È l’autunno del 1977, alla fine del terzo inning di gara due delle World Series di baseball, quando d’un tratto la regia stacca sulle riprese aree dello Yankee Stadium illuminato dai riflettori e dall’elicottero le telecamere scorrono sul quartiere limitrofo mentre il buio attorno è squarciato dalle fiamme di un grande incendio. Il telecronista della ABC, impassibile, annuncia: “Ladies and gentlemen, the Bronx is burninig”.
Quella sera di ottobre infatti, mentre la franchigia newyorchese, trascinata da Raggie Jackson, si involava verso un inatteso titolo, la città intera stava vivendo uno dei più incredibili e folli momenti della sua storia. A pensarci bene questo rogo, a pochi passi dai tifosi in delirio per la vittoria della loro squadra, poteva essere immaginato come l’istantanea migliore per immortalare l’immaginario collettivo di quel incredibile periodo. In quello stesso anno in cui l’America pianse la morte di Elvis infatti, sulle rive del Hudson, si assistette a una quantità tale di eventi da risultare straordinaria persino per New York, che quelle settimane oscillava quotidianamente tra euforia e dramma. Ovviamente il luogo che meglio simboleggiava queste contraddizioni non poteva che essere, ancora una volta, il Bronx.

La Grande Mela era nel ’77 una metropoli irriconoscibile da quella di oggi, quasi come se i quarant’anni che ci separano da allora si fossero in realtà dilatati come secoli. Mentre le nuovissime Torri Gemelle avevano ridisegnato lo skyline di Lower Manhattan, più a Nord, la zona di Times Square era ancora un luogo poco sicuro. Lì la prostituzione e la pornografia, con tutto il relativo indotto di consumatori, la facevano da padroni. Da quelle parti aveva proprio in quell’anno aperto il locale più famoso della città e forse del pianeta. Una discoteca divenuta l’epicentro del fenomeno globale della Disco Music nonché teatro, ogni notte, della trasgressione più eccessiva che la città abbia mai conosciuto: lo Studio 54. Il locale richiamava quotidianamente folle di ragazzi, ma anche personaggi di grande fama, del calibro di Mick Jagger con sua moglie Bianca, che era ben nota da queste parti, Andy Warhol, Truman Capote e persino, talvolta, Salvador Dalì.
Più a Sud, lungo Bowery, sul palco di un’altra venue completamente diversa, ma altrettanto leggendaria che per nome usava l’acronimo CBGB, si esibivano ogni sera band del calibro di Ramones, Blondie e Talking Heads. Fin qui le note liete. Tuttavia, come molti sociologi fecero notare, quella voglia di trasgressione assolutamente fuori dal comune era alimentata dal delicatissimo momento storico che il paese stava attraversando. La guerra in Vietnam si era infatti conclusa drammaticamente da appena un paio d’anni, l’America stava imparando a fare i conti con le profonde ferite che il decennio di conflitto aveva lasciato nell’animo e nella psiche dei reduci ed infine, solo nel 1974, il Watergate aveva costretto alle dimissioni il presidente Nixon minando definitivamente la credibilità di un paese nel quale la popolazione sembrava, per la prima volta, aver smesso di aver fiducia.

Lassù nel Bronx però il sentimento pareva essere reciproco, lì erano le autorità ad aver deciso a loro volta di gettare la spugna e abbandonare la popolazione al proprio destino. Fu fatto deliberatamente e così la situazione finì presto fuori controllo. La rabbia del quartiere non tardò a deflagrare, non solo attraverso le nuove sonorità dell’Hip Hop, che come abbiamo raccontato nacque proprio tra questi isolati, ma anche e soprattutto avvitandosi in una spirale di violenza incontrollata. Il degrado era impressionante, la criminalità era ormai inevitabile e i proprietari degli edifici, rassegnati a non vedersi corrispondere gli affitti, iniziarono ad incendiare volutamente interi condomini per farsi almeno risarcire dalle assicurazioni. Le fiamme erano dunque diventate una familiare caratteristica del paesaggio urbano.
In alcune zone il fenomeno fu biblico. A Soundview, ad esempio, nel 1980 si potevano contare solo 9 edifici rimasti in piedi. Appena dieci anni prima erano ben 836. Stessa sorte per la famigerata Charlotte Street, dove si salvò appena il 3% dei condomini. Si registrarono circa 120.000 incendi in un solo anno che corrispondevano all’impressionante media di quasi 30 roghi ogni due ore.
Fu in questo momento che salì alla ribalta delle cronache l’Housing Commissioner della città, un personaggio fino ad allora poco noto, che attirò in breve tempo su di sé le attenzioni dei media cittadini. Roger Starr, questo era il suo nome, rilasciò infatti alcune interviste esponendo laconicamente la strategia che si sarebbe dovuta attuare per risolvere la situazione: l’abbandono. Secondo Starr si sarebbe dovuto alzare bandiera bianca, ignorare l’accaduto e piuttosto concentrare gli sforzi su altre parti di città più facilmente risanabili. L’azione di “Planned Shrinkage”, come era stata definita, si ispirava a precisi studi compiuti in quegli anni dalla RAND Corporation, un’importante azienda di ricerche alle dipendenze dell’esercito americano, che prefiguravano la progressiva soppressione dei servizi quali ad esempio la polizia, i vigili del fuoco, la sanità e persino l’erogazione della corrente elettrica al fine di indurre, in breve tempo, lo spopolamento delle aree più depresse della città.
Insomma il piano d’azione era fin troppo chiaro: si trattava dell’amputazione di una gamba per impedire che la cancrena uccidesse la città intera. Eppure proprio quel 1977 aveva dimostrato che, per quanto Uptown fosse lontana, ciò che accadeva lassù non poteva semplicemente essere ignorato dal resto della città con una alzata di spalle. Quasi a voler urlare in faccia ad un mondo che tentava di ignorare la loro esistenza, i ragazzi del Bronx stavano invadendo il resto della città con sfacciati dipinti sulle fiancate dei treni della Subway che attraversava l’intera città, dalla 189th Street scendendo giù verso Downtown Manhattan.
Finché non arrivò il giorno in cui le autorità non riuscirono più a far finta nulla. Quel giorno fu il 13 luglio dello stesso anno. Quella torrida sera infatti, attorno alle nove e mezza, un guasto alla rete elettrica causò il più devastante blackout di sempre. Quando sui cinque boroughs calò l’oscurità, New York piombò nel terrore. Sì perché blackout significava impunità per ogni crimine e così tutta la rabbia che la gente aveva accumulato in quegli anni di decadenza divampò in una sola notte durante la quale i negozi di tutta la città, non solo del Bronx stavolta, furono presi d’assalto e derubati di qualsiasi genere di merce: elettrodomestici, gioielli, vestiti e persino mobili divennero in quella notte bottini di guerra.

Fu il punto di non ritorno. Quella notte, tra lo shock e il terrore, la città prese consapevolezza che occorreva una decisa inversione di rotta. Solo quattro mesi più tardi nelle elezioni per il nuovo sindaco della città l’uscente Abe Beame fu sonoramente sfiduciato e al suo posto fu eletto, dal 55% dei newyorchesi, il democratico Ed Koch. Sarà lui che nei successivi undici anni nei quali manterrà questa carica avvierà il profondo risanamento di tutta la città. Koch costrinse immediatamente alle dimissioni Roger Starr, il risoluto funzionario che proponeva di abbandonare il Bronx, ma molto presto anche lui inizio a contraddirsi e attuare, astutamente in modo progressivo e meno sfacciato, una strategia tutto sommato non lontana da quella sostenuta dallo stesso Starr. L’azione portò indubbiamente i risultati previsti, la popolazione del quartiere che nel 1970 superava di gran lunga i 320.000 abitanti nel 1980 si era dimezzata. Il valore dei terreni di questa parte di città crollò e si vennero così a creare le condizioni favorevoli per un investimento cospicuo da parte del governo, che negli anni successivi interverrà direttamente nell’operazione acquistando terreni e affidandoli poi in gestione.
Di fatto la città di New York e la sua amministrazione si comportarono in modo non dissimile da quanto facessero gli speculatori edilizi. Il Bronx lentamente iniziò così una rinascita fino a poco tempo prima inimmaginabile, ma quale fu il prezzo da pagare per questo miracolo? Altissimo secondo molti. Addirittura alcuni detrattori imputano alla progressiva eliminazione dei servizi basilari per quartiere così povero, in particolare l’assistenza sanitaria, la responsabilità della diffusione incontrollata del virus dell’Aids che proprio in quel periodo (la fine dei ’70) esplose drammaticamente. La gentrificazione, il fenomeno urbanistico che riempirà le colonne dei giornali con invettive e analisi per questi trent’anni si affermò, con proporzioni considerevoli, proprio in questa occasione. Eppure negli anni successivi la fortunata opera di risanamento continuò incessante coinvolgendo progressivamente tutto il resto della città. La famosa “teoria della finestra rotta” ad esempio secondo la quale il risanamento della metropolitana non poteva che passare dal ripristino del decoro e dalla rimozione dei graffiti che “imbrattavano” i treni andava nella stessa direzione.
New York è oggi una città irriconoscibile se confrontata con quella di allora. Una metropoli sicura, pulita, efficiente. Il Bronx ha riguadagnato credibilità e abitanti e faticosamente si sta scrollando di dosso lo stereotipo di violenza che si guadagnò allora. Le tensioni sociali e i problemi di questa città hanno oggi un carattere episodico e non più epidemico tuttavia il 1977 rimarrà un momento indelebile nella memoria di tutti, non solo per la storica vittoria degli Yankees sui Dodgers.