as an art historian. I graduated with an MA in the History of Art & Archaeology from NYU’s Institute of Fine Arts, and recently completed an internship at MoMA. I have done freelance work for Condé Nast Traveler, The Architect’s Newspaper, and INSIDE F&B. Sicilian in origin, but I was born and raised in New York. When I’m not writing, I’m immersing myself in Manhattan’s vibrant art scene, witnessing first hand the beautifully transformative effect the arts can have on a city.

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